Lo spunto per l’indagine è stato offerto dalla circostanza storica della coincidenza temporale tra la riforma della Company Law (CL) in Gran Bretagna (Company Act 2006 (CA), e la riforma del diritto societario model-years 2001-2005 in Italia (quella compresa tra le ll. n. 266/2001 e n. 262-2005), unitamente al senso di insoddisfazione che entrambe le nuove discipline penal-societarie avevano suscitato. L’attrazione per il tema ha assunto maggiore consistenza alla luce di diversi fattori: – la constatazione della assenza, quasi assoluta, in Italia di ricerche sulla Company Criminal Law (CCL) e sulla parte speciale della criminal law (una ripresa di interesse per la criminal law – in effetti – si è registrata, in Italia, solo a partire dagli anni ’90, ma limitatamente alla parte generale); – i persistenti insuccessi dei tentativi di codificazione in Italia e GB; – la progressiva riduzione delle distanze tra il sistema giuridico-penale GB e quelli continentali. Il successivo sviluppo della ricerca si è snodato in quattro fasi: – storia, metodo, ragioni e prospettive della riforma; – legittimazione della CCL tra self-regulation e ipertrofia, teorie societarie e teorie penali; – le caratteristiche della CCL; – la CCL come forma di minicodificazione. La ricerca sulla legittimazione della CCL si è mossa, innanzitutto, nel campo delle principali teorie societarie: le tradizionali impostazioni di impronta monistica, il c.d. monistic approach più spesso denominato shareholders primacy o value, quello cioè che lega l’essenza delle companies e del diritto societario ad un fine o ad un mezzo, e l’universo dei pluralistic approachs. Il primo orientamento, che sin verso la fine del 2000 era la posizione più diffusa, nasconde dietro l’uso del singolare una pluralità di alternative abbastanza ampia, elaborazioni differenti per la matrice dalla quale traggono origine: la «scienza» del diritto, quella economica e persino quella politica. Il monistic approach in ogni caso – in ogni sua declinazione – si reggerebbe sulla pretesa corrispondenza tra «the best interest of the corporation» e «the best interest of shareholders» (purezza dei fini); è per questo che il monistic approach è stato definito, ma in una prospettiva economica, come «wealth maximization norm». La specifica essenza di tale indirizzo, tuttavia, non si risolve nell’affermazione che «The purpose of business corporation is the creation of wealth, nothing else»; ma, al contrario, esso andrebbe inteso nel senso che «The efficiency goal of maximizing the company’s value to investors remains ... the principal function of corporate law». La CL viene concepita come una forma di private law, che trova nell’efficienza economica la sua unità di misura, il mezzo e l’obiettivo intermedio, e le assegnano il solo scopo di favorire l’impresa, piccola o grande che sia, a realizzare l’interesse dei soci (il profitto). La CL avrebbe, dunque, un carattere default, perché all’imprenditore deve essere riservata la libertà di scegliere i mezzi più utili alla realizzazione dell’unico scopo dell’impresa societaria. Nel radical monistic approach, pertanto, la CL tende a corrispondere alla self-regulation dei soci. La società stessa stenta ad emergere come entità a sé stante, rispetto alle relazioni economiche e giuridiche tra i soggetti che la compongono. Questa impostazione tendenzialmente non riconosce alcun ruolo all’intervento punitivo. Altrettanto scarso è il ruolo riconosciuto al magistero penale o comunque punitivo nell’altro approccio monistico della letteratura angloamericana, la directors primacy. Premesso che l’obiettivo delle società commerciali, come nella shareholders primacy, è di realizzare la massima ricchezza possibile la directors primacy, tuttavia, lega questa conclusione ad un percorso argomentativo opposto rispetto a quello del monistic approach. L’elemento discriminante è costituito dalla critica dell’owner argument, in the fact e in the law. Secondo tale impostazione, il diritto societario dovrebbe valorizzare le virtù della discrezionalità gestoria, e favorire il dispiegamento dei poteri amministrativi. Discende da questa premessa una concezione molto soft del diritto societario, senza diritto penale, che sotto le vesti della self-regulation assicura una sostanziale impunità ai directors. A fronte dell’insuccesso dei tentativi di revisione delle teorie monistiche, si è registrata l’affermazione dei pluralistic approachs. In questo articolato complesso teorico il diritto penale societario deve molto all’evoluzione della new corporate governance e, dopo lo spartiacque dell’undici settembre, a quella che possiamo definire post corporate governance. In relazione a quest’ultima etichetta la ricerca rileva che le reazioni legislative post-Enron, paradigmaticamente espresse nel Sarbanes-Oxley Act, hanno in parte