Nel dibattito attuale sul futuro dell’attuale Evo digitale, la questione della sostenibilità e conservazione dei dati digitali costituisce forse il principale nodo irrisolto. Nonostante già da diversi anni autorevoli voci scientifiche si siano dedicate e si dedichino a discutere il problema, solo recentemente l’argomento è diventato oggetto di attenzione diffusa essendone stata riconosciuta la condizione di emergenza, in particolare in seguito all’allarme lanciato da Vinton Cerf agli inizi del 2015 circa il rischio che la contemporaneità diventi per i posteri il buco nero nella storia evolutiva dell’umanità. Un allarme che, peraltro, riprendeva quanto già dibattuto nella Conferenza UNESCO tenutasi nel 2012 a Vancouver, alla quale fu dato un titolo più che significativo sulla delicatezza dell’attuale momento storico e culturale: The Memory of the World in the Digital Age: Digitization and Preservation. Verosimilmente nell’intento di raccogliere e allinearsi alle istanze emerse negli anni scorsi, anche l’AgID si è soffermata ampiamente sulla questione nelle recenti Linee Guida sulla conservazione dei documenti informatici del dicembre 2015, sottolineandone l’estrema importanza. Tuttavia, tranne l’eccezione della Conferenza UNESCO, il dibattito sul tema raramente ha approfondito ulteriormente l’aspetto che, invece, da secoli costituisce la sola condizione perché un dato, di qualunque natura esso sia (analogica materiale o immateriale, intangibile, magnetico, digitale, etc.), sia conservato e trasferito nello spazio e nel tempo: il riconoscimento della sua funzione di memoria, in quanto potenziale fonte di conoscenza e informazione e, quindi, la sua identificazione quale retaggio culturale destinato a essere per le generazioni future testimonianza del presente/corrente e veicolatore di conoscenza cui avere accesso per per studiarlo, conoscerlo, comprenderlo, riusarlo.

Dalla Digital Culture al Digital Cultural Heritage: l’evoluzione impossibile?

BARBUTI, Nicola
2017-01-01

Abstract

Nel dibattito attuale sul futuro dell’attuale Evo digitale, la questione della sostenibilità e conservazione dei dati digitali costituisce forse il principale nodo irrisolto. Nonostante già da diversi anni autorevoli voci scientifiche si siano dedicate e si dedichino a discutere il problema, solo recentemente l’argomento è diventato oggetto di attenzione diffusa essendone stata riconosciuta la condizione di emergenza, in particolare in seguito all’allarme lanciato da Vinton Cerf agli inizi del 2015 circa il rischio che la contemporaneità diventi per i posteri il buco nero nella storia evolutiva dell’umanità. Un allarme che, peraltro, riprendeva quanto già dibattuto nella Conferenza UNESCO tenutasi nel 2012 a Vancouver, alla quale fu dato un titolo più che significativo sulla delicatezza dell’attuale momento storico e culturale: The Memory of the World in the Digital Age: Digitization and Preservation. Verosimilmente nell’intento di raccogliere e allinearsi alle istanze emerse negli anni scorsi, anche l’AgID si è soffermata ampiamente sulla questione nelle recenti Linee Guida sulla conservazione dei documenti informatici del dicembre 2015, sottolineandone l’estrema importanza. Tuttavia, tranne l’eccezione della Conferenza UNESCO, il dibattito sul tema raramente ha approfondito ulteriormente l’aspetto che, invece, da secoli costituisce la sola condizione perché un dato, di qualunque natura esso sia (analogica materiale o immateriale, intangibile, magnetico, digitale, etc.), sia conservato e trasferito nello spazio e nel tempo: il riconoscimento della sua funzione di memoria, in quanto potenziale fonte di conoscenza e informazione e, quindi, la sua identificazione quale retaggio culturale destinato a essere per le generazioni future testimonianza del presente/corrente e veicolatore di conoscenza cui avere accesso per per studiarlo, conoscerlo, comprenderlo, riusarlo.
2017
978-88-942535-1-1
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