La ragionevole durata del processo: religio iurisiurandi e utilità comune

La speditezza delle liti è stata un’esigenza da sempre avvertita dai Romani, e sin dalle XII Tavole, come emerge già dalla maniera in cui in esse è disciplinata la in ius vocatio. È una linea, quella volta a risolvere adeguatamente le controversie e a garantirne una durata breve, che si ritrova con una certa costanza in tutte le stagioni del processo romano. L’attestano istituti come la perenzione, meccanismi volti a scongiurare e reprimere la proposizione di cause temerarie e atteggiamenti dilatori dei soggetti coinvolti nel processo (anche giudici e avvocati), e soprattutto il giuramento quale strumento di risoluzione delle controversie. Si registrano inoltre riforme, contenute in leggi e interventi imperiali, dei tempi e dell’organizzazione dell’apparato giudiziario. In questo quadro risulta particolarmente significativa la normativa giustinianea ricavabile specialmente da I. 4.16, I. 3.19.12, CI. 2.58(59).2, CI. 3.1.13, CI. 3.1.14, CI. 8.37(38).14, Nov. 112.