Ricostruita l’evoluzione storica che ha condotto a superare la concezione - di stampo corporativo - della categoria nazionale come ambito naturale ed unico della contrattazione, il lavoro assume come chiave di lettura del rapporto tra livelli negoziali quella della specializzazione delle funzioni, o meglio, delle competenze della contrattazione decentrata rispetto al c.c.n.l. L’indagine è finalizzata ad accertare se alla luce degli Accordi interconfederali del 2009, si aprano o meno nuovi spazi per la contrattazione di secondo livello. In primo luogo, l’Autore registra una scarsa attenzione verso la dimensione territoriale, che potrebbe risultare la vera risorsa, tuttora non appieno valorizzata, per estendere il decentramento negoziale, differenziando i trattamenti di lavoro in relazione alle esigenze delle parti e alle specificità dei mercati locali del lavoro e dei prodotti e fronteggiando la crescente frantumazione del mercato del lavoro. In secondo luogo, lo scritto analizza gli strumenti messi in campo dai citati Accordi per favorire la presenza del secondo livello negoziale, con particolare riferimento agli incentivi economici (sotto forma di detassazione e decontribuzione), confermando la natura meramente promozionale di tali interventi e, quindi, l’inesistenza di un principio di esigibilità del secondo livello di contrattazione. Vengono analizzati nel dettaglio opportunità e rischi insiti nella strategia di promozione della contrattazione decentrata, anche in riferimento al nuovo meccanismo dell’elemento economico di garanzia. Successivamente, il lavoro approfondisce il meccanismo di ripartizione delle competenze fra i livelli negoziali e, quindi, il significato e la portata della clausola di rinvio, accompagnata da quella di non ripetibilità. Nel merito, le intese del 2009 confermano la competenza della contrattazione decentrata in materia di retribuzione incentivante finalizzata ad incrementare quella che - con una formula riassuntiva - è comunemente chiamata ‘produttività’. Infine, l’attenzione dell’Autore si concentra su quella che è apparsa come la principale novità delle Intese del 2009, ossia le cosiddette clausole di uscita, con le quali è possibile modificare (anche in senso peggiorativo) la disciplina del c.c.n.l. da parte del contratto aziendale, in presenza dei presupposti ivi indicati. Sul piano politico-sindacale, non appare di poco conto che le parti sociali (tutte, tranne l’organizzazione sindacale maggioritaria), abbiano avallato simili clausole, peraltro in termini così ampi ed indeterminati sul piano della finalità da perseguire (governare situazioni di crisi o favorire lo sviluppo economico e occupazionale), sul piano del contenuto (possono essere modificati in tutto o in parte singoli istituti economici o normativi dei contratti nazionali), e sul piano delle tecniche, ossia le «procedure, modalità e condizioni» della derogabilità, genericamente rimesse a «specifiche intese», e – infine - sul piano della durata, dato che le deroghe possono essere introdotte «anche in via sperimentale e temporanea», e quindi anche in via definitiva. Tutto ciò potrebbe avvenire senza alcun controllo o filtro da parte degli agenti contrattuali nazionali, né alcuna soglia di rappresentatività minimale. L’indagine si conclude con una serie di interrogativi, attinenti alla delimitazione dei margini di derogabilità del c.c.n.l., e alla questione della rappresentatività delle organizzazioni che stipulano il contratto decentrato in deroga a quello nazionale. Ci si chiede, insomma, se la contrattazione in deroga potrà svilupparsi anche in assenza di un intervento (legale o pattizio che sia) sul tema della rappresentatività sindacale, questione che si scarica su quella dell’efficacia soggettiva degli accordi in deroga, rispetto ai lavoratori dissenzienti non aderenti alle organizzazioni firmatari degli stessi accordi e, per questo, intenzionati a rivendicare l’applicazione integrale del CCNL, senza le modifiche (ed, in particolare, senza le deroghe peggiorative) apportate in sede decentrata.

