I dati in letteratura mettono in evidenza una prevalenza lifetime dei disturbi d’ansia in età evolutiva stimata attorno al 15-20% (Beesdo, Knappe e Pine, 2009). Tali disturbi hanno spesso un decorso cronico e si associano frequentemente ad altri disturbi, in par- ticolar modo al disturbo depressivo, ai problemi della condotta e al disturbo da deficit di attenzione, con una significativa compromissione del funzionamento globale e della qualità della vita. Tra i principali precursori dei disturbi d’ansia in età evolutiva, oltre ai fattori biologici e ambientali, la letteratura mette in evidenza l’anxiety sensitivity (Taylor, Jang, Stewart e Stein, 2008). L’anxiety sensitivity si riferisce all’intensa paura delle sensazioni legate all’ansia e all’arousal neurovegetativo (palpitazioni, parestesie, dispnea, sensazione di asfissia, dolore o fastidio al petto, tremori, difficoltà di concentrazione, confusione mentale). Tale paura deriva dalla convinzione che tali sensazioni possano avere delle conseguenze catastrofiche in termini di perdita del controllo, impazzimento, svenimento, infarto o di giudizio negativo da parte delle altre persone che assistono alle manifestazioni ansiose. L’elevata anxiety sensitivity amplifica l’ansia attraverso l’innesco di meccanismi ricorsivi a feedback positivo. Sia nella popolazione adulta sia in quella in età evolutiva, tale dimensione sembrerebbe costituire un importante fattore di rischio rispetto all’insorgenza e al mantenimento di tutti i disturbi d’ansia, mostrando tuttavia un’influenza specifica sullo sviluppo del Disturbo di Panico. Gli individui con alta anxiety sensitivity tendono a evitare le situazioni o le attività che possono produrre le sensazioni ansiogene e a mantenere livelli elevati di vigilanza rispetto alle sensazioni corporee. Nei bambini, inoltre, alti livelli di anxiety sensitivity predicono una scarsa percezione di benessere psicologico, una maggiore incidenza di comportamenti problematici e un peggioramento nel funzionamento sociale. Lo strumento più diffuso per la valutazione di questo costrutto è l’Anxiety Sensitivity Index (Peterson e Reiss, 1992), di cui esiste una versione per l’età evolutiva: il Childhood Anxiety Sensitivity Index (CASI), messo a punto da Silverman e collaboratori (1991). In Italia non esiste una versione tradotta e validata dello strumento, né risultano disponibili altre misure attendibili per la rilevazione specifica del costrutto. Al fine di pervenire alla validazione della versione italiana del CASI è stato avviato un progetto di ricerca che intende confermare, attraverso l’analisi fattoriale confermativa, la struttura fattoriale dello strumento in linea con quanto emerso dalla validazione del medesimo strumento in altri contesti culturali e testarne la validità concorrente verificando la correlazione tra l’anxiety sensitivity e il livello di ansia manifestata.

Validazione della versione italiana del «Childhood Anxiety Sensitivity Index»

COPPOLA, GABRIELLE, JOHANNA;
2013-01-01

Abstract

I dati in letteratura mettono in evidenza una prevalenza lifetime dei disturbi d’ansia in età evolutiva stimata attorno al 15-20% (Beesdo, Knappe e Pine, 2009). Tali disturbi hanno spesso un decorso cronico e si associano frequentemente ad altri disturbi, in par- ticolar modo al disturbo depressivo, ai problemi della condotta e al disturbo da deficit di attenzione, con una significativa compromissione del funzionamento globale e della qualità della vita. Tra i principali precursori dei disturbi d’ansia in età evolutiva, oltre ai fattori biologici e ambientali, la letteratura mette in evidenza l’anxiety sensitivity (Taylor, Jang, Stewart e Stein, 2008). L’anxiety sensitivity si riferisce all’intensa paura delle sensazioni legate all’ansia e all’arousal neurovegetativo (palpitazioni, parestesie, dispnea, sensazione di asfissia, dolore o fastidio al petto, tremori, difficoltà di concentrazione, confusione mentale). Tale paura deriva dalla convinzione che tali sensazioni possano avere delle conseguenze catastrofiche in termini di perdita del controllo, impazzimento, svenimento, infarto o di giudizio negativo da parte delle altre persone che assistono alle manifestazioni ansiose. L’elevata anxiety sensitivity amplifica l’ansia attraverso l’innesco di meccanismi ricorsivi a feedback positivo. Sia nella popolazione adulta sia in quella in età evolutiva, tale dimensione sembrerebbe costituire un importante fattore di rischio rispetto all’insorgenza e al mantenimento di tutti i disturbi d’ansia, mostrando tuttavia un’influenza specifica sullo sviluppo del Disturbo di Panico. Gli individui con alta anxiety sensitivity tendono a evitare le situazioni o le attività che possono produrre le sensazioni ansiogene e a mantenere livelli elevati di vigilanza rispetto alle sensazioni corporee. Nei bambini, inoltre, alti livelli di anxiety sensitivity predicono una scarsa percezione di benessere psicologico, una maggiore incidenza di comportamenti problematici e un peggioramento nel funzionamento sociale. Lo strumento più diffuso per la valutazione di questo costrutto è l’Anxiety Sensitivity Index (Peterson e Reiss, 1992), di cui esiste una versione per l’età evolutiva: il Childhood Anxiety Sensitivity Index (CASI), messo a punto da Silverman e collaboratori (1991). In Italia non esiste una versione tradotta e validata dello strumento, né risultano disponibili altre misure attendibili per la rilevazione specifica del costrutto. Al fine di pervenire alla validazione della versione italiana del CASI è stato avviato un progetto di ricerca che intende confermare, attraverso l’analisi fattoriale confermativa, la struttura fattoriale dello strumento in linea con quanto emerso dalla validazione del medesimo strumento in altri contesti culturali e testarne la validità concorrente verificando la correlazione tra l’anxiety sensitivity e il livello di ansia manifestata.
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