Nella sentenza annotata, la Corte di giustizia ha sancito che i dividendi distribuiti da una società stabilita in uno Stato membro ad una società residente in un altro Stato membro possono legittimamente subire una doppia imposizione giuridica qualora entrambi i Paesi decidano di esercitare la propria sovranità impositiva. Il mancato riconoscimento da parte dello Stato della residenza di un credito d’imposta in misura pari alla ritenuta alla fonte subita dalla società partecipante, infatti, non configura una violazione dell’art. 63 TFUE in tema di libera circolazione dei capitali. La pronuncia, del tutto conforme ai precedenti giurisprudenziali della Corte, pur invocando un intervento degli Stati membri per eliminare le doppie imposizioni giuridiche che ostano al corretto funzionamento del mercato comune, sancisce che le conseguenze svantaggiose derivanti dall’esercizio parallelo del potere impositivo non costituiscono restrizioni vietate dal Trattato, purché non discriminatorie. In attesa di una più spinta integrazione europea in materia di imposizione diretta, nuovi percorsi esegetici potrebbero portare ad una dichiarazione di illegittimità da parte dei giudici europei delle disposizioni nazionali che causano la doppia imposizione giuridica attraverso una valorizzazione del principio di leale collaborazione e degli obiettivi unionali. La sentenza rappresenta l’occasione anche per avanzare alcune riflessioni sulla disciplina interna del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero, ex art. 165, 10° comma, t.u.i.r., che pare porsi in contrasto con le convenzioni contro le doppie imposizioni poiche´ queste ultime non pongono limitazioni ulteriori rispetto all’ammontare dei foreign tax credit.
Doppia imposizione giuridica internazionale e diritto europeo nel caso Société Générale
Claudio Sciancalepore
2021-01-01
Abstract
Nella sentenza annotata, la Corte di giustizia ha sancito che i dividendi distribuiti da una società stabilita in uno Stato membro ad una società residente in un altro Stato membro possono legittimamente subire una doppia imposizione giuridica qualora entrambi i Paesi decidano di esercitare la propria sovranità impositiva. Il mancato riconoscimento da parte dello Stato della residenza di un credito d’imposta in misura pari alla ritenuta alla fonte subita dalla società partecipante, infatti, non configura una violazione dell’art. 63 TFUE in tema di libera circolazione dei capitali. La pronuncia, del tutto conforme ai precedenti giurisprudenziali della Corte, pur invocando un intervento degli Stati membri per eliminare le doppie imposizioni giuridiche che ostano al corretto funzionamento del mercato comune, sancisce che le conseguenze svantaggiose derivanti dall’esercizio parallelo del potere impositivo non costituiscono restrizioni vietate dal Trattato, purché non discriminatorie. In attesa di una più spinta integrazione europea in materia di imposizione diretta, nuovi percorsi esegetici potrebbero portare ad una dichiarazione di illegittimità da parte dei giudici europei delle disposizioni nazionali che causano la doppia imposizione giuridica attraverso una valorizzazione del principio di leale collaborazione e degli obiettivi unionali. La sentenza rappresenta l’occasione anche per avanzare alcune riflessioni sulla disciplina interna del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero, ex art. 165, 10° comma, t.u.i.r., che pare porsi in contrasto con le convenzioni contro le doppie imposizioni poiche´ queste ultime non pongono limitazioni ulteriori rispetto all’ammontare dei foreign tax credit.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