alterato il codice genetico della new corporate governance, determinando, tra gli altri effetti, un sconvolgimento del rapporto tra authority e accountability, disposizioni derogabili e disposizioni imperative, oltre l’alternativa tra self-regulation e deregulation. Enron, World.com, Tyco ecc. hanno fatto crollare la potente retorica della entrepreneurship. Appare evidente come post-Enron, la corporate governance sia divenuta un sistema di gestione dell’impresa «risultante da un complesso di regole di natura diversa ma, soprattutto, con funzioni diverse – «Bonding-moniroting-discipline device» – che hanno assunto i tratti dei sistemi che disciplinano «intentional activities of attempting to control, order or influence the behaviour of others». Così intesa, la (post) corporate governance è regulation a tutto campo, al di là della contrapposizione tra weak e strong corporate governance, self-regulation e deregulation. L’esame dal versante penalistico della CCL sconta il ritardo della dottrina GB negli studi di parte speciale, delle statutory offences, un ritardo che persiste, nonostante la ripresa conclamata dalla pubblicazione a cura di Antony Duff e Stuart Green, «Defining Crimes. Essays in the Special Part of the Criminal Law». Ciò nonpertanto, analizzando le riflessioni disponibili (in parte frutto di questo nuovo indirizzo di ricerca) si distingue un ventaglio di posizioni comprese tra l’opzione degli autori che aborrono l’uso del diritto penale nel controllo delle attività economiche e quelle di coloro che, all’opposto, si spingono a patrocinare un uso, anche soltanto simbolico, della risorsa penalistica. I sostenitori del «criminal law minimalism» auspicano che l’intervento penale sia contenuto entro limiti ristrettissimi. Un filone più radicale di questo indirizzo propone un progetto di riforma articolato in due fasi: la prima corrisponderebbe alla cancellazione della CCL; la seconda al suo adeguamento alle più tradizionali fattispecie di fraud. Alla base di questo orientamento ci sarebbe la preoccupazione che la CCL interferisca con la freedom of action, ed il rischio che la cultura della colpa soffochi le imprese e l’innovazione. Si tratta di valutazioni condivise anche da quello che si potrebbe definire l’orientamento intermedio. Si tratta di un approccio che, per un verso, riconosce la necessità/opportunità dell’intervento penale nella disciplina delle società, per l’altro, tuttavia, postula che la CCL sia circoscritta solo alle condotte francamente fraudolente ovvero a quelle che abbiano causato significative perdite agli azionisti, riservando ai comportamenti meno gravi sanzioni di tipo diverso, in particolare civilistico. Tra gli autori che, invece, riconoscono con maggiore o minore ampiezza la legittimità della CCL possono essere segnalati due orientamenti, diversi dal punto di vista metodologico prima ancora che contenutistico. Da un lato, si pone l’opera di chi valorizza il collegamento tra CCL e teorie societarie. Si allude agli autori che presentano la CCL come un sistema di regulatory offences relativa alle economic regulations specificatamente deputato all’enforcement della CL. La CL dovrebbe porre le basi della «partial deterrence» che la CCL dovrebbe elevare ad «optimal deterrence», pur nella consapevolezza che le condizioni in cui versa il sistema penale sono tali da escludere che l’obiettivo dell’effettività sia realizzabile, anche a causa della difficoltà di riconoscimento della tipologia di reati in esame, la cui natura è un fattore di ineffettività e ha bassi livelli di compliance. I sostenitori del secondo approccio, invece, definiscono l’ambito dell’intervento penale nel campo del diritto societario sulla base di un duplice ordine di argomenti: la necessità di norme imperative nonché l’importanza dell’enforcement, la legittimità di un uso solo simbolico del diritto penale, presentati come un sistema di controllo più effettivo della self-regulation. L’esperienza della GB mostra, tuttavia, come né la self-regulation, né l’auto-regolamentazione abbiano prodotto risultati positivi; l’enforcement della CL, infatti, richiede, ad opinione dei più, schemi poliedrici, compositi, fatti di sanzioni civili, penali e «schemi» del diritto amministrativo. La terza fase della ricerca muove dalla ricognizione delle caratteristiche come dire somatiche e quindi strutturale della nuova CCL. Risulta agevole osservare, sotto il primo aspetto, che quello del CA è un diritto penale pressoché continuo: il CA contiene 216 offences, a cui si aggiungono le sette offences del CA 1985 non abrogate, ed altri ancora. Sotto il profilo delle caratteristiche strutturali, emerge che i reati societari (le offences del CA e delle altre “leggi” comunque riferibili alla CCL) del CA hanno carattere prevalentemente sanzionatorio. Le offences sono definite mediante