Il territorio comunale di Lecce, così come gran parte di quello salentino (Puglia, Italia) racchiude un importante patrimonio archeologico industriale legato alla presenza di frantoi oleari ipogei o semipogei detti nel dialetto locale trappeti. Di tale patrimonio vi era, sino ad oggi, una frammentaria conoscenza tanto che nel Catasto delle Cavità naturali ed Artificiali redatto dalla Federazione Speleologica Pugliese per la Regione Puglia ne sono segnalati solo 2. Dalle descrizioni presenti nei Catasti onciari della metà del 1700 possiamo dedurre che nel territorio di Lecce, all’epoca, se ne contavano 40 ipogei legati perlopiù a complessi masserizi ubicati in special modo nell’area a Nord di Lecce. L’accesso ai frantoi avviene attraverso una scala solitamente piuttosto ripida scavata nella roccia mediante la quale ci si immette nella sala principale laddove sono presenti le macine ed i torchi con accanto i pozzetti per la raccolta e la decantazione dell’olio. La grandezza di questo ambiente varia ovviamente in funzione dell’importanza del frantoio e dei terreni annessi al complesso masserizio a cui faceva da riferimento. Elemento principale della sala principale era la vasca di macinazione, la fonte, avente la forma di una scodella del diametro di circa 3 m su cui poggiava la macina. Quest’ultima, di diametro di almeno 2 m e dello spessore di circa 0.6 m era ricavata da un unico blocco quasi ovunque costituito dai calcari mesozoici affioranti nelle vicinanze. Adiacente alla sala principale si trovano le cosiddette sciave, sciaie o sciaghe, a seconda dei dialetti locali, che consistevano in ambienti più piccoli che fungevano da depositi e che sovente avevano un’apertura a piano campagna per permettere un agevole scarico delle olive dai carri. In più frantoi era poi presente un ambiente per il ricovero degli animali, un altro adibito al riposo dei frantoiani e quindi una zona dove gli stessi consumavano i pasti. La scelta di realizzare in sotterraneo i frantoi era legata al minor costo della escavazione rispetto alla edificazione in elevato ed al risparmio di suolo che poteva essere così in parte destinato ad altre attività. Ciò nondimeno la mancanza di aria e luce ed il calore che si generava per la frequentazione di uomini ed animali nonché per la fermentazione delle olive che venivano ammassate nei depositi, la qualità dell’olio era spesso scadente tanto da venire utilizzato per usi industriali con particolare riferimento a quelli per l’illuminazione (da qui la denominazione di olio lampante) ma non come commestibile. Verso la fine del 1700 e gli inizi del 1800 si assistette quindi ad una profonda trasformazione dell’habitat rurale con espianto di molti oliveti, la cui coltivazione non era più economicamente vantaggiosa per l’incapacità di adeguare il prodotto e migliorane la qualità portandola a quella del concorrente olio spagnolo, a vantaggio dei vigneti. Conseguenza di questo cambiamento fu il progressivo abbandono dei frantoi tanto che in moltissimi casi con il tempo se ne è persa la memoria. Nel lavoro che qui si presenta si espongono i risultati di rilievi geologici e topografici su 23 frantoi che sono stati ritrovati nel territorio comunale di Lecce. Di questi 6 sono stati recuperati dai proprietari ed adibiti a vari scopi per lo più connessi con attività turistiche mentre gli altri 17 versano in stato di abbandono. Uno dei frantoi è ubicato dentro la città di Lecce su un suolo di proprietà comunale. La sua individuazione è avvenuta a seguito di un crollo del terreno di copertura ed allo stato attuale l’area annessa al frantoio è recintata ma l’ipogeo non è stato recuperato. Gli ipogei sono tutti scavati nelle calcareniti tenere pugliesi, in parte nella miocenica Pietra leccese ed in parte nelle pleistoceniche Calcareniti di Gravina. Quelli scavati nelle calcareniti fini mioceniche risultano solitamente in buone condizioni laddove non presenti intervalli particolarmente marnosi ad interferire con gli scavi. In questi casi, questi intervalli sono particolarmente erosi e quando costituiscono parte dei pilastri questi ultimi sono tanto assottigliati da aver perso la loro funzione portante. Altre problematiche sono legate alla presenza di discontinuità strutturali allargate da processi carsici che hanno favorito il riempimento con materiale residuale argilloso in corrispondenza del quale, a luoghi, si è sviluppata vegetazione. Quelli scavati nelle calcareniti a grana medio – grossa pleistoceniche sono solitamente in migliori condizioni statiche per le caratteristiche di maggiore omogeneità della roccia rispetto a quella miocenica. Qui alcune problematiche sono connesse ad intervalli particolarmente fossiliferi (ad ostreidi e/o cardidi) che costituiscono aree di debolezza degli ammassi. In generale, purtroppo in molti casi, i frantoi sono divenuti luoghi di discarica che si è stratificata nel corso dei decenni. Oggi essi potrebbero costituire splendidi esempi delle correlazione esistenti tra le attività antropiche di archeologia industriale e la geologia dei luoghi allorquando parte di un progetto di recupero. In quest’ottica, appare essenziale il recupero del frantoio posto su suolo di proprietà comunale il quale potrebbe divenire laboratorio multimediale di una Lecce rurale che non esiste più ma che è patrimonio culturale dell’intero territorio.

Archeologia industriale e geologia: proposta di recupero dei frantoi ipogei di Lecce.

