La cose incorporali possono avere funzione di merce nella compravendita, in quanto diritti soggettivi patrimoniali che, considerati nella loro oggettività, sono suscettibili «di passare sotto qualsiasi forma, anche indiretta e limitata, dal patrimonio di una persona a quello di un’altra, o di essere dall’una costituita a vantaggio dell’altra»; ma con particolare riguardo alle obbligazioni del venditore, per continuare ad usare le parole di Arangio-Ruiz, «è ben raro che le regole valevoli per la c.d. compravendita di cose incorporali coincidano con quelle della compravendita strictu sensu, avente ad oggetto corpora». Un caso particolarmente interessante di vendita di res incorporales è quello delle servitù prediali, che oltre ad essere insuscettibili di traditio per il loro configurarsi, a partire dalla tarda Repubblica, come iura in re aliena, sono, per il principio fondamentale dell’inseparabilità dal fondo dominante, “entità patrimoniali” di cui il titolare non può disporre, dal momento che non può trasferirle rimanendo proprietario del fondo, come non può trattenerle ove lo alieni. Anche nel caso di vendita del fondo, i giuristi hanno difficoltà a considerare la servitù che vi acceda come autonomo oggetto di vendita. È pertanto da escludere che la venditio servitutis di cui fanno parola le fonti potesse riguardare una servitù già costituita. D’altra parte la compravendita romana non ha effetti traslativi della proprietà e ciò indurrebbe ad escludere che la vendita di servitù potesse avere come effetto immediato la costituzione del ius fundi. Il venditore di una servitù sarebbe stato tenuto in base al regime ordinario della emptio venditio solo a farne conseguire il pacifico godimento – diremmo meglio, il “pacifico esercizio” – al compratore e la servitù sarebbe stata invece costituita, con effetti reali, solo quando fosse stato posto in essere un atto civilmente idoneo a tal fine. Secondo un orientamento che trova in Arangio Ruiz uno dei più autorevoli sostenitori, il venditore, infatti «non risponde, per norma che non ammette deroga neppure se le parti siano d’accordo, ... dell’acquisto della proprietà da parte del compratore, ma non è neppure tenuto, per virtù dell’ordinamento giuridico, a compiere in ogni caso un atto efficace a produrre, ricorrendo le altre condizioni, tale acquisto»; il che non esclude che sia «lecito alle parti accordarsi nel senso che, trattandosi di res màncipi, se ne faccia mancipatio, e dobbiamo anche supporre che ciò si facesse correntemente ogni qual volta le parti godessero entrambe di uno status civitatis che permettesse di addivenire all’atto solenne». È tuttavia lo stesso Arangio Ruiz a sostenere una emptio venditio delle servitù in funzione costitutiva, sulla base del fatto che ciò non sia «di grave ostacolo, dato che anche la vendita di cose corporali può avere ad oggetto cose future, e perfino cose che vengano in essere nello stesso istante in cui l’obbligazione del venditore viene adempiuta». D’altra parte, il «lasciar prendere in cui si sostanzia l’obbligo del venditore di un raccolto» è paragonabile alle «formalità della in iure cessio, modo ordinario classico di costituzione delle servitù», in cui il trasferimento reale si configurava piuttosto come un pati del dominus alienante. Ma era il venditore tenuto ex causa emptionis a porre in essere tale atto? Le fonti di questo non si occupano. Si può ipotizzare che in caso di compravendita di servitù su fondi italici e tra cittadini romani, l’obbligo del venditore di porre in essere l’atto costitutivo, anche se non previsto da un pactum adiectum, scaturisse direttamente «da un’implicita presupposizione o, se si vuole, dall’oggettiva configurazione della fattispecie». Dal loro configurarsi come res incorporales, le servitù non erano suscettibili di essere possedute né di essere usucapite. L’usus delle servitù, analogia più prossima alla possessio delle cose corporali, non avrebbe mai condotto all’acquisto della titolarità del relativo diritto con il passare del tempo. D’altra parte, nel contesto di un mutamento epocale in cui «lo sforzo preciso di abolire tutte le forme» si realizzava pienamente nel rilievo della volontà, comunque manifestata, il ricorso alla compravendita piuttosto che alla costituzione iure civili era tecnicamente funzionale a soddisfare esigenze pratiche. Poteva ad esempio accadere che taluno prima di acquistare un fondo, volesse garantirsi che esso si sarebbe avvantaggiato di una servitù sul fondo vicino e provvedesse per tale motivo a comprarla dal proprietario di quest’ultimo, non potendola ancora validamente costituire. «A livello del contratto obbligatorio, non sembra che sia invalida, per difetto di legittimazione all’acquisto, la venditio servitutis a favore di un soggetto diverso dal proprietario del fondo dominante»; in questa circostanza però, il venditore sarebbe stato esonerato dalla responsabilità per evizione, come si deduce da D. 19.1.6.5 (Pomponius 9 ad Sabinum, L. 556). Non si può escludere che nel testo vendidero abbia sostituito mancipavero. Tuttavia è plausibile che nel passo, raccolto sotto il titolo De actionibus empti venditi del diciannovesimo libro del Digesto e collocato da Lenel nella parte del nono libro del commento di Pomponio ad Sabinum dedicato all’obbligazione del venditore, possa scorgersi una «traccia del nesso tra emptio venditio e mancipatio di un iter». Venduto l’iter, l’acquirente convenuto in giudizio potrà valersi della garanzia dell’alienante solo in quanto sia proprietario del fondo rispetto al quale voleva acquisire la servitù. Ė infatti iniquo che il venditore sia tenuto per l’evizione a causa del difetto di legittimazione all’acquisto da parte del compratore. Dal frammento non è possibile dedurre altro. Ma prefigurando l’ipotesi di un’emptio venditio, ritengo che se il venditore non avesse compiuto l’atto solenne idoneo a costituire la servitù di passaggio che il compratore voleva acquisire, non sarebbe stato esonerato, invece, dalla responsabilità contrattuale. Anche non considerando l’obbligo di rem mancipio dari né un essentiale né un naturale negotii, si può supporre, infatti, che quando la costituzione della servitù rappresentava chiaramente la «Bestimmungsgrund» della dichiarazione di volontà, la concessione dell’azione contrattuale sarebbe stata giustificata in base alla fides bona, criterio normativo della compravendita consensuale. Gli effetti della venditio servitutis andavano peraltro valutati, di volta in volta, con riferimento alla situazione concreta e agli interessi in gioco. Essi sarebbero stati diversi nel caso in cui non vi fossero le condizioni per addivenire all’atto solenne richiesto dal ius civile per la costituzione della servitù Lasciando da parte il caso fondi provinciali, per i quali si ricorreva a pactiones et stipulationes, si pensi a quello dei fondi italici in bonis, della proprietà c.d. peregrina riconosciuta agli stranieri in Italia, alla situazione del possessore dell’ager vectigalis e del superficiario. In queste circostanze la compravendita non avrebbe potuto avere una presupposta funzione costitutiva e si sarebbe configurata invece esclusivamente come un contratto in base al quale il venditore si obbligava a tollerare dietro pagamento di un prezzo l’esercizio della facoltà corrispondente alla servitù. E forse sono queste le situazioni in cui soprattutto si ricorreva, in solo italico, alla venditio servitutis. Le fonti che rispecchiano casi di vendita di servitù sono esigue e riguardano principalmente il problema delle modalità di esecuzione dell’obbligazione del venditore. La loro analisi non può prescindere dalla disciplina e della complessa storia delle servitù, cui fanno da sfondo delicate questioni, tra cui, per citare le più controverse, quello della quasi possessio e dei c.d. modi di costituzione pretorî. Nella presente ricerca, suscettibile di approfondimento monografico, esse vengono in considerazione con il limitato intento di ricostruire il quadro delle soluzioni pratiche in materia di venditio servitutis, attraverso alcuni dei più significativi momenti della riflessione giurisprudenziale che la riguardano.

