A tre anni dalla laurea ottenuta a Torino con una tesi su Caravaggio seguita da Pietro Toesca e a soli due dalla famosa lettera scritta a Bernard Berenson per offrirsi come suo traduttore in accordo con l’Editore Laterza, Roberto Longhi pubblicava sulla rivista di Adolfo Venturi – L’Arte – un articolo dedicato a Orazio Borgianni. In questa sede, egli diede conto della ‘presenza’ dell’artista romano in un contesto per lui certo significante, quello ligure, e, segnatamente, quello della città di Savona (lo sarà anche per «BiBi» come affettuosamente Berenson veniva chiamato dall’amica genovese Laura Gropallo di cui si dirà oltre). Il richiamo di Longhi era riferito alla ben nota pala della Natività della Vergine conservatasi nel santuario di Nostra Signora di Misericordia, uno dei luoghi della Liguria a più alta concentrazione di documenti visivi esogeni di età barocca, se si escludono i palazzi e le chiese della Superba. A differenza di Georg Kaspar Nagler e di Paul Kristeller che l’avevano ignorata perché non censita da Giovanni Baglione, Longhi scrisse di aver ritrovato l’ancona per «mero caso» sulla scorta delle fonti storiografiche autoctone – Carlo Giuseppe Ratti e Cesare Queirolo in particolare –, che sulle alture di Savona ne avevano segnalato l’esistenza e l’autografia sin dalla fine del Settecento e poi ancora nell’Ottocento. Muovendo dalle molte visite che da giovane egli ebbe modo di condurre nel Nord-Ovest, subito Longhi aveva notato come la pala d’altare di Borgianni – in assoluto «la composizione più complessa che ci rimanga di lui» – fosse dotata di uno schema «più iconografico che compositivo», «più narrativo che costruttivo», formatosi a partire da modelli rinascimentali (Andrea del Sarto), quindi combinatosi con istanze venete (Tintoretto su tutte), per approdare poi a Roma agli inizi del XVII secolo (Passignano e Cigoli) e trasfondersi così «nella scuola romana di Baglione e Grammatica come in certi artisti di transito sul tipo di Cristoforo Pomarancio». Dunque, per Longhi, la Natività di Savona poteva vantare molteplici qualità: a ben vedere forse addirittura troppe per non rischiare di entrare in conflitto tra loro, con questo limitando la possibilità di riconoscere nel quadro in questione «quell’alto senso di stile che si manifesta nel semplicismo organico delle grandi opere d’arte». Insomma, un bellissimo testimone ma, forse, non ancora un capolavoro assoluto sebbene di indubbio valore, essendo addirittura ritenuto «firmato» secondo una erronea tradizione consolidatasi nella sequenza dei musei effimeri allestiti negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento tra Milano, São Paulo e Napoli.

Per «mero caso» (Roberto Longhi, 1914). Orazio Borgianni in Liguria e la «questione» del Seicento (ma non solo) tra connoisseurship, storiografia artistica, collezionismo e musei effimeri

Andrea Leonardi
2022-01-01

Abstract

A tre anni dalla laurea ottenuta a Torino con una tesi su Caravaggio seguita da Pietro Toesca e a soli due dalla famosa lettera scritta a Bernard Berenson per offrirsi come suo traduttore in accordo con l’Editore Laterza, Roberto Longhi pubblicava sulla rivista di Adolfo Venturi – L’Arte – un articolo dedicato a Orazio Borgianni. In questa sede, egli diede conto della ‘presenza’ dell’artista romano in un contesto per lui certo significante, quello ligure, e, segnatamente, quello della città di Savona (lo sarà anche per «BiBi» come affettuosamente Berenson veniva chiamato dall’amica genovese Laura Gropallo di cui si dirà oltre). Il richiamo di Longhi era riferito alla ben nota pala della Natività della Vergine conservatasi nel santuario di Nostra Signora di Misericordia, uno dei luoghi della Liguria a più alta concentrazione di documenti visivi esogeni di età barocca, se si escludono i palazzi e le chiese della Superba. A differenza di Georg Kaspar Nagler e di Paul Kristeller che l’avevano ignorata perché non censita da Giovanni Baglione, Longhi scrisse di aver ritrovato l’ancona per «mero caso» sulla scorta delle fonti storiografiche autoctone – Carlo Giuseppe Ratti e Cesare Queirolo in particolare –, che sulle alture di Savona ne avevano segnalato l’esistenza e l’autografia sin dalla fine del Settecento e poi ancora nell’Ottocento. Muovendo dalle molte visite che da giovane egli ebbe modo di condurre nel Nord-Ovest, subito Longhi aveva notato come la pala d’altare di Borgianni – in assoluto «la composizione più complessa che ci rimanga di lui» – fosse dotata di uno schema «più iconografico che compositivo», «più narrativo che costruttivo», formatosi a partire da modelli rinascimentali (Andrea del Sarto), quindi combinatosi con istanze venete (Tintoretto su tutte), per approdare poi a Roma agli inizi del XVII secolo (Passignano e Cigoli) e trasfondersi così «nella scuola romana di Baglione e Grammatica come in certi artisti di transito sul tipo di Cristoforo Pomarancio». Dunque, per Longhi, la Natività di Savona poteva vantare molteplici qualità: a ben vedere forse addirittura troppe per non rischiare di entrare in conflitto tra loro, con questo limitando la possibilità di riconoscere nel quadro in questione «quell’alto senso di stile che si manifesta nel semplicismo organico delle grandi opere d’arte». Insomma, un bellissimo testimone ma, forse, non ancora un capolavoro assoluto sebbene di indubbio valore, essendo addirittura ritenuto «firmato» secondo una erronea tradizione consolidatasi nella sequenza dei musei effimeri allestiti negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento tra Milano, São Paulo e Napoli.
2022
978-88-3367-188-8
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