Muovendo dalla considerazione che, nella Carta Europea dei diritti dell’Uomo, nella Costituzione italiana e nelle leggi ordinarie, l’idea di proprietà è fondata su due concetti di relazione: l’oggetto, formato dai beni (materiali o immateriali); l’appartenenza, cioè l’acquisto del diritto, formato da strumenti legali, si considera la proprietà – per definizione – sia come Diritto dell’Uomo, sia come diritto reale patrimoniale riconosciuto e garantito dalla Costituzione, quale concetto di relazione fondato sui modi di acquisto e sui modi di godimento, entrambi predeterminati dalle leggi ordinarie allo scopo di assicurarne la funzione sociale. Tenendo conto di entrambi i profili, e lontano dalle prospettive legate alla libertà individuale di autodeterminazione, ma ispirate a concetti di relazione tra gli uomini, si confronta il quadro di riferimento normativo con l’esperienza giurisprudenziale per manifestare le conseguenze delle contraddizioni richiamate dall’applicazione della teoria delle limitazioni ala proprietà (anche in tema di modi di acquisto della proprietà) - che prescinde dalle funzioni dei diritti e delle cose (beni in senso giuridico) e prescinde anche dalla natura dei diritti soggettivi patrimoniali - per considerare che la proprietà ha e può avere ad oggetto solo le cose che ogni ordinamento giuridico interno individua e qualifica “beni” in senso giuridico ed essenzialmente, anche quando la usiamo in riferimento alla proprietà, la parola diritto indica il valore (natura, qualità) della pretesa di un soggetto all’interno di un rapporto, di un aggregato sociale, di una comunità, di uno Stato. Non vedere l’oggetto ma soltanto il diritto sarebbe tuttavia pregiudizio non privo di conseguenze – le concezioni che fondano il criterio di qualificazione delle cose come beni giuridici sull’esistenza di possibili conflitti d’interessi invertono i termini del problema, mentre, nel diritto interno, così come nel diritto europeo, la nozione di proprietà suppone, non determina, l’esistenza del suo oggetto, che è il bene in senso giuridico, e quest’ultimo, a sua volta, suppone la nozione di cosa. Cose in senso giuridico corrispondono alla porzione di realtà materiale strutturalmente e funzionalmente autonoma. Se e in quanto suscettibili di utilizzazione economica, hanno il carattere di patrimonialità che la qualificazione giuridica delle cose come beni giuridici presuppone, dettando il loro statuto, cioè i modi legali della utilizzazione e della circolazione dei diritti su quei beni. La qualificazione giuridica delle cose, che le rende idonee a formare oggetto di diritti, non è il prodotto del desiderio, o del desiderio in quanto ostilità, bensì le utilità ricavabili dagli usi consentiti, nell’accezione segnata dagli interessi generali ritenuti meritevoli di tutela dall’ordinamento giuridico. La riflessione sulla qualificazione giuridica delle cose come beni, che ha la funzione di regolarne l’uso nell’interesse generale, conduce alla conseguenza che le utilità di esse sono individuate mediante criteri che hanno natura pubblicistica, in quanto per definizione sono conformate su esigenze, interessi e bisogni sociali. Partendo dal dato che la proprietà è il diritto dell’individuo di goderne, cioè di trarne utilità, scegliendo di usarle secondo la loro destinazione economica,oppure di modificarne l’organizzazione produttiva, si analizzano le conseguenze teoriche e pratiche che derivano da tale fondamento comune.

L'uso sociale dei beni. Limitazioni e regole

COSTANTINO, Domenico
2011-01-01

Abstract

Muovendo dalla considerazione che, nella Carta Europea dei diritti dell’Uomo, nella Costituzione italiana e nelle leggi ordinarie, l’idea di proprietà è fondata su due concetti di relazione: l’oggetto, formato dai beni (materiali o immateriali); l’appartenenza, cioè l’acquisto del diritto, formato da strumenti legali, si considera la proprietà – per definizione – sia come Diritto dell’Uomo, sia come diritto reale patrimoniale riconosciuto e garantito dalla Costituzione, quale concetto di relazione fondato sui modi di acquisto e sui modi di godimento, entrambi predeterminati dalle leggi ordinarie allo scopo di assicurarne la funzione sociale. Tenendo conto di entrambi i profili, e lontano dalle prospettive legate alla libertà individuale di autodeterminazione, ma ispirate a concetti di relazione tra gli uomini, si confronta il quadro di riferimento normativo con l’esperienza giurisprudenziale per manifestare le conseguenze delle contraddizioni richiamate dall’applicazione della teoria delle limitazioni ala proprietà (anche in tema di modi di acquisto della proprietà) - che prescinde dalle funzioni dei diritti e delle cose (beni in senso giuridico) e prescinde anche dalla natura dei diritti soggettivi patrimoniali - per considerare che la proprietà ha e può avere ad oggetto solo le cose che ogni ordinamento giuridico interno individua e qualifica “beni” in senso giuridico ed essenzialmente, anche quando la usiamo in riferimento alla proprietà, la parola diritto indica il valore (natura, qualità) della pretesa di un soggetto all’interno di un rapporto, di un aggregato sociale, di una comunità, di uno Stato. Non vedere l’oggetto ma soltanto il diritto sarebbe tuttavia pregiudizio non privo di conseguenze – le concezioni che fondano il criterio di qualificazione delle cose come beni giuridici sull’esistenza di possibili conflitti d’interessi invertono i termini del problema, mentre, nel diritto interno, così come nel diritto europeo, la nozione di proprietà suppone, non determina, l’esistenza del suo oggetto, che è il bene in senso giuridico, e quest’ultimo, a sua volta, suppone la nozione di cosa. Cose in senso giuridico corrispondono alla porzione di realtà materiale strutturalmente e funzionalmente autonoma. Se e in quanto suscettibili di utilizzazione economica, hanno il carattere di patrimonialità che la qualificazione giuridica delle cose come beni giuridici presuppone, dettando il loro statuto, cioè i modi legali della utilizzazione e della circolazione dei diritti su quei beni. La qualificazione giuridica delle cose, che le rende idonee a formare oggetto di diritti, non è il prodotto del desiderio, o del desiderio in quanto ostilità, bensì le utilità ricavabili dagli usi consentiti, nell’accezione segnata dagli interessi generali ritenuti meritevoli di tutela dall’ordinamento giuridico. La riflessione sulla qualificazione giuridica delle cose come beni, che ha la funzione di regolarne l’uso nell’interesse generale, conduce alla conseguenza che le utilità di esse sono individuate mediante criteri che hanno natura pubblicistica, in quanto per definizione sono conformate su esigenze, interessi e bisogni sociali. Partendo dal dato che la proprietà è il diritto dell’individuo di goderne, cioè di trarne utilità, scegliendo di usarle secondo la loro destinazione economica,oppure di modificarne l’organizzazione produttiva, si analizzano le conseguenze teoriche e pratiche che derivano da tale fondamento comune.
2011
978-88-6611-011-8
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