la tecnica del rinvio; puniscono l’inosservanza di una regola; sono fattispecie che possiedono una intrinseca struttura contravvenzionale; il perno della loro antigiuridicità, con qualche eccezione consiste nel semplice contrasto della condotta con una regola preventiva od organizzativa; il comune oggetto giuridico di categoria si identifica con il pubblico interesse all’ordine del mercato; sono in larghissima maggioranza illeciti propri o comunque a soggettività ristretta; l’opzione penale non è mai rigida, spaziando tra multa, imprisonment e applicazione della procedura della summary conviction. La quarta e ultima fase della ricerca si collega alle ricerche sulla complessità e sottosistema nelle prospettive di riforma diritto penale esplorando la possibilità di applicare la nozione di sottosistema, ridefinita nell’omonimo saggio del 2005, alla CCL. Questo ambito della ricerca è introdotto da alcune verifiche preliminari circa temi, magari scontati negli ordinamenti continentali, ma non altrettanto ovvii nell’ordinamento giuridico GB. Si pensi, in particolare, alla diarchia parte generale/parte speciale. Nella criminal law di Inghilterra, Galles e Scozia non esiste una parte generale scritta e il preteso successo che, a detta di taluni autori, l’espressione «general part» avrebbe riscosso nell’esperienza giuridica locale, in realtà non ha travalicato l’ambito dei lavori della codificazione penale (mancando, invece, riscontri numerosi nella letteratura penalistica). Un dato certo, al riguardo, è che la pluralità di soluzioni espressive adoperate per indicare la parte generale – general principles o general part – deve essere letta come indice delle molteplici incertezze nelle quali si dibatte il concetto in esame, soprattutto in ordine alla funzione che la parte generale dovrebbe assolvere. Le numerose obiezioni che sono state mosse alle c.d. grandi architetture della parte generale, in particolare a quelle elaborate da John Gardner e G. P. Fletcher, fungono da premesse alle elaborazioni concettuali che conducono ad una ridefinizione della parte generale, cui si collega la possibilità di elaborare una nozione sistematica di CCL, ossia di costruire un diritto penale societario corrispondente ad una famiglia di reati (c.d. family of offences ) piuttosto che al CA. Il problema della definitional general part appare, pertanto, strettamente connesso al concetto di «family of offences». Nell’esperienza giuridico-penale GB, mancano, tuttavia la categorie intermedie della parte speciale, che nell’ esperienza continentale avevano condotto ad una rielaborazione della parte generale oltre che alla revisione della parte speciale. Par tale ragione sarebbe temerario affermare senz’altro che la nozione di family of offences supplisca a questa carenza e possa fungere da base per costruire attorno alle offences del CA un più ampio sottosistema del diritto penale societario. Occorre, pertanto, mettere a fuoco altri e più solidi argomenti tra cui spicca l’osservazione che nessun grande ramo dell’ordinamento sia assolutamente staccato dagli altri e, quindi, che «ogni nuova legge debba essere coordinata con l’ordinamento (“existing body of law” )». Questa consapevolezza, tuttavia, per quanto importante appare ancora troppo generica. Risultano, invece, più rilevanti ulteriori elementi: – Il primo è legato alla esondazione della CL oltre gli argini del CA : un punto fermo è stato raggiunto e riguarda proprio la consapevolezza che, dopo le leggi del 1986 e del 2000, il CA non è più l’unica fonte delle disposizioni rilevanti per le companies; – il secondo è rappresentato dalla tendenza dei c.d. «minicodes». La Law Commission dopo il fallimento del Draf Code pubblicato nel 1989, che non venne neppure presentato al Parlamento, ha intrapreso la strada di riforme circoscritte ad alcune specifiche aeree di offences. «Questa opzione riflette – è stato osservato – un giudizio pragmatico in ordine alla scarsa probabilità che la riforma del diritto penale possa essere risolta in un sol colpo con l’emanazione di un codice». Come dire: meglio seguire un approccio alla riforma della criminal law meno impegnativo del global restatement della legge penale che il codice consentirebbe, ma che la politica non sembra in condizioni di realizzare, e procedere con micro-riforme di quegli ambiti della parte generale (es. complicity) o della parte speciale più bisognosi di revisione e rinnovamento; – il trend della Law Commission accredita l’operazione di costruzione della CCL sotto un duplice profilo: per un verso rivela che va maturando in GB un approccio alla parte speciale volto ad evidenziare le specifiche caratteristiche delle molte articolazioni nelle quali si scompone; per l’altro denota la consapevolezza della necessità di esplorare opzioni di riforma penale alternative a quella – attualmente