Pubblicato dopo The Time Traveller, questo scientific romance di Wells è ambientato su un’isola sperduta dei Mari del Sud: un’isola non ancora mappata, invisibile. Quest’isola è il palcoscenico delle azioni di novelli Prosperi e Calibani: anche qui uno scienziato si cimenta con esseri «savage and deformed» ma in chiave evoluzionistica accelerata. È suggestivo leggere la storia ambientata sull’isola di Moreau come la metafora narrativa di un’immagine che lungo l’800, inglese e non, prende piede, quella della colonia lontana come valvola di sfogo della civiltà moderna: uno spazio distopico (Suvin) ed eterotopico (Foucault) allo stesso tempo. Il tentativo allora è quello di capire, attraverso gli strumenti del pensiero decoloniale, se e come Wells usi questa dimensione come "spazio critico” del colonial gaze. Infine, se la sua narrativa arrivi a prefigurare una sorta di scrittura postcoloniale, ante-litteram, focalizzata sul binarismo progresso/barbarie, alla base della master narrative imperiale britannica. Le conclusioni cui si arriva sono che, nel racconto di un estremo disegno in un estremo spazio, Wells (profeta ma europeo e borghese), prova a sottrarsi alla trappola della colonialità (Quijano), ma ci riesce parzialmente, cedendo al dispositivo della forgetfulness (Maldonado-Torres): quell’immensa operazione amnesica atta a invisibilizzare la dannazione e i dannati (Fanon), i tanti uomini bestia usati ed abusati dai tanti Moreau della storia imperialista euroepa.

IN SPAZI ESTREMI, ESTREMI DISEGNI: L’ISOLA DI DOCTOR WELLS FRA MEMORIA E AMNESIA COLONIALE. UN APPROCCIO DECOLONIALE

Luigi Carmine Cazzato
2020-01-01

Abstract

Pubblicato dopo The Time Traveller, questo scientific romance di Wells è ambientato su un’isola sperduta dei Mari del Sud: un’isola non ancora mappata, invisibile. Quest’isola è il palcoscenico delle azioni di novelli Prosperi e Calibani: anche qui uno scienziato si cimenta con esseri «savage and deformed» ma in chiave evoluzionistica accelerata. È suggestivo leggere la storia ambientata sull’isola di Moreau come la metafora narrativa di un’immagine che lungo l’800, inglese e non, prende piede, quella della colonia lontana come valvola di sfogo della civiltà moderna: uno spazio distopico (Suvin) ed eterotopico (Foucault) allo stesso tempo. Il tentativo allora è quello di capire, attraverso gli strumenti del pensiero decoloniale, se e come Wells usi questa dimensione come "spazio critico” del colonial gaze. Infine, se la sua narrativa arrivi a prefigurare una sorta di scrittura postcoloniale, ante-litteram, focalizzata sul binarismo progresso/barbarie, alla base della master narrative imperiale britannica. Le conclusioni cui si arriva sono che, nel racconto di un estremo disegno in un estremo spazio, Wells (profeta ma europeo e borghese), prova a sottrarsi alla trappola della colonialità (Quijano), ma ci riesce parzialmente, cedendo al dispositivo della forgetfulness (Maldonado-Torres): quell’immensa operazione amnesica atta a invisibilizzare la dannazione e i dannati (Fanon), i tanti uomini bestia usati ed abusati dai tanti Moreau della storia imperialista euroepa.
2020
978-88-5526-218-7
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