La collana della Storia della Basilicata, curata da Gabriele De Rosa e Antonio Cestaro, è nata con l’intento di avviare un processo di revisione critica delle vicende storiche, politiche, economiche, culturali ed artistiche della regione che hanno contribuito, nonostante la non uniforme caratterizzazione geografica, alla costituzione di una identità culturale, nella profonda articolazione della sua storia civile e religiosa. Il volume sul Medioevo, curato da Cosimo Damiano Fonseca, ridiscute criticamente la visione storica derivante dalle ispirazioni ideali del meridionalismo classico di Racioppi, articolandosi in un percorso che va dall’VIII al XV secolo attraverso uno sviluppo tematico e cronologico. Una storia della Basilicata in età angioina e aragonese è impresa assai ardua tenendo presente una serie di fattori che hanno determinato nelle vicende della regione una situazione del tutto particolare. Innanzitutto manca una storiografia artistica che coniugando l’analisi dei monumenti alle fonti e alla storia dei restauri restituisca ai singoli episodi artistici il giusto ruolo nella Storia. Monumenti, fonti e restauri sono tre variabili indipendenti legate al passato di questa regione da sempre terra di frane, terremoti, ruberie, incurie che hanno portato ad una “perdita della memoria”, in un contesto che ogni qualvolta si analizza rivela dinamiche comuni a numerose altre aree culturali del Mezzogiorno. Se l’interesse degli studi si è concentrato sugli episodi più caratterizzanti della regione, legati al periodo altomedievale e medievale (si pensi alla SS. Trinità di Venosa o alla cattedrale di Acerenza), invece man mano ci si avvicina al periodo angioino ed aragonese comincia a crearsi un vuoto in cui trovano spazio solo alcune voci solitarie di cultori locali, con i relativi meriti e demeriti. In tale contesto bisogna riconoscere che il versante della pittura e della scultura risultano in questi ultimi anni più indagati e conosciuti, perché più ricchi, rispetto a quello dell’architettura, oggetto di questo contributo. Nell'ambito degli studi di storia dell’architettura molte e sostanziali sono state le trasformazioni di età moderna, anche a causa dei terremoti che da sempre hanno lacerato la regione giocando, come è facile immaginare, un ruolo centrale per la conservazione del patrimonio artistico. Un’esempio di questa situazione è la valle del Vulture, con l’eccezione di Rapolla, Atella e, nel periodo aragonese, di Venosa. L’analisi dell’edilizia sacra e civile non può prescindere dalla storia dei restauri, molto spesso vere e proprie ricostruzioni. L’età angiona si caratterizza per il cospicuo numero di insediamenti francescni e domenicani. Tra le poche originali testimonianze quelle di Banzi, Tricarico, Miglionico, Genzano, Irsina per scendere poi verso valle, verso il mare, dove la città di Matera testimonia con le sue belle architetture e cicli d’affreschi una cultura di segno diverso, fortemente integrata ai territorio della Terra d’Otranto. Il fiorire di questi episodi si diffonde con capillarità all’interno di singole realtà territoriali di proprietà di grandi feudatari legati alla corte angioina, come i Del Balzo ed i Sanseverino. Anche nell’età aragonese i due casi più significativi della regione sono dovuti a due grossi e potenti feudatari, Pirro del Balzo a Venosa, che trasforma l’antica città prima romana, poi benedettina in un territorio urbano fortificato, e Innico de Guevara, un nobile uomo d’armi catalano, il quale ricevuta in feudo Potenza nel 1445, insieme alle terre di Vignola, Anzi, Vietri e Rivisco, avviò un processo di profonda trasformazione urbana, mostrandosi attento e munifico committente nei confronti della chiesa locale. Alla sua morte, gli successe il figlio Antonio, Gran Siniscalco del Regno, come il padre, e conte di Potenza dal 1471 al 1514, completando quel processo di ammodernamento dell’immagine urbana ancora chiaramente leggibile, sia pure poco valorizzata.