impraticabile – della codificazione. Nel contesto così descritto, risultano decisivi due dati normativi: – il primo è una disposizione contenuta nel Financial Service and Market Act 2000 (FSMA) che espressamente autorizza, anzi forse impone, la ricostruzione di un concetto di CCL più esteso rispetto ai confini del CA. Il riferimento è alla s 2 (2), lett. d) che attribuisce all’Autorithy dei mercati finanziari (Financial Service Authority) il compito di operare anche per la riduzione del «financial crime». La s 6 (3) della stessa “legge” stabilisce che sono «financial crimes» i reati che consistono in «a) frode o disonestà; b) correttezze o abusi nelle informazioni relative ad un mercato finanziario; c) riciclaggio dei proventi del reato». – Il secondo è l’estensione dei presupposti della company directors disqualification anche alle serious offences commesse nella direzione o nella gestione di una società. La ricerca, sulla scorta di queste premesse, approda alla conclusione che la nozione di sottosistema può essere applicata alla CCL. La parte speciale è composta dai reati delle categorie elencate dalla citata s 6 (3) del FSMA; il nucleo della parte generale è composto dalla s 1121 nella del CA (nella parte in cui definisce soggetti dei “reati societari” ed i relativi criteri di imputazione) e nel Disqualification Act 1986. Soggetti. La s 1121 (rubricata Liability of officers in default) sotto questo profilo assolve ad una funzione «dichiarativa» e di «commutazione». La funzione «dichiarativa» rinvia alla disciplina dei general duties dei directors, i general duties, in particolare: i molteplici aspetti del duty of care (o dovere di diligenza) – il duty to monitor, il duty to inquiry, il dovere di assumere decisioni regionevoli in particolare – e il dovere di buona fede. La funzione di «commutazione» è disciplinata dalla s 1121 nella parte in cui equipara agli officers i soggetti che tali non sono, ma tali devono essere considerati. La funzione di commutazione consiste nel meccanismo di estensione (parziale o integrale) ad un soggetto che non è un de iure director dei doveri e delle responsabilità riservati al de iure director. Nel CA manca una qualunque indicazione circa il principio di conversione, che è il presupposto per l’operatività della funzione di commutazione. Manca, cioè, un parametro valutativo che funga da punto di mediazione tra contrapposte esigenze: quella di impedire che le qualifiche societarie diventino un mezzo per eludere piuttosto che organizzare la responsabilità, da un lato; e, dall’altro, quella di definire forme di accountability sufficientemente precise e bilanciate, che circoscrivano la commutazione solo alle situazioni meritevoli di essere assoggettate alla stessa disciplina riservata al de iure director. Manca, in altri termini, un’indicazione analoga a quella contenuta nell’art. 2639, comma 1, del codice civile italiano. Le conseguenti incertezze riguardano sia il de facto director sia lo shadow director (molto controversa in particolare risulta la riferibilità di tale qualifica anche alle company e alle banche) La s 1121 del CA disciplina anche i criteri di imputazione soggettiva dell’officer, chiamato a rispondere delle offences commesse dalla società o nell’ambito della società. La funzione della s 1121 (e delle ss 12 del Fraud Act e 400 (1) del FSMA) è di chiarire il requisito soggettivo della responsabilità degli officer, precisando che agli esponenti societari non può essere addossata un’absolute liability; lo scopo di tutta la s 1121 è di estendere la responsabilità penale delle offences commesse dalla company agli officers, mentre la ratio della scelta operata dalla s 1121 è di circoscrivere la responsabilità dell’officer alla negligenza. La director liability è dunque un’ipotesi di responsabilità per colpa e, per converso, non può essere una forma di strict liability o di vicarius liability, posto che sia l’una che altra sono considerate, prevalentemente, forme di responsabilità senza colpa. Di indubbia collocazione nella parte generale della CCL è, infine, la disciplina della disqualification, nonostante l’incerta natura della procedura e del provvedimento. Il dato normativo induce a pensare che la disqualification abbia natura civilistica nei casi in cui è consentito l’assoggettamento volontario alla misura (solo unfitness), mentre abbia natura penale nelle altre circostanze. La discreta efficacia disqualification ripropone la riflessione sull’opportunità che le sanzioni interdittive cessino di essere confinate tra le sanzioni accessorie e acquistino la dignità di pene principali in lungo della reclusione (o dell’arresto), pena che colpisce un bene, la libertà personale (in senso stretto), del tutto disomogeneo rispetto alla fenomenologia criminosa entro cui si iscrivono i reati degli esponenti societari.

