Il termine “varietà da conservazione” è stato introdotto in Europa il 14 dicembre 1998 con la Direttiva 98/95/CE del Consiglio Europeo, la quale definiva in tal modo quelle specie e varietà: a) «adatte alle condizioni naturali locali e regionali, nonché minacciate da erosione genetica» (art. 6, n. 17, co. 2) e b) «coltivate in modo tradizionale in luoghi particolari […]» (art. 6, n. 37, co. 2). Per tale categoria di colture è stato previsto, già dalla sua introduzione, un regime semplificato di iscrizione al Catalogo Comune Europeo delle varietà delle specie di ortaggi, che si basasse anche su valutazioni non ufficiali, viste le specifiche caratteristiche ed esigenze qualitative delle varietà iscritte e la necessità di preservarle dall’erosione genetica. Dal 1998 ad oggi, il regime giuridico delle varietà da conservazione ha subito ulteriori implementazioni e modifiche, culminate in Italia nel Decreto Legislativo n. 20 del 2 febbraio 2021, il quale disciplina e raccoglie in un testo unico le norme per la produzione a scopo di commercializzazione e la commercializzazione di prodotti sementieri. Nella disciplina vigente, si prevedono dunque numerose deroghe per tale categoria di colture, per facilitare la conservazione in situ e la commercializzazione. Ad esempio, per le varietà da conservazione è prevista deroga in termini di purezza varietale minima richiesta per la commercializzazione rispetto alle categorie di sementi “standard” (art. 58) e di sementi “certificate” (art. 61); inoltre, è riconosciuto agli agricoltori produttori di varietà da conservazione il diritto alla vendita diretta e in ambito locale di sementi o materiale da propagazione, nonché il diritto al libero scambio all’interno della “Rete nazionale della biodiversità di interesse agricolo e alimentare”, istituita dalla L. 194/2015. Con riguardo alle specie ortive, in Europa nel 2023 risultano essere registrate 189 varietà da conservazione; la specie più rappresentata tra le varietà registrate è il Phaseolus vulgaris L., con 36 varietà iscritte, seguita da Solanum lycopersicum L. (35) e Capsicum annuum L. (27). In Italia si contano 43 varietà da conservazione registrate, coltivate per lo più in Toscana (22), Piemonte (8) e Veneto (5); anche in questo caso la specie più rappresentativa è il Phaseolus vulgaris L. (18), seguito da Allium cepa L. (5) e Solanum lycopersicum L. (4). Se si considera che in Europa ad oggi si stimano migliaia di varietà coltivate, molte delle quali varietà locali per la cui tutela e valorizzazione è stato istituito il regime delle varietà da conservazione, lo scarso numero di varietà ortive ad oggi registrate sembra essere un’opportunità sprecata per l’agricoltura europea. È dunque necessario individuare i motivi per i quali tale strumento normativo non sia stato, ad oggi, pienamente valorizzato in Europa e in Italia; è altresì importante riconoscere, documentare e divulgare il ruolo delle varietà locali per l’istituzione di un sistema agricolo di qualità, nonché valorizzare l’impegno dei cosiddetti “Agricoltori custodi” facenti parte della Rete Nazionale della Biodiversità, istituita dalla L. 194/2015.
Il regime delle varietà da conservazione a tutela delle varietà locali ortive in Italia ed Europa.
Adriano Didonna;Massimiliano Renna;Pietro Santamaria
2023-01-01
Abstract
Il termine “varietà da conservazione” è stato introdotto in Europa il 14 dicembre 1998 con la Direttiva 98/95/CE del Consiglio Europeo, la quale definiva in tal modo quelle specie e varietà: a) «adatte alle condizioni naturali locali e regionali, nonché minacciate da erosione genetica» (art. 6, n. 17, co. 2) e b) «coltivate in modo tradizionale in luoghi particolari […]» (art. 6, n. 37, co. 2). Per tale categoria di colture è stato previsto, già dalla sua introduzione, un regime semplificato di iscrizione al Catalogo Comune Europeo delle varietà delle specie di ortaggi, che si basasse anche su valutazioni non ufficiali, viste le specifiche caratteristiche ed esigenze qualitative delle varietà iscritte e la necessità di preservarle dall’erosione genetica. Dal 1998 ad oggi, il regime giuridico delle varietà da conservazione ha subito ulteriori implementazioni e modifiche, culminate in Italia nel Decreto Legislativo n. 20 del 2 febbraio 2021, il quale disciplina e raccoglie in un testo unico le norme per la produzione a scopo di commercializzazione e la commercializzazione di prodotti sementieri. Nella disciplina vigente, si prevedono dunque numerose deroghe per tale categoria di colture, per facilitare la conservazione in situ e la commercializzazione. Ad esempio, per le varietà da conservazione è prevista deroga in termini di purezza varietale minima richiesta per la commercializzazione rispetto alle categorie di sementi “standard” (art. 58) e di sementi “certificate” (art. 61); inoltre, è riconosciuto agli agricoltori produttori di varietà da conservazione il diritto alla vendita diretta e in ambito locale di sementi o materiale da propagazione, nonché il diritto al libero scambio all’interno della “Rete nazionale della biodiversità di interesse agricolo e alimentare”, istituita dalla L. 194/2015. Con riguardo alle specie ortive, in Europa nel 2023 risultano essere registrate 189 varietà da conservazione; la specie più rappresentata tra le varietà registrate è il Phaseolus vulgaris L., con 36 varietà iscritte, seguita da Solanum lycopersicum L. (35) e Capsicum annuum L. (27). In Italia si contano 43 varietà da conservazione registrate, coltivate per lo più in Toscana (22), Piemonte (8) e Veneto (5); anche in questo caso la specie più rappresentativa è il Phaseolus vulgaris L. (18), seguito da Allium cepa L. (5) e Solanum lycopersicum L. (4). Se si considera che in Europa ad oggi si stimano migliaia di varietà coltivate, molte delle quali varietà locali per la cui tutela e valorizzazione è stato istituito il regime delle varietà da conservazione, lo scarso numero di varietà ortive ad oggi registrate sembra essere un’opportunità sprecata per l’agricoltura europea. È dunque necessario individuare i motivi per i quali tale strumento normativo non sia stato, ad oggi, pienamente valorizzato in Europa e in Italia; è altresì importante riconoscere, documentare e divulgare il ruolo delle varietà locali per l’istituzione di un sistema agricolo di qualità, nonché valorizzare l’impegno dei cosiddetti “Agricoltori custodi” facenti parte della Rete Nazionale della Biodiversità, istituita dalla L. 194/2015.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.