Effettivita' e competenze della contrattazione decentrata nel lavoro privato alla luce degli accordi del 2009

VOZA, Roberto
2010-01-01

Abstract

Ricostruita l’evoluzione storica che ha condotto a superare la concezione - di stampo corporativo - della categoria nazionale come ambito naturale ed unico della contrattazione, il lavoro assume come chiave di lettura del rapporto tra livelli negoziali quella della specializzazione delle funzioni, o meglio, delle competenze della contrattazione decentrata rispetto al c.c.n.l. L’indagine è finalizzata ad accertare se alla luce degli Accordi interconfederali del 2009, si aprano o meno nuovi spazi per la contrattazione di secondo livello. In primo luogo, l’Autore registra una scarsa attenzione verso la dimensione territoriale, che potrebbe risultare la vera risorsa, tuttora non appieno valorizzata, per estendere il decentramento negoziale, differenziando i trattamenti di lavoro in relazione alle esigenze delle parti e alle specificità dei mercati locali del lavoro e dei prodotti e fronteggiando la crescente frantumazione del mercato del lavoro. In secondo luogo, lo scritto analizza gli strumenti messi in campo dai citati Accordi per favorire la presenza del secondo livello negoziale, con particolare riferimento agli incentivi economici (sotto forma di detassazione e decontribuzione), confermando la natura meramente promozionale di tali interventi e, quindi, l’inesistenza di un principio di esigibilità del secondo livello di contrattazione. Vengono analizzati nel dettaglio opportunità e rischi insiti nella strategia di promozione della contrattazione decentrata, anche in riferimento al nuovo meccanismo dell’elemento economico di garanzia. Successivamente, il lavoro approfondisce il meccanismo di ripartizione delle competenze fra i livelli negoziali e, quindi, il significato e la portata della clausola di rinvio, accompagnata da quella di non ripetibilità. Nel merito, le intese del 2009 confermano la competenza della contrattazione decentrata in materia di retribuzione incentivante finalizzata ad incrementare quella che - con una formula riassuntiva - è comunemente chiamata ‘produttività’. Infine, l’attenzione dell’Autore si concentra su quella che è apparsa come la principale novità delle Intese del 2009, ossia le cosiddette clausole di uscita, con le quali è possibile modificare (anche in senso peggiorativo) la disciplina del c.c.n.l. da parte del contratto aziendale, in presenza dei presupposti ivi indicati. Sul piano politico-sindacale, non appare di poco conto che le parti sociali (tutte, tranne l’organizzazione sindacale maggioritaria), abbiano avallato simili clausole, peraltro in termini così ampi ed indeterminati sul piano della finalità da perseguire (governare situazioni di crisi o favorire lo sviluppo economico e occupazionale), sul piano del contenuto (possono essere modificati in tutto o in parte singoli istituti economici o normativi dei contratti nazionali), e sul piano delle tecniche, ossia le «procedure, modalità e condizioni» della derogabilità, genericamente rimesse a «specifiche intese», e – infine - sul piano della durata, dato che le deroghe possono essere introdotte «anche in via sperimentale e temporanea», e quindi anche in via definitiva. Tutto ciò potrebbe avvenire senza alcun controllo o filtro da parte degli agenti contrattuali nazionali, né alcuna soglia di rappresentatività minimale. L’indagine si conclude con una serie di interrogativi, attinenti alla delimitazione dei margini di derogabilità del c.c.n.l., e alla questione della rappresentatività delle organizzazioni che stipulano il contratto decentrato in deroga a quello nazionale. Ci si chiede, insomma, se la contrattazione in deroga potrà svilupparsi anche in assenza di un intervento (legale o pattizio che sia) sul tema della rappresentatività sindacale, questione che si scarica su quella dell’efficacia soggettiva degli accordi in deroga, rispetto ai lavoratori dissenzienti non aderenti alle organizzazioni firmatari degli stessi accordi e, per questo, intenzionati a rivendicare l’applicazione integrale del CCNL, senza le modifiche (ed, in particolare, senza le deroghe peggiorative) apportate in sede decentrata.
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