La riforma del diritto penale societario in Gran Bretania tra self-regulation e ipertrofia sanzionatoria: minicodificazione e parte generale, nella collana delle Pubblicazioni della Facoltà giuridica dell’Università degli Studi di Bari, n. 157

LOSAPPIO, Giuseppe
2008-01-01

Abstract

Lo spunto per l’indagine è stato offerto dalla circostanza storica della coincidenza temporale tra la riforma della Company Law (CL) in Gran Bretagna (Company Act 2006 (CA), e la riforma del diritto societario model-years 2001-2005 in Italia (quella compresa tra le ll. n. 266/2001 e n. 262-2005), unitamente al senso di insoddisfazione che entrambe le nuove discipline penal-societarie avevano suscitato. L’attrazione per il tema ha assunto maggiore consistenza alla luce di diversi fattori: – la constatazione della assenza, quasi assoluta, in Italia di ricerche sulla Company Criminal Law (CCL) e sulla parte speciale della criminal law (una ripresa di interesse per la criminal law – in effetti – si è registrata, in Italia, solo a partire dagli anni ’90, ma limitatamente alla parte generale); – i persistenti insuccessi dei tentativi di codificazione in Italia e GB; – la progressiva riduzione delle distanze tra il sistema giuridico-penale GB e quelli continentali. Il successivo sviluppo della ricerca si è snodato in quattro fasi: – storia, metodo, ragioni e prospettive della riforma; – legittimazione della CCL tra self-regulation e ipertrofia, teorie societarie e teorie penali; – le caratteristiche della CCL; – la CCL come forma di minicodificazione. La ricerca sulla legittimazione della CCL si è mossa, innanzitutto, nel campo delle principali teorie societarie: le tradizionali impostazioni di impronta monistica, il c.d. monistic approach più spesso denominato shareholders primacy o value, quello cioè che lega l’essenza delle companies e del diritto societario ad un fine o ad un mezzo, e l’universo dei pluralistic approachs. Il primo orientamento, che sin verso la fine del 2000 era la posizione più diffusa, nasconde dietro l’uso del singolare una pluralità di alternative abbastanza ampia, elaborazioni differenti per la matrice dalla quale traggono origine: la «scienza» del diritto, quella economica e persino quella politica. Il monistic approach in ogni caso – in ogni sua declinazione – si reggerebbe sulla pretesa corrispondenza tra «the best interest of the corporation» e «the best interest of shareholders» (purezza dei fini); è per questo che il monistic approach è stato definito, ma in una prospettiva economica, come «wealth maximization norm». La specifica essenza di tale indirizzo, tuttavia, non si risolve nell’affermazione che «The purpose of business corporation is the creation of wealth, nothing else»; ma, al contrario, esso andrebbe inteso nel senso che «The efficiency goal of maximizing the company’s value to investors remains ... the principal function of corporate law». La CL viene concepita come una forma di private law, che trova nell’efficienza economica la sua unità di misura, il mezzo e l’obiettivo intermedio, e le assegnano il solo scopo di favorire l’impresa, piccola o grande che sia, a realizzare l’interesse dei soci (il profitto). La CL avrebbe, dunque, un carattere default, perché all’imprenditore deve essere riservata la libertà di scegliere i mezzi più utili alla realizzazione dell’unico scopo dell’impresa societaria. Nel radical monistic approach, pertanto, la CL tende a corrispondere alla self-regulation dei soci. La società stessa stenta ad emergere come entità a sé stante, rispetto alle relazioni economiche e giuridiche tra i soggetti che la compongono. Questa impostazione tendenzialmente non riconosce alcun ruolo all’intervento punitivo. Altrettanto scarso è il ruolo riconosciuto al magistero penale o comunque punitivo nell’altro approccio monistico della letteratura angloamericana, la directors primacy. Premesso che l’obiettivo delle società commerciali, come nella shareholders primacy, è di realizzare la massima ricchezza possibile la directors primacy, tuttavia, lega questa conclusione ad un percorso argomentativo opposto rispetto a quello del monistic approach. L’elemento discriminante è costituito dalla critica dell’owner argument, in the fact e in the law. Secondo tale impostazione, il diritto societario dovrebbe valorizzare le virtù della discrezionalità gestoria, e favorire il dispiegamento dei poteri amministrativi. Discende da questa premessa una concezione molto soft del diritto societario, senza diritto penale, che sotto le vesti della self-regulation assicura una sostanziale impunità ai directors. A fronte dell’insuccesso dei tentativi di revisione delle teorie monistiche, si è registrata l’affermazione dei pluralistic approachs. In questo articolato complesso teorico il diritto penale societario deve molto all’evoluzione della new corporate governance e, dopo lo spartiacque dell’undici settembre, a quella che possiamo