L’arte di Dickens demandava alla fatica dell’immaginazione la possibilità di incantare i lettori. Nelle sue storie si narrano ritorni, si aggiungono particolari, si ricomincia spesso tutto da capo. Ampia fu la sua capacità inventiva, a dire il vero anche l’astuzia, nel saper prendere a prestito dalla realtà materiali e oggetti per inscriverli nel suo mondo finto. L’intervento della mano dell’artista è evidente: Dickens scriveva affinché il confine tra verità e finzione si dissolvesse. Iniziava con uno schizzo di intreccio – plan of work – e poi lungo la via trovava le soluzioni inventando traiettorie e anche personaggi. Thackeray non scolpiva la pietra, ma lavorava su sagome tratte dalla tradizione modellandole secondo i canoni ottocenteschi. Rielaborare più che inventare, era il metodo adottato da Thackeray. Era diversa quindi la scelta dei materiali e lo era perché diversi erano i fini e le ambizioni che Dickens e Thackeray inseguivano. Espansione e lentezza, certo come il suo contemporaneo Dickens, ma nelle trame di Thackeray si riconosce una maggiore coesione. Il narratore della storia di Vanity Fair intreccia i fili nel telaio con cura perché alla fine l’arazzo possa risultare completo e senza sfrangiature. Fa sorridere che una delle accuse rivolte a Vanity Fair fu quella di essere una storia frammentaria. Tutti i personaggi di Vanity Fair hanno pari diritto di cittadinanza e nessuno è costretto ad assentarsi per essere leggittimato a vestire i panni del personaggio: lo sono tutti e con uguale dignità.

Dentro la pietra c'è la statua. Note sul personaggio in Dickens e Thackeray

BRONZINI, Stefano
2007-01-01

Abstract

L’arte di Dickens demandava alla fatica dell’immaginazione la possibilità di incantare i lettori. Nelle sue storie si narrano ritorni, si aggiungono particolari, si ricomincia spesso tutto da capo. Ampia fu la sua capacità inventiva, a dire il vero anche l’astuzia, nel saper prendere a prestito dalla realtà materiali e oggetti per inscriverli nel suo mondo finto. L’intervento della mano dell’artista è evidente: Dickens scriveva affinché il confine tra verità e finzione si dissolvesse. Iniziava con uno schizzo di intreccio – plan of work – e poi lungo la via trovava le soluzioni inventando traiettorie e anche personaggi. Thackeray non scolpiva la pietra, ma lavorava su sagome tratte dalla tradizione modellandole secondo i canoni ottocenteschi. Rielaborare più che inventare, era il metodo adottato da Thackeray. Era diversa quindi la scelta dei materiali e lo era perché diversi erano i fini e le ambizioni che Dickens e Thackeray inseguivano. Espansione e lentezza, certo come il suo contemporaneo Dickens, ma nelle trame di Thackeray si riconosce una maggiore coesione. Il narratore della storia di Vanity Fair intreccia i fili nel telaio con cura perché alla fine l’arazzo possa risultare completo e senza sfrangiature. Fa sorridere che una delle accuse rivolte a Vanity Fair fu quella di essere una storia frammentaria. Tutti i personaggi di Vanity Fair hanno pari diritto di cittadinanza e nessuno è costretto ad assentarsi per essere leggittimato a vestire i panni del personaggio: lo sono tutti e con uguale dignità.
2007
9788884984456
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