La fascia costiera orientale salentina compresa tra Casalabate a Nord e Le Cesine a Sud, in Provincia di Lecce, è caratterizzata da spiagge sabbiose di limitata estensione, delimitate lateralmente da piccoli promontori rocciosi e nell’entrotrerra da estesi sistemi dunali. Attualmente erosi sia dal moto ondoso che dalle azioni antropiche, tali sistemi separavano l’ambiente di spiaggia da altrettanto estese paludi e stagni che occupavano una serie di depressioni morfologiche. Queste ultime sono la risposta morfologica a blande ondulazioni del substrato roccioso laddove si formano in corrispondenza del nucleo di sinclinali mentre, in alcuni casi, si originano ove differenti ordini di dune fossili, circa parallele tra loro ed alla attuale linea di costa, delimitano aree depresse interposte. L’alimentazione idrica di queste paludi avviene in quanto esse intersecano il livello medio marino ponendosi a quote inferiori ad esso, o per la presenza di sorgenti delle falde sotterranee presenti nel sottosuolo, o, ancora, per lo sbocco nelle paludi stesse di corsi d’acqua o canali. All’interno delle aree paludose si riconoscono inoltre fenomeni di sprofondamenti (sinkhole), originatisi a causa dell’ipercarsismo che agisce sulle rocce carbonatiche del basamento. Agli inizi del secolo scorso, gran parte di queste aree furono oggetto di importanti opere di bonifica delle quali oggi ci restano due edifici idrovori ubicati a Frigole e San Cataldo, oltre ad una fitta rete di canali. Gli edifici idrovori vennero costruiti per riversare meccanicamente in mare le acque di pioggia e di risorgiva che, prima della bonifica, alimentavano le paludi. Tra gli inizi del 1970 e la fine del 1980 queste aree palustri costiere, sino ad allora praticamente disabitate, vennero in gran parte occupate dagli abitanti della città di Lecce e degli altri comuni limitrofi, con costruzione di numerose seconde case. Lo sviluppo urbano in questi territori avvenne in maniera incontrollata e abusiva tanto che le abitazioni venivano realizzate in poche notti operando anzitutto colmamento dei suoli. Il sovrapporsi disordinato delle abitazioni alle aree umide costiere ha prodotto un paesaggio frammentato, con qualche esteso relitto paludoso ubicato in special modo nelle aree protette delle Cesine e del Parco Regionale Bosco e Paludi di Rauccio, ma anche altrettanto estese aree occupate da abitazioni in cui non è possibile più riconoscere gli elementi morfologici originari, se non laddove presenti lotti vuoti tra abitazioni. Un’ulteriore area paludosa, l’Acquatina, è stata in parte regimentata dalle opere di bonifica su menzionate ed è oggi gestita dall’Università del Salento che vi compie ricerche sull’itticoltura. E’ evidente che le aree umide tuttora presenti sono da considerarsi siti di interesse geologico, testimoni preziosi del paesaggio costiero naturale che caratterizzava la porzione di territorio orientale salentino, e come tali esse sono state indicate negli strumenti di pianificazione del Parco Regionale di Rauccio e nel censimento dei Geositi operato da Universus per la Regione Puglia. Tali aree permettono di osservare i fenomeni che oggi non sono più visibili nelle aree totalmente occupate dall’antropizzato, con particolare riferimento agli sprofondamenti in atto che generano dissesti alle abitazioni. Numerosissimi i casi che hanno interessato in particolare l’abitato di Casalabate, ma anche quelli di Torre Rinalda e Spiaggiabella. A questi fenomeni che lasciano chiaramente intendere la pericolosità geomorfologica dell’area se ne aggiungono altri, di alluvionamento, che determinano una elevata pericolosità idraulica. Gli allagamenti sono essenzialmente conseguenza dell’impermeabilizzazione mediante l’edificato di vasti areali che un tempo occupavano aree paludose e quindi naturalmente predisposte agli allagamenti, della natura argillosa dei sedimenti palustri che non consentono un rapida infiltrazione delle acque, dell’impermeabilizzazione delle strade in gran parte asfaltate con materiali bituminosi scarsamente drenanti, dell’apertura di varchi nel cordone di dune che permette l’invasione del mare (l’apertura di tali varchi è stata, localmente, effettuata dagli stessi residenti nel tentativo, mal riuscito, di risolvere il problema degli allagamenti eliminando l’ostacolo per il deflusso a mare delle meteoriche), ed infine dalla presenza di una falda superficiale immediatamente sottostante il piano campagna che favorisce l’immediata saturazione del franco libero sfavorendo, al contempo, l’assorbimento delle acque meteoriche. Il riconoscimento e la condivisione del patrimonio geologico qui costituito dalle aree paludose ancora esistenti nel tratto costiero in studio mediante la realizzazione di pannelli esplicativi dei fenomeni in atto posti in corrispondenza di sentieri opportunamente realizzati certamente potrà contribuire a far prendere coscienza alla popolazione dei pericoli esistenti. Inoltre, la comprensione dei fenomeni potrà costituire una indispensabile chiave di lettura per gli amministratori al fine di programmare gli interventi necessari per la riduzione dei relativi rischi.

