La questione dibattuta più di ogni altra, dopo l’uscita dei primi quattro volumi dei “Quaderni neri” di Heidegger, a partire dal 2014, è quella ormai rubricata nel dossier “Heidegger e l’ebraismo”. I passi in cui si parla dell’ebraismo o dell’“ebraismo mondiale” (Weltjudentum) e delle sue fatali responsabilità all’interno della storia della metafisica, come fattore di sradicamento, non solo dal suolo proprio di un popolo, ma anche dal fondamento essenziale della storia universale, e come vettore di una riduzione della verità dell’essere a pura rappresentazione calcolante dell’ente, sono stati come la miccia che ha fatto esplodere ancora una volta il pensiero heideggeriano. E quest’ultimo si è di nuovo presentato come il vero e proprio luogo di conflagrazione della filosofia del Novecento. Un luogo in cui molti problemi si radicalizzano quanto alla loro origine e ai loro effetti e viene rimessa in questione la vera posta in gioco del pensiero contemporaneo. Ma qui si impone una domanda: perché la presenza di queste posizioni nei confronti dell’ebraismo, posizioni pur ampiamente diffuse nel mondo culturale, a livello popolare e a livello accademico, della Germania degli anni Trenta, nel caso di Heidegger è considerata come uno stigma mortale del pensiero del suo autore, tanto da provocare la reazione opposta di coloro che tendono a considerare come ultimamente irrilevanti tali giudizi (legati magari al suo tempo o alle sue opinioni private) per la grandezza del suo pensiero? In parole più dirette, la domanda è: perché è nato il “caso” dell’antisemitismo di Heidegger? E in che rapporto stanno i suoi giudizi sull’ebraismo con le considerazione decostruttive nei confronti del cristianesimo che attraversano da cima a fondo i “Quaderni neri” almeno negli anni Trenta e Quaranta?

Heidegger, l'ebraismo e il cristianesimo nei "Quaderni neri"

Costantino ESPOSITO
2017-01-01

Abstract

La questione dibattuta più di ogni altra, dopo l’uscita dei primi quattro volumi dei “Quaderni neri” di Heidegger, a partire dal 2014, è quella ormai rubricata nel dossier “Heidegger e l’ebraismo”. I passi in cui si parla dell’ebraismo o dell’“ebraismo mondiale” (Weltjudentum) e delle sue fatali responsabilità all’interno della storia della metafisica, come fattore di sradicamento, non solo dal suolo proprio di un popolo, ma anche dal fondamento essenziale della storia universale, e come vettore di una riduzione della verità dell’essere a pura rappresentazione calcolante dell’ente, sono stati come la miccia che ha fatto esplodere ancora una volta il pensiero heideggeriano. E quest’ultimo si è di nuovo presentato come il vero e proprio luogo di conflagrazione della filosofia del Novecento. Un luogo in cui molti problemi si radicalizzano quanto alla loro origine e ai loro effetti e viene rimessa in questione la vera posta in gioco del pensiero contemporaneo. Ma qui si impone una domanda: perché la presenza di queste posizioni nei confronti dell’ebraismo, posizioni pur ampiamente diffuse nel mondo culturale, a livello popolare e a livello accademico, della Germania degli anni Trenta, nel caso di Heidegger è considerata come uno stigma mortale del pensiero del suo autore, tanto da provocare la reazione opposta di coloro che tendono a considerare come ultimamente irrilevanti tali giudizi (legati magari al suo tempo o alle sue opinioni private) per la grandezza del suo pensiero? In parole più dirette, la domanda è: perché è nato il “caso” dell’antisemitismo di Heidegger? E in che rapporto stanno i suoi giudizi sull’ebraismo con le considerazione decostruttive nei confronti del cristianesimo che attraversano da cima a fondo i “Quaderni neri” almeno negli anni Trenta e Quaranta?
2017
978-3-85630-770-7
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Descrizione: C. Esposito, Heidegger, l'ebraismo e il cristianesimo nei
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