Parise M.
2018-01-01

Abstract

Il territorio comunale di Lecce, così come gran parte di quello salentino (Puglia, Italia) racchiude un importante patrimonio archeologico industriale legato alla presenza di frantoi oleari ipogei o semipogei detti nel dialetto locale trappeti. Di tale patrimonio vi era, sino ad oggi, una frammentaria conoscenza tanto che nel Catasto delle Cavità naturali ed Artificiali redatto dalla Federazione Speleologica Pugliese per la Regione Puglia ne sono segnalati solo 2. Dalle descrizioni presenti nei Catasti onciari della metà del 1700 possiamo dedurre che nel territorio di Lecce, all’epoca, se ne contavano 40 ipogei legati perlopiù a complessi masserizi ubicati in special modo nell’area a Nord di Lecce. L’accesso ai frantoi avviene attraverso una scala solitamente piuttosto ripida scavata nella roccia mediante la quale ci si immette nella sala principale laddove sono presenti le macine ed i torchi con accanto i pozzetti per la raccolta e la decantazione dell’olio. La grandezza di questo ambiente varia ovviamente in funzione dell’importanza del frantoio e dei terreni annessi al complesso masserizio a cui faceva da riferimento. Elemento principale della sala principale era la vasca di macinazione, la fonte, avente la forma di una scodella del diametro di circa 3 m su cui poggiava la macina. Quest’ultima, di diametro di almeno 2 m e dello spessore di circa 0.6 m era ricavata da un unico blocco quasi ovunque costituito dai calcari mesozoici affioranti nelle vicinanze. Adiacente alla sala principale si trovano le cosiddette sciave, sciaie o sciaghe, a seconda dei dialetti locali, che consistevano in ambienti più piccoli che fungevano da depositi e che sovente avevano un’apertura a piano campagna per permettere un agevole scarico delle olive dai carri. In più frantoi era poi presente un ambiente per il ricovero degli animali, un altro adibito al riposo dei frantoiani e quindi una zona dove gli stessi consumavano i pasti. La scelta di realizzare in sotterraneo i frantoi era legata al minor costo della escavazione rispetto alla edificazione in elevato ed al risparmio di suolo che poteva essere così in parte destinato ad altre attività. Ciò nondimeno la mancanza di aria e luce ed il calore che si generava per la frequentazione di uomini ed animali nonché per la fermentazione delle olive che venivano ammassate nei depositi, la qualità dell’olio era spesso scadente tanto da venire utilizzato per usi industriali con particolare riferimento a quelli per l’illuminazione (da qui la denominazione di olio lampante) ma non come commestibile. Verso la fine del 1700 e gli inizi del 1800 si assistette quindi ad una profonda trasformazione dell’habitat rurale con espianto di molti oliveti, la cui coltivazione non era più economicamente vantaggiosa per l’incapacità di adeguare il prodotto e migliorane la qualità portandola a quella del concorrente olio spagnolo, a vantaggio dei vigneti. Conseguenza di questo cambiamento fu il progressivo abbandono dei frantoi tanto che in moltissimi casi con il tempo se ne è persa la memoria. Nel lavoro che qui si presenta si espongono i risultati di rilievi geologici e topografici su 23 frantoi che sono stati ritrovati nel territorio comunale di Lecce. Di questi 6 sono stati recuperati dai proprietari ed adibiti a vari scopi per lo più connessi con attività turistiche mentre gli altri 17 versano in stato di abbandono. Uno dei frantoi è ubicato dentro la città di Lecce su un suolo di proprietà comunale. La sua individuazione è avvenuta a seguito di un crollo del terreno di copertura ed allo stato attuale l’area annessa al frantoio è recintata ma l’ipogeo non è stato recuperato. Gli ipogei sono tutti scavati nelle calcareniti tenere pugliesi, in parte nella miocenica Pietra leccese ed in parte nelle pleistoceniche Calcareniti di Gravina. Quelli scavati nelle calcareniti fini mioceniche risultano solitamente in buone condizioni laddove non presenti intervalli particolarmente marnosi ad interferire con gli scavi. In questi casi, questi intervalli sono particolarmente erosi e quando costituiscono parte dei pilastri questi ultimi sono tanto assottigliati da aver perso la loro funzione portante. Altre problematiche sono legate alla presenza di discontinuità strutturali allargate da processi carsici che hanno favorito il riempimento con materiale residuale argilloso in corrispondenza del quale, a luoghi, si è sviluppata vegetazione. Quelli scavati nelle calcareniti a grana medio – grossa pleistoceniche sono solitamente in migliori condizioni statiche per le caratteristiche di maggiore omogeneità della roccia rispetto a quella miocenica. Qui alcune problematiche sono connesse ad intervalli particolarmente fossiliferi (ad ostreidi e/o cardidi) che costituiscono aree di debolezza degli ammassi. In generale, purtroppo in molti casi, i frantoi sono divenuti luoghi di discarica che si è stratificata nel corso dei decenni. Oggi essi potrebbero costituire splendidi esempi delle correlazione esistenti tra le attività antropiche di archeologia industriale e la geologia dei luoghi allorquando parte di un progetto di recupero. In quest’ottica, appare essenziale il recupero del frantoio posto su suolo di proprietà comunale il quale potrebbe divenire laboratorio multimediale di una Lecce rurale che non esiste più ma che è patrimonio culturale dell’intero territorio.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/223094
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