Le aree umide della costa orientale salentina: siti di interesse geologico a pericolosità idraulica e geomorfologica

Parise M.
2018-01-01

Abstract

La fascia costiera orientale salentina compresa tra Casalabate a Nord e Le Cesine a Sud, in Provincia di Lecce, è caratterizzata da spiagge sabbiose di limitata estensione, delimitate lateralmente da piccoli promontori rocciosi e nell’entrotrerra da estesi sistemi dunali. Attualmente erosi sia dal moto ondoso che dalle azioni antropiche, tali sistemi separavano l’ambiente di spiaggia da altrettanto estese paludi e stagni che occupavano una serie di depressioni morfologiche. Queste ultime sono la risposta morfologica a blande ondulazioni del substrato roccioso laddove si formano in corrispondenza del nucleo di sinclinali mentre, in alcuni casi, si originano ove differenti ordini di dune fossili, circa parallele tra loro ed alla attuale linea di costa, delimitano aree depresse interposte. L’alimentazione idrica di queste paludi avviene in quanto esse intersecano il livello medio marino ponendosi a quote inferiori ad esso, o per la presenza di sorgenti delle falde sotterranee presenti nel sottosuolo, o, ancora, per lo sbocco nelle paludi stesse di corsi d’acqua o canali. All’interno delle aree paludose si riconoscono inoltre fenomeni di sprofondamenti (sinkhole), originatisi a causa dell’ipercarsismo che agisce sulle rocce carbonatiche del basamento. Agli inizi del secolo scorso, gran parte di queste aree furono oggetto di importanti opere di bonifica delle quali oggi ci restano due edifici idrovori ubicati a Frigole e San Cataldo, oltre ad una fitta rete di canali. Gli edifici idrovori vennero costruiti per riversare meccanicamente in mare le acque di pioggia e di risorgiva che, prima della bonifica, alimentavano le paludi. Tra gli inizi del 1970 e la fine del 1980 queste aree palustri costiere, sino ad allora praticamente disabitate, vennero in gran parte occupate dagli abitanti della città di Lecce e degli altri comuni limitrofi, con costruzione di numerose seconde case. Lo sviluppo urbano in questi territori avvenne in maniera incontrollata e abusiva tanto che le abitazioni venivano realizzate in poche notti operando anzitutto colmamento dei suoli. Il sovrapporsi disordinato delle abitazioni alle aree umide costiere ha prodotto un paesaggio frammentato, con qualche esteso relitto paludoso ubicato in special modo nelle aree protette delle Cesine e del Parco Regionale Bosco e Paludi di Rauccio, ma anche altrettanto estese aree occupate da abitazioni in cui non è possibile più riconoscere gli elementi morfologici originari, se non laddove presenti lotti vuoti tra abitazioni. Un’ulteriore area paludosa, l’Acquatina, è stata in parte regimentata dalle opere di bonifica su menzionate ed è oggi gestita dall’Università del Salento che vi compie ricerche sull’itticoltura. E’ evidente che le aree umide tuttora presenti sono da considerarsi siti di interesse geologico, testimoni preziosi del paesaggio costiero naturale che caratterizzava la porzione di territorio orientale salentino, e come tali esse sono state indicate negli strumenti di pianificazione del Parco Regionale di Rauccio e nel censimento dei Geositi operato da Universus per la Regione Puglia. Tali aree permettono di osservare i fenomeni che oggi non sono più visibili nelle aree totalmente occupate dall’antropizzato, con particolare riferimento agli sprofondamenti in atto che generano dissesti alle abitazioni. Numerosissimi i casi che hanno interessato in particolare l’abitato di Casalabate, ma anche quelli di Torre Rinalda e Spiaggiabella. A questi fenomeni che lasciano chiaramente intendere la pericolosità geomorfologica dell’area se ne aggiungono altri, di alluvionamento, che determinano una elevata pericolosità idraulica. Gli allagamenti sono essenzialmente conseguenza dell’impermeabilizzazione mediante l’edificato di vasti areali che un tempo occupavano aree paludose e quindi naturalmente predisposte agli allagamenti, della natura argillosa dei sedimenti palustri che non consentono un rapida infiltrazione delle acque, dell’impermeabilizzazione delle strade in gran parte asfaltate con materiali bituminosi scarsamente drenanti, dell’apertura di varchi nel cordone di dune che permette l’invasione del mare (l’apertura di tali varchi è stata, localmente, effettuata dagli stessi residenti nel tentativo, mal riuscito, di risolvere il problema degli allagamenti eliminando l’ostacolo per il deflusso a mare delle meteoriche), ed infine dalla presenza di una falda superficiale immediatamente sottostante il piano campagna che favorisce l’immediata saturazione del franco libero sfavorendo, al contempo, l’assorbimento delle acque meteoriche. Il riconoscimento e la condivisione del patrimonio geologico qui costituito dalle aree paludose ancora esistenti nel tratto costiero in studio mediante la realizzazione di pannelli esplicativi dei fenomeni in atto posti in corrispondenza di sentieri opportunamente realizzati certamente potrà contribuire a far prendere coscienza alla popolazione dei pericoli esistenti. Inoltre, la comprensione dei fenomeni potrà costituire una indispensabile chiave di lettura per gli amministratori al fine di programmare gli interventi necessari per la riduzione dei relativi rischi.
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