La proposta si inserisce nella linea di indagine Collezionismo, collezionisti e processi di musealizzazione nella Puglia storica tra XVIII e XIX secolo (Università di Bari): muovendo da alcuni spazi del collezionismo come ville, biblioteche e musei, ancora conservati o solo tramandati dalle fonti, si intende fornire una lettura del fenomeno degli ecclesiastici collezionisti nella Puglia del secondo Settecento. Quali casi esemplari saranno presi in considerazione, da un lato, Giuseppe Capecelatro (1744-1836), dal 1778 arcivescovo di Taranto che già Enrico di Prussia segnalava come ‘monumento’ cui rendere visita a Napoli accanto agli scavi di Pompei e al Vesuvio; dall’altro, Giuseppe Maria Giovene (1753-1837), dal 1781 vicario generale della diocesi di Molfetta, sua città natale. Entrambi formatisi nella Napoli borbonica e permeati della cultura scientifica partenopea attenta al dato naturalistico, spesso appannaggio proprio di esponenti del clero e di ‘provinciali’, i due riuscirono a esprimere anche un raffinato gusto per la componente archeologica che si manifestò tanto nella villa di Santa Lucia e negli affreschi dell’attuale Biblioteca Arcivescovile a Taranto, quanto nella raccolta libraria e nelle collezioni poi donate al Seminario Vescovile di Molfetta. Rese poi disponibili al pubblico tra il 1797 e gli anni venti dell’Ottocento, queste realtà possono ritenersi speculari a quelle sviluppate da diverse famiglie gravitanti sull’area apulo-lucana: dall’antica nobiltà autoctona (Pomarici- Santommaso), agli eredi delle presenze esogene che segnarono la regione dal XVI secolo (Imperiale, Riario-Sforza-Nugent), sino alla nuova schiatta di professionisti delle scienze giuridiche ed economiche (Martinelli, Jatta). Di fatto ignorate dal Getty Provenance Index e per certi versi ancora da mettere a sistema anche rispetto al più ampio interesse per le istanze figurative di matrice padano-veneta, tali dinamiche sono riconducibili al tema dei flussi artistici e antiquari (disciplinati dal 1755) diretti dal meridione verso Napoli e l’Europa sulle rotte del Grand Tour. Nel caso specifico e nel ‘crepuscolo dei lumi’, i profili di Capecelatro e di Giovene segnarono il passaggio da un approccio più edonistico e secolare (a rischio di dispersione), a un tipo di raccolta proiettata verso l’idea di museo e il concetto di pubblica utilità. Alla luce del loro rapporto con figure come il cardinale Stefano Borgia (artefice del Museo Borgiano a Velletri) e il segretario di Rota Ciro Saverio Minervino (molfettano, intrinseco del Borgia e del cardinale Ganganelli-Clemente XIV), è possibile collocare una simile temperie culturale proprio tra l’azione di papa Clemente XIV (1770-1773), promotore a Roma del museo poi ‘Pio Clementino’ - enciclopedico e fondato su reperti archeologici e naturalistici - e gli intendimenti espressi da Michele Arditi (direttore del Reale Museo a Napoli) nel suo Piano per i Musei (1808) indirizzato alle «provincie anche le più remote e le meno culte».

COLLEZIONISTI IN CURIA. RELIGIONE, ARTE, GUSTO ANTIQUARIO E NATURALISTICO NELLA PUGLIA DEL SECONDO SETTECENTO

Leonardi, Andrea
;
De Sandi, Giuseppe
2018-01-01

Abstract

La proposta si inserisce nella linea di indagine Collezionismo, collezionisti e processi di musealizzazione nella Puglia storica tra XVIII e XIX secolo (Università di Bari): muovendo da alcuni spazi del collezionismo come ville, biblioteche e musei, ancora conservati o solo tramandati dalle fonti, si intende fornire una lettura del fenomeno degli ecclesiastici collezionisti nella Puglia del secondo Settecento. Quali casi esemplari saranno presi in considerazione, da un lato, Giuseppe Capecelatro (1744-1836), dal 1778 arcivescovo di Taranto che già Enrico di Prussia segnalava come ‘monumento’ cui rendere visita a Napoli accanto agli scavi di Pompei e al Vesuvio; dall’altro, Giuseppe Maria Giovene (1753-1837), dal 1781 vicario generale della diocesi di Molfetta, sua città natale. Entrambi formatisi nella Napoli borbonica e permeati della cultura scientifica partenopea attenta al dato naturalistico, spesso appannaggio proprio di esponenti del clero e di ‘provinciali’, i due riuscirono a esprimere anche un raffinato gusto per la componente archeologica che si manifestò tanto nella villa di Santa Lucia e negli affreschi dell’attuale Biblioteca Arcivescovile a Taranto, quanto nella raccolta libraria e nelle collezioni poi donate al Seminario Vescovile di Molfetta. Rese poi disponibili al pubblico tra il 1797 e gli anni venti dell’Ottocento, queste realtà possono ritenersi speculari a quelle sviluppate da diverse famiglie gravitanti sull’area apulo-lucana: dall’antica nobiltà autoctona (Pomarici- Santommaso), agli eredi delle presenze esogene che segnarono la regione dal XVI secolo (Imperiale, Riario-Sforza-Nugent), sino alla nuova schiatta di professionisti delle scienze giuridiche ed economiche (Martinelli, Jatta). Di fatto ignorate dal Getty Provenance Index e per certi versi ancora da mettere a sistema anche rispetto al più ampio interesse per le istanze figurative di matrice padano-veneta, tali dinamiche sono riconducibili al tema dei flussi artistici e antiquari (disciplinati dal 1755) diretti dal meridione verso Napoli e l’Europa sulle rotte del Grand Tour. Nel caso specifico e nel ‘crepuscolo dei lumi’, i profili di Capecelatro e di Giovene segnarono il passaggio da un approccio più edonistico e secolare (a rischio di dispersione), a un tipo di raccolta proiettata verso l’idea di museo e il concetto di pubblica utilità. Alla luce del loro rapporto con figure come il cardinale Stefano Borgia (artefice del Museo Borgiano a Velletri) e il segretario di Rota Ciro Saverio Minervino (molfettano, intrinseco del Borgia e del cardinale Ganganelli-Clemente XIV), è possibile collocare una simile temperie culturale proprio tra l’azione di papa Clemente XIV (1770-1773), promotore a Roma del museo poi ‘Pio Clementino’ - enciclopedico e fondato su reperti archeologici e naturalistici - e gli intendimenti espressi da Michele Arditi (direttore del Reale Museo a Napoli) nel suo Piano per i Musei (1808) indirizzato alle «provincie anche le più remote e le meno culte».
2018
978-88-9359-221-5
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