definire post corporate governance. In relazione a quest’ultima etichetta la ricerca rileva che le reazioni legislative post-Enron, paradigmaticamente espresse nel Sarbanes-Oxley Act, hanno in parte alterato il codice genetico della new corporate governance, determinando, tra gli altri effetti, un sconvolgimento del rapporto tra authority e accountability, disposizioni derogabili e disposizioni imperative, oltre l’alternativa tra self-regulation e deregulation. Enron, World.com, Tyco ecc. hanno fatto crollare la potente retorica della entrepreneurship. Appare evidente come post-Enron, la corporate governance sia divenuta un sistema di gestione dell’impresa «risultante da un complesso di regole di natura diversa ma, soprattutto, con funzioni diverse – «Bonding-moniroting-discipline device» – che hanno assunto i tratti dei sistemi che disciplinano «intentional activities of attempting to control, order or influence the behaviour of others». Così intesa, la (post) corporate governance è regulation a tutto campo, al di là della contrapposizione tra weak e strong corporate governance, self-regulation e deregulation. L’esame dal versante penalistico della CCL sconta il ritardo della dottrina GB negli studi di parte speciale, delle statutory offences, un ritardo che persiste, nonostante la ripresa conclamata dalla pubblicazione a cura di Antony Duff e Stuart Green, «Defining Crimes. Essays in the Special Part of the Criminal Law». Ciò nonpertanto, analizzando le riflessioni disponibili (in parte frutto di questo nuovo indirizzo di ricerca) si distingue un ventaglio di posizioni comprese tra l’opzione degli autori che aborrono l’uso del diritto penale nel controllo delle attività economiche e quelle di coloro che, all’opposto, si spingono a patrocinare un uso, anche soltanto simbolico, della risorsa penalistica. I sostenitori del «criminal law minimalism» auspicano che l’intervento penale sia contenuto entro limiti ristrettissimi. Un filone più radicale di questo indirizzo propone un progetto di riforma articolato in due fasi: la prima corrisponderebbe alla cancellazione della CCL; la seconda al suo adeguamento alle più tradizionali fattispecie di fraud. Alla base di questo orientamento ci sarebbe la preoccupazione che la CCL interferisca con la freedom of action, ed il rischio che la cultura della colpa soffochi le imprese e l’innovazione. Si tratta di valutazioni condivise anche da quello che si potrebbe definire l’orientamento intermedio. Si tratta di un approccio che, per un verso, riconosce la necessità/opportunità dell’intervento penale nella disciplina delle società, per l’altro, tuttavia, postula che la CCL sia circoscritta solo alle condotte francamente fraudolente ovvero a quelle che abbiano causato significative perdite agli azionisti, riservando ai comportamenti meno gravi sanzioni di tipo diverso, in particolare civilistico. Tra gli autori che, invece, riconoscono con maggiore o minore ampiezza la legittimità della CCL possono essere segnalati due orientamenti, diversi dal punto di vista metodologico prima ancora che contenutistico. Da un lato, si pone l’opera di chi valorizza il collegamento tra CCL e teorie societarie. Si allude agli autori che presentano la CCL come un sistema di regulatory offences relativa alle economic regulations specificatamente deputato all’enforcement della CL. La CL dovrebbe porre le basi della «partial deterrence» che la CCL dovrebbe elevare ad «optimal deterrence», pur nella consapevolezza che le condizioni in cui versa il sistema penale sono tali da escludere che l’obiettivo dell’effettività sia realizzabile, anche a causa della difficoltà di riconoscimento della tipologia di reati in esame, la cui natura è un fattore di ineffettività e ha bassi livelli di compliance. I sostenitori del secondo approccio, invece, definiscono l’ambito dell’intervento penale nel campo del diritto societario sulla base di un duplice ordine di argomenti: la necessità di norme imperative nonché l’importanza dell’enforcement, la legittimità di un uso solo simbolico del diritto penale, presentati come un sistema di controllo più effettivo della self-regulation. L’esperienza della GB mostra, tuttavia, come né la self-regulation, né l’auto-regolamentazione abbiano prodotto risultati positivi; l’enforcement della CL, infatti, richiede, ad opinione dei più, schemi poliedrici, compositi, fatti di sanzioni civili, penali e «schemi» del diritto amministrativo. La terza fase della ricerca muove dalla ricognizione delle caratteristiche come dire somatiche e quindi strutturale della nuova CCL. Risulta agevole osservare, sotto il primo aspetto, che quello del CA è un diritto penale pressoché continuo: il CA contiene 216 offences, a cui si aggiungono le sette offences del CA 1985 non abrogate, ed altri ancora. Sotto il profilo delle caratteristiche strutturali, emerge che i reati societari (le offences del CA e delle altre “leggi” comunque