Il contributo esamina la sentenza Sekmadienitis Ltd v. Lituania (n° 69317/14), del 31 gennaio 2018, in cui la Corte Europea dei Diritti Umani ha ritenuto che gli annunci di un'azienda di abbigliamento, nonostante usassero cartelloni pubblicitari sui quali si leggevano didascalie quali: "Gesù, che pantaloni!" e "Maria, che vestito!", non offendevano la morale pubblica. La CEDU ha deciso, all’unanimità, che la Lituania aveva violato l’articolo 10 (diritto alla libertà di espressione) della Convenzione Europea dei Diritti Umani. I giudici hanno ritenuto che la campagna pubblicitaria in oggetto non potesse essere condannata, sulla base di queste argomentazioni: gli annunci pubblicitari non apparivano offensivi né profani e neppure incitavano all’odio per motivi religiosi; i tribunali nazionali e altre autorità avevano il dovere di fornire ragioni rilevanti e sufficienti a dimostrare che i simboli religiosi e le espressioni utilizzate fossero contrarie alla morale pubblica, ovvero mancava la dimostrazione concreta di come la maggioranza dei cristiani lituani si fosse sentita offesa. L’obiettivo di protezione della morale e del diritto delle persone religiose a non sentirsi offese sulla base del proprio credo non era stato contestato dalla società, ed è stato ritenuto legittimo anche dalla Corte. Il ragionamento giuridico si concentra sulla necessità dell’interferenza nei confronti della libertà di espressione in nome di tali interessi, seppur consentiti. Da un lato la Corte EDU ha ricordato che la libertà di espressione consiste anche nella libertà di diffondere idee e informazioni che “offendono, creano shock o disturbano” ai fini di un corretto sviluppo del pluralismo, della tolleranza e dell’apertura mentale di una società democratica, dall’altro ha riconosciuto che la libertà d’espressione porta con sé un bagaglio di oneri e responsabilità, tra i quali l’obbligo di evitare espressioni che siano gratuitamente offensive nei confronti degli altri o profane nei confronti di quanto è oggetto di culto.

Immagini religiose, pubblicità e libertà di espressione

Raffaella Losurdo
2021-01-01

Abstract

Il contributo esamina la sentenza Sekmadienitis Ltd v. Lituania (n° 69317/14), del 31 gennaio 2018, in cui la Corte Europea dei Diritti Umani ha ritenuto che gli annunci di un'azienda di abbigliamento, nonostante usassero cartelloni pubblicitari sui quali si leggevano didascalie quali: "Gesù, che pantaloni!" e "Maria, che vestito!", non offendevano la morale pubblica. La CEDU ha deciso, all’unanimità, che la Lituania aveva violato l’articolo 10 (diritto alla libertà di espressione) della Convenzione Europea dei Diritti Umani. I giudici hanno ritenuto che la campagna pubblicitaria in oggetto non potesse essere condannata, sulla base di queste argomentazioni: gli annunci pubblicitari non apparivano offensivi né profani e neppure incitavano all’odio per motivi religiosi; i tribunali nazionali e altre autorità avevano il dovere di fornire ragioni rilevanti e sufficienti a dimostrare che i simboli religiosi e le espressioni utilizzate fossero contrarie alla morale pubblica, ovvero mancava la dimostrazione concreta di come la maggioranza dei cristiani lituani si fosse sentita offesa. L’obiettivo di protezione della morale e del diritto delle persone religiose a non sentirsi offese sulla base del proprio credo non era stato contestato dalla società, ed è stato ritenuto legittimo anche dalla Corte. Il ragionamento giuridico si concentra sulla necessità dell’interferenza nei confronti della libertà di espressione in nome di tali interessi, seppur consentiti. Da un lato la Corte EDU ha ricordato che la libertà di espressione consiste anche nella libertà di diffondere idee e informazioni che “offendono, creano shock o disturbano” ai fini di un corretto sviluppo del pluralismo, della tolleranza e dell’apertura mentale di una società democratica, dall’altro ha riconosciuto che la libertà d’espressione porta con sé un bagaglio di oneri e responsabilità, tra i quali l’obbligo di evitare espressioni che siano gratuitamente offensive nei confronti degli altri o profane nei confronti di quanto è oggetto di culto.
2021
9788892142589
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/390325
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