Edilizia religiosa e civile dell'età angioina e aragonese
DEROSA, Luisa Maria Sterpeta
2006-01-01
Abstract
La collana della Storia della Basilicata, curata da Gabriele De Rosa e Antonio Cestaro, è nata con l’intento di avviare un processo di revisione critica delle vicende storiche, politiche, economiche, culturali ed artistiche della regione che hanno contribuito, nonostante la non uniforme caratterizzazione geografica, alla costituzione di una identità culturale, nella profonda articolazione della sua storia civile e religiosa. Il volume sul Medioevo, curato da Cosimo Damiano Fonseca, ridiscute criticamente la visione storica derivante dalle ispirazioni ideali del meridionalismo classico di Racioppi, articolandosi in un percorso che va dall’VIII al XV secolo attraverso uno sviluppo tematico e cronologico. Una storia della Basilicata in età angioina e aragonese è impresa assai ardua tenendo presente una serie di fattori che hanno determinato nelle vicende della regione una situazione del tutto particolare. Innanzitutto manca una storiografia artistica che coniugando l’analisi dei monumenti alle fonti e alla storia dei restauri restituisca ai singoli episodi artistici il giusto ruolo nella Storia. Monumenti, fonti e restauri sono tre variabili indipendenti legate al passato di questa regione da sempre terra di frane, terremoti, ruberie, incurie che hanno portato ad una “perdita della memoria”, in un contesto che ogni qualvolta si analizza rivela dinamiche comuni a numerose altre aree culturali del Mezzogiorno. Se l’interesse degli studi si è concentrato sugli episodi più caratterizzanti della regione, legati al periodo altomedievale e medievale (si pensi alla SS. Trinità di Venosa o alla cattedrale di Acerenza), invece man mano ci si avvicina al periodo angioino ed aragonese comincia a crearsi un vuoto in cui trovano spazio solo alcune voci solitarie di cultori locali, con i relativi meriti e demeriti. In tale contesto bisogna riconoscere che il versante della pittura e della scultura risultano in questi ultimi anni più indagati e conosciuti, perché più ricchi, rispetto a quello dell’architettura, oggetto di questo contributo. Nell'ambito degli studi di storia dell’architettura molte e sostanziali sono state le trasformazioni di età moderna, anche a causa dei terremoti che da sempre hanno lacerato la regione giocando, come è facile immaginare, un ruolo centrale per la conservazione del patrimonio artistico. Un’esempio di questa situazione è la valle del Vulture, con l’eccezione di Rapolla, Atella e, nel periodo aragonese, di Venosa. L’analisi dell’edilizia sacra e civile non può prescindere dalla storia dei restauri, molto spesso vere e proprie ricostruzioni. L’età angiona si caratterizza per il cospicuo numero di insediamenti francescni e domenicani. Tra le poche originali testimonianze quelle di Banzi, Tricarico, Miglionico, Genzano, Irsina per scendere poi verso valle, verso il mare, dove la città di Matera testimonia con le sue belle architetture e cicli d’affreschi una cultura di segno diverso, fortemente integrata ai territorio della Terra d’Otranto. Il fiorire di questi episodi si diffonde con capillarità all’interno di singole realtà territoriali di proprietà di grandi feudatari legati alla corte angioina, come i Del Balzo ed i Sanseverino. Anche nell’età aragonese i due casi più significativi della regione sono dovuti a due grossi e potenti feudatari, Pirro del Balzo a Venosa, che trasforma l’antica città prima romana, poi benedettina in un territorio urbano fortificato, e Innico de Guevara, un nobile uomo d’armi catalano, il quale ricevuta in feudo Potenza nel 1445, insieme alle terre di Vignola, Anzi, Vietri e Rivisco, avviò un processo di profonda trasformazione urbana, mostrandosi attento e munifico committente nei confronti della chiesa locale. Alla sua morte, gli successe il figlio Antonio, Gran Siniscalco del Regno, come il padre, e conte di Potenza dal 1471 al 1514, completando quel processo di ammodernamento dell’immagine urbana ancora chiaramente leggibile, sia pure poco valorizzata.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.