riferibili alla CCL) del CA hanno carattere prevalentemente sanzionatorio. Le offences sono definite mediante la tecnica del rinvio; puniscono l’inosservanza di una regola; sono fattispecie che possiedono una intrinseca struttura contravvenzionale; il perno della loro antigiuridicità, con qualche eccezione consiste nel semplice contrasto della condotta con una regola preventiva od organizzativa; il comune oggetto giuridico di categoria si identifica con il pubblico interesse all’ordine del mercato; sono in larghissima maggioranza illeciti propri o comunque a soggettività ristretta; l’opzione penale non è mai rigida, spaziando tra multa, imprisonment e applicazione della procedura della summary conviction. La quarta e ultima fase della ricerca si collega alle ricerche sulla complessità e sottosistema nelle prospettive di riforma diritto penale esplorando la possibilità di applicare la nozione di sottosistema, ridefinita nell’omonimo saggio del 2005, alla CCL. Questo ambito della ricerca è introdotto da alcune verifiche preliminari circa temi, magari scontati negli ordinamenti continentali, ma non altrettanto ovvii nell’ordinamento giuridico GB. Si pensi, in particolare, alla diarchia parte generale/parte speciale. Nella criminal law di Inghilterra, Galles e Scozia non esiste una parte generale scritta e il preteso successo che, a detta di taluni autori, l’espressione «general part» avrebbe riscosso nell’esperienza giuridica locale, in realtà non ha travalicato l’ambito dei lavori della codificazione penale (mancando, invece, riscontri numerosi nella letteratura penalistica). Un dato certo, al riguardo, è che la pluralità di soluzioni espressive adoperate per indicare la parte generale – general principles o general part – deve essere letta come indice delle molteplici incertezze nelle quali si dibatte il concetto in esame, soprattutto in ordine alla funzione che la parte generale dovrebbe assolvere. Le numerose obiezioni che sono state mosse alle c.d. grandi architetture della parte generale, in particolare a quelle elaborate da John Gardner e G. P. Fletcher, fungono da premesse alle elaborazioni concettuali che conducono ad una ridefinizione della parte generale, cui si collega la possibilità di elaborare una nozione sistematica di CCL, ossia di costruire un diritto penale societario corrispondente ad una famiglia di reati (c.d. family of offences ) piuttosto che al CA. Il problema della definitional general part appare, pertanto, strettamente connesso al concetto di «family of offences». Nell’esperienza giuridico-penale GB, mancano, tuttavia la categorie intermedie della parte speciale, che nell’ esperienza continentale avevano condotto ad una rielaborazione della parte generale oltre che alla revisione della parte speciale. Par tale ragione sarebbe temerario affermare senz’altro che la nozione di family of offences supplisca a questa carenza e possa fungere da base per costruire attorno alle offences del CA un più ampio sottosistema del diritto penale societario. Occorre, pertanto, mettere a fuoco altri e più solidi argomenti tra cui spicca l’osservazione che nessun grande ramo dell’ordinamento sia assolutamente staccato dagli altri e, quindi, che «ogni nuova legge debba essere coordinata con l’ordinamento (“existing body of law” )». Questa consapevolezza, tuttavia, per quanto importante appare ancora troppo generica. Risultano, invece, più rilevanti ulteriori elementi: – Il primo è legato alla esondazione della CL oltre gli argini del CA : un punto fermo è stato raggiunto e riguarda proprio la consapevolezza che, dopo le leggi del 1986 e del 2000, il CA non è più l’unica fonte delle disposizioni rilevanti per le companies; – il secondo è rappresentato dalla tendenza dei c.d. «minicodes». La Law Commission dopo il fallimento del Draf Code pubblicato nel 1989, che non venne neppure presentato al Parlamento, ha intrapreso la strada di riforme circoscritte ad alcune specifiche aeree di offences. «Questa opzione riflette – è stato osservato – un giudizio pragmatico in ordine alla scarsa probabilità che la riforma del diritto penale possa essere risolta in un sol colpo con l’emanazione di un codice». Come dire: meglio seguire un approccio alla riforma della criminal law meno impegnativo del global restatement della legge penale che il codice consentirebbe, ma che la politica non sembra in condizioni di realizzare, e procedere con micro-riforme di quegli ambiti della parte generale (es. complicity) o della parte speciale più bisognosi di revisione e rinnovamento; – il trend della Law Commission accredita l’operazione di costruzione della CCL sotto un duplice profilo: per un verso rivela che va maturando in GB un approccio alla parte speciale volto ad evidenziare le specifiche caratteristiche delle molte articolazioni nelle quali si scompone; per l’altro denota la consapevolezza della necessità di esplorare opzioni di riforma penale alternative a