L’a. analizza le sentenze in epigrafe, le quali affrontano una complessa vicenda familiare e, sulla base di un diverso modo di considerare gli accertamenti immunogenetici, pervengono ad esiti differenti. Il Tribunale dell’Aquila, attraverso una valutazione puntuale delle discrasie emergenti non soltanto da un punto di vista processuale e giuridico, ma anche dai comportamenti extra-processuali delle parti protagoniste, prende atto della mancanza di una certezza assoluta sulla paternità, non superata dalle risultanze dell’esame del DNA del padre defunto da tredici anni. L’alto grado di probabilità della prova del DNA (99,96%) non sopisce i dubbi sull’attendibilità di una perizia effettuata su un defunto e non può attribuire con certezza la paternità, disconoscendo così il ruolo del giudice di peritus peritorum. Il convincimento sull’esistenza della paternità viene desunto dalla prova storica, ossia dall’insieme di circostanze emerse attraverso il normale sistema probatorio (art. 2729 c.c.). La Corte d’appello, invece, considera le prove biologiche come strumenti probatori ordinari, in grado di fornire seri argomenti non solo per escludere, ma anche per affermare “in positivo” il rapporto di paternità. Approfonditi i vari profili giuridici della questione, l’a. sostiene che l’accertamento dello status familiare, anche se in assoluto rappresenta un interesse meritevole di tutela, in alcuni casi potrebbe non prevalere nel conflitto con altri interessi altrettanto meritevoli.

Prove immunogenetiche e interesse del minore ad un padre defunto

CORRIERO, VALERIA
2003-01-01

Abstract

L’a. analizza le sentenze in epigrafe, le quali affrontano una complessa vicenda familiare e, sulla base di un diverso modo di considerare gli accertamenti immunogenetici, pervengono ad esiti differenti. Il Tribunale dell’Aquila, attraverso una valutazione puntuale delle discrasie emergenti non soltanto da un punto di vista processuale e giuridico, ma anche dai comportamenti extra-processuali delle parti protagoniste, prende atto della mancanza di una certezza assoluta sulla paternità, non superata dalle risultanze dell’esame del DNA del padre defunto da tredici anni. L’alto grado di probabilità della prova del DNA (99,96%) non sopisce i dubbi sull’attendibilità di una perizia effettuata su un defunto e non può attribuire con certezza la paternità, disconoscendo così il ruolo del giudice di peritus peritorum. Il convincimento sull’esistenza della paternità viene desunto dalla prova storica, ossia dall’insieme di circostanze emerse attraverso il normale sistema probatorio (art. 2729 c.c.). La Corte d’appello, invece, considera le prove biologiche come strumenti probatori ordinari, in grado di fornire seri argomenti non solo per escludere, ma anche per affermare “in positivo” il rapporto di paternità. Approfonditi i vari profili giuridici della questione, l’a. sostiene che l’accertamento dello status familiare, anche se in assoluto rappresenta un interesse meritevole di tutela, in alcuni casi potrebbe non prevalere nel conflitto con altri interessi altrettanto meritevoli.
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