La Corte costituzionale, con sentenza 27 marzo 2025, n. 36 si è pronunciata su due questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 58, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992 come introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. bb), D.Lgs. n. 220/2023 – in attuazione della delega di riforma del sistema fiscale di cui alla L. n. 111/2023 – sollevate dalla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania e della Lombardia, rispettivamente con le ordinanze del 9 luglio 2024 e del 27 settembre 2024. I giudici rimettenti dubitavano della legittimità costituzionale di tale disposizione paventandone il contrasto con gli artt. 3, comma 1, 24, comma 2, 102, comma 1 e 111, commi 1 e 2 della Carta costituzionale. Più nel dettaglio, la disposizione censurata, introducendo un divieto probatorio “assoluto”, impedirebbe al giudice di appello la valutazione di “indispensabilità” prevista dal novellato comma 1 dell’art. 58 in relazione a determinate tipologie di documenti “predeterminati” dal legislatore, così travalicando i limiti della pur ampia discrezionalità a lui riservata, intervenendo, di fatto, in un ambito riservato all’Autorità giurisdizionale. La nuova norma, inoltre, sembrerebbe vulnerare il contraddittorio minando la garanzia della parità tra le parti del processo e il conseguente diritto di difesa. La Consulta ha così dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale disposizione nella parte in cui vieta «il deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti». Ad avviso dei giudici remittenti, anche la disciplina transitoria che prevede l’applicazione della novella ai giudizi instaurati in grado di appello a decorrere dal giorno successivo alla sua entrata in vigore sarebbe “indubbiamente irrazionale”, lesiva del legittimo affidamento dei cittadini, in evidente contrasto con gli artt. 3 e 111 della Carta costituzionale. Con la medesima pronuncia, la Corte ha dunque ritenuto costituzionalmente illegittimo tale disposizione ritenendo ben superato il limite della ragionevolezza da parte del legislatore italiano laddove ha esteso gli effetti della nuova disposizione processuale a situazioni giuridiche già maturate nel previgente assetto normativo, determinando conseguenze non dissimili da quelle della c.d. retroattività impropria.

RECENTISSIME DALLA CORTE COSTITUZIONALE (SENT. N. 36 DEL 27 MARZO 2025) - Sulla (parziale) illegittimità costituzionale del nuovo divieto di nova in appello nel processo tributario

Caramia, Lucrezia Valentina
2025-01-01

Abstract

La Corte costituzionale, con sentenza 27 marzo 2025, n. 36 si è pronunciata su due questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 58, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992 come introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. bb), D.Lgs. n. 220/2023 – in attuazione della delega di riforma del sistema fiscale di cui alla L. n. 111/2023 – sollevate dalla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania e della Lombardia, rispettivamente con le ordinanze del 9 luglio 2024 e del 27 settembre 2024. I giudici rimettenti dubitavano della legittimità costituzionale di tale disposizione paventandone il contrasto con gli artt. 3, comma 1, 24, comma 2, 102, comma 1 e 111, commi 1 e 2 della Carta costituzionale. Più nel dettaglio, la disposizione censurata, introducendo un divieto probatorio “assoluto”, impedirebbe al giudice di appello la valutazione di “indispensabilità” prevista dal novellato comma 1 dell’art. 58 in relazione a determinate tipologie di documenti “predeterminati” dal legislatore, così travalicando i limiti della pur ampia discrezionalità a lui riservata, intervenendo, di fatto, in un ambito riservato all’Autorità giurisdizionale. La nuova norma, inoltre, sembrerebbe vulnerare il contraddittorio minando la garanzia della parità tra le parti del processo e il conseguente diritto di difesa. La Consulta ha così dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale disposizione nella parte in cui vieta «il deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti». Ad avviso dei giudici remittenti, anche la disciplina transitoria che prevede l’applicazione della novella ai giudizi instaurati in grado di appello a decorrere dal giorno successivo alla sua entrata in vigore sarebbe “indubbiamente irrazionale”, lesiva del legittimo affidamento dei cittadini, in evidente contrasto con gli artt. 3 e 111 della Carta costituzionale. Con la medesima pronuncia, la Corte ha dunque ritenuto costituzionalmente illegittimo tale disposizione ritenendo ben superato il limite della ragionevolezza da parte del legislatore italiano laddove ha esteso gli effetti della nuova disposizione processuale a situazioni giuridiche già maturate nel previgente assetto normativo, determinando conseguenze non dissimili da quelle della c.d. retroattività impropria.
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