Fra le proposizioni critiche più feconde che hanno caratterizzato il recente, nuovo profilo interpretativo della cultura teatrale britannica nel canone ormai felicemente instabile del Romanticismo, a fronte di un veto storico-critico obsoleto, è emersa senza dubbio la riscoperta della sua straordinaria vitalità e della molteplicità delle sue relazioni con il complesso incrociare discorsivo che caratterizza l’età delle Rivoluzioni. Ad un tempo segno inequivocabile, interprete e strumento dinamico dei profondi mutamenti in atto, il teatro dell’età romantica – o della tarda età georgiana, se assumiamo il parametro della successione storica segnata dall’avvicendarsi dei sovrani, piuttosto che quello dello sviluppo della storia delle idee, come modello di periodizzazione – è stato recuperato a pieno titolo nella riflessione critica degli ultimi anni, sia essa orientata sul versante del materialismo culturale o dei gender studies, come fenomeno sociale e culturale di rilevanza determinante, in un quadro storico in cui eventi, idee e perfino prassi politica trovavano coerente risonanza sul palcoscenico, luogo elettivo di formazione dell’opinione pubblica e centro pulsante della sociability romantica. I decenni a cavallo fra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo sono segnati in modo profondo, nel dibattito politico e nella battaglia delle idee, in Inghilterra e in una più ampia prospettiva transnazionale, dall’insorgere della questione dell’abolizione della tratta transatlantica degli schiavi, la cui portata economico-politica, non meno che ideale e morale, si intreccia in modo essenziale con i tumultuosi eventi in corso, dalle rivoluzioni sulle due sponde dell’Atlantico alle guerre napoleoniche che dovevano insanguinare l’Europa fino al Congresso di Vienna, all’apertura del poderoso fronte interno costituito dal movimento radicale, in stretta relazione con il ruolo complesso che il governo nazionale e la potenza coloniale britannica giocarono in tutte quante le partite. In questa sede si vuole offrire una riflessione su alcuni, ricorrenti, meccanismi di proiezione metaforica attraverso i quali la cultura teatrale inglese entrò a pieno titolo nel dibattito, mutuandone le contraddizioni e le ambiguità ideologiche, spesso (non sempre) senza che i testi prodotti e rappresentati sui palcoscenici di Londra e delle province mettessero in reale discussione l’istituzione della schiavitù o il ruolo e le responsabilità nazionali nel traffico di esseri umani, anzi – spesso (quasi sempre) contribuendo paradossalmente al rafforzamento dell’identità britannica come terra, per eccellenza, di libertà.

“Cast Britannia, Britannia cast away (Thy shame)”: schiavitù e (dis)onore della nazione nel teatro dell’età romantica

DELLAROSA, Franca
2012-01-01

Abstract

Fra le proposizioni critiche più feconde che hanno caratterizzato il recente, nuovo profilo interpretativo della cultura teatrale britannica nel canone ormai felicemente instabile del Romanticismo, a fronte di un veto storico-critico obsoleto, è emersa senza dubbio la riscoperta della sua straordinaria vitalità e della molteplicità delle sue relazioni con il complesso incrociare discorsivo che caratterizza l’età delle Rivoluzioni. Ad un tempo segno inequivocabile, interprete e strumento dinamico dei profondi mutamenti in atto, il teatro dell’età romantica – o della tarda età georgiana, se assumiamo il parametro della successione storica segnata dall’avvicendarsi dei sovrani, piuttosto che quello dello sviluppo della storia delle idee, come modello di periodizzazione – è stato recuperato a pieno titolo nella riflessione critica degli ultimi anni, sia essa orientata sul versante del materialismo culturale o dei gender studies, come fenomeno sociale e culturale di rilevanza determinante, in un quadro storico in cui eventi, idee e perfino prassi politica trovavano coerente risonanza sul palcoscenico, luogo elettivo di formazione dell’opinione pubblica e centro pulsante della sociability romantica. I decenni a cavallo fra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo sono segnati in modo profondo, nel dibattito politico e nella battaglia delle idee, in Inghilterra e in una più ampia prospettiva transnazionale, dall’insorgere della questione dell’abolizione della tratta transatlantica degli schiavi, la cui portata economico-politica, non meno che ideale e morale, si intreccia in modo essenziale con i tumultuosi eventi in corso, dalle rivoluzioni sulle due sponde dell’Atlantico alle guerre napoleoniche che dovevano insanguinare l’Europa fino al Congresso di Vienna, all’apertura del poderoso fronte interno costituito dal movimento radicale, in stretta relazione con il ruolo complesso che il governo nazionale e la potenza coloniale britannica giocarono in tutte quante le partite. In questa sede si vuole offrire una riflessione su alcuni, ricorrenti, meccanismi di proiezione metaforica attraverso i quali la cultura teatrale inglese entrò a pieno titolo nel dibattito, mutuandone le contraddizioni e le ambiguità ideologiche, spesso (non sempre) senza che i testi prodotti e rappresentati sui palcoscenici di Londra e delle province mettessero in reale discussione l’istituzione della schiavitù o il ruolo e le responsabilità nazionali nel traffico di esseri umani, anzi – spesso (quasi sempre) contribuendo paradossalmente al rafforzamento dell’identità britannica come terra, per eccellenza, di libertà.
2012
978-88-207-5597-3
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