quella – attualmente impraticabile – della codificazione. Nel contesto così descritto, risultano decisivi due dati normativi: – il primo è una disposizione contenuta nel Financial Service and Market Act 2000 (FSMA) che espressamente autorizza, anzi forse impone, la ricostruzione di un concetto di CCL più esteso rispetto ai confini del CA. Il riferimento è alla s 2 (2), lett. d) che attribuisce all’Autorithy dei mercati finanziari (Financial Service Authority) il compito di operare anche per la riduzione del «financial crime». La s 6 (3) della stessa “legge” stabilisce che sono «financial crimes» i reati che consistono in «a) frode o disonestà; b) correttezze o abusi nelle informazioni relative ad un mercato finanziario; c) riciclaggio dei proventi del reato». – Il secondo è l’estensione dei presupposti della company directors disqualification anche alle serious offences commesse nella direzione o nella gestione di una società. La ricerca, sulla scorta di queste premesse, approda alla conclusione che la nozione di sottosistema può essere applicata alla CCL. La parte speciale è composta dai reati delle categorie elencate dalla citata s 6 (3) del FSMA; il nucleo della parte generale è composto dalla s 1121 nella del CA (nella parte in cui definisce soggetti dei “reati societari” ed i relativi criteri di imputazione) e nel Disqualification Act 1986. Soggetti. La s 1121 (rubricata Liability of officers in default) sotto questo profilo assolve ad una funzione «dichiarativa» e di «commutazione». La funzione «dichiarativa» rinvia alla disciplina dei general duties dei directors, i general duties, in particolare: i molteplici aspetti del duty of care (o dovere di diligenza) – il duty to monitor, il duty to inquiry, il dovere di assumere decisioni regionevoli in particolare – e il dovere di buona fede. La funzione di «commutazione» è disciplinata dalla s 1121 nella parte in cui equipara agli officers i soggetti che tali non sono, ma tali devono essere considerati. La funzione di commutazione consiste nel meccanismo di estensione (parziale o integrale) ad un soggetto che non è un de iure director dei doveri e delle responsabilità riservati al de iure director. Nel CA manca una qualunque indicazione circa il principio di conversione, che è il presupposto per l’operatività della funzione di commutazione. Manca, cioè, un parametro valutativo che funga da punto di mediazione tra contrapposte esigenze: quella di impedire che le qualifiche societarie diventino un mezzo per eludere piuttosto che organizzare la responsabilità, da un lato; e, dall’altro, quella di definire forme di accountability sufficientemente precise e bilanciate, che circoscrivano la commutazione solo alle situazioni meritevoli di essere assoggettate alla stessa disciplina riservata al de iure director. Manca, in altri termini, un’indicazione analoga a quella contenuta nell’art. 2639, comma 1, del codice civile italiano. Le conseguenti incertezze riguardano sia il de facto director sia lo shadow director (molto controversa in particolare risulta la riferibilità di tale qualifica anche alle company e alle banche) La s 1121 del CA disciplina anche i criteri di imputazione soggettiva dell’officer, chiamato a rispondere delle offences commesse dalla società o nell’ambito della società. La funzione della s 1121 (e delle ss 12 del Fraud Act e 400 (1) del FSMA) è di chiarire il requisito soggettivo della responsabilità degli officer, precisando che agli esponenti societari non può essere addossata un’absolute liability; lo scopo di tutta la s 1121 è di estendere la responsabilità penale delle offences commesse dalla company agli officers, mentre la ratio della scelta operata dalla s 1121 è di circoscrivere la responsabilità dell’officer alla negligenza. La director liability è dunque un’ipotesi di responsabilità per colpa e, per converso, non può essere una forma di strict liability o di vicarius liability, posto che sia l’una che altra sono considerate, prevalentemente, forme di responsabilità senza colpa. Di indubbia collocazione nella parte generale della CCL è, infine, la disciplina della disqualification, nonostante l’incerta natura della procedura e del provvedimento. Il dato normativo induce a pensare che la disqualification abbia natura civilistica nei casi in cui è consentito l’assoggettamento volontario alla misura (solo unfitness), mentre abbia natura penale nelle altre circostanze. La discreta efficacia disqualification ripropone la riflessione sull’opportunità che le sanzioni interdittive cessino di essere confinate tra le sanzioni accessorie e acquistino la dignità di pene principali in lungo della reclusione (o dell’arresto), pena che colpisce un bene, la libertà personale (in senso stretto), del tutto disomogeneo rispetto alla fenomenologia criminosa entro cui si iscrivono i reati degli esponenti societari.
2008
978-88-8422-749-2
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