Note sulle obbligazioni del venditore nella compravendita di servitù

DE FRANCESCO, Anna
2007-01-01

Abstract

La cose incorporali possono avere funzione di merce nella compravendita, in quanto diritti soggettivi patrimoniali che, considerati nella loro oggettività, sono suscettibili «di passare sotto qualsiasi forma, anche indiretta e limitata, dal patrimonio di una persona a quello di un’altra, o di essere dall’una costituita a vantaggio dell’altra»; ma con particolare riguardo alle obbligazioni del venditore, per continuare ad usare le parole di Arangio-Ruiz, «è ben raro che le regole valevoli per la c.d. compravendita di cose incorporali coincidano con quelle della compravendita strictu sensu, avente ad oggetto corpora». Un caso particolarmente interessante di vendita di res incorporales è quello delle servitù prediali, che oltre ad essere insuscettibili di traditio per il loro configurarsi, a partire dalla tarda Repubblica, come iura in re aliena, sono, per il principio fondamentale dell’inseparabilità dal fondo dominante, “entità patrimoniali” di cui il titolare non può disporre, dal momento che non può trasferirle rimanendo proprietario del fondo, come non può trattenerle ove lo alieni. Anche nel caso di vendita del fondo, i giuristi hanno difficoltà a considerare la servitù che vi acceda come autonomo oggetto di vendita. È pertanto da escludere che la venditio servitutis di cui fanno parola le fonti potesse riguardare una servitù già costituita. D’altra parte la compravendita romana non ha effetti traslativi della proprietà e ciò indurrebbe ad escludere che la vendita di servitù potesse avere come effetto immediato la costituzione del ius fundi. Il venditore di una servitù sarebbe stato tenuto in base al regime ordinario della emptio venditio solo a farne conseguire il pacifico godimento – diremmo meglio, il “pacifico esercizio” – al compratore e la servitù sarebbe stata invece costituita, con effetti reali, solo quando fosse stato posto in essere un atto civilmente idoneo a tal fine. Secondo un orientamento che trova in Arangio Ruiz uno dei più autorevoli sostenitori, il venditore, infatti «non risponde, per norma che non ammette deroga neppure se le parti siano d’accordo, ... dell’acquisto della proprietà da parte del compratore, ma non è neppure tenuto, per virtù dell’ordinamento giuridico, a compiere in ogni caso un atto efficace a produrre, ricorrendo le altre condizioni, tale acquisto»; il che non esclude che sia «lecito alle parti accordarsi nel senso che, trattandosi di res màncipi, se ne faccia mancipatio, e dobbiamo anche supporre che ciò si facesse correntemente ogni qual volta le parti godessero entrambe di uno status civitatis che permettesse di addivenire all’atto solenne». È tuttavia lo stesso Arangio Ruiz a sostenere una emptio venditio delle servitù in funzione costitutiva, sulla base del fatto che ciò non sia «di grave ostacolo, dato che anche la vendita di cose corporali può avere ad oggetto cose future, e perfino cose che vengano in essere nello stesso istante in cui l’obbligazione del venditore viene adempiuta». D’altra parte, il «lasciar prendere in cui si sostanzia l’obbligo del venditore di un raccolto» è paragonabile alle «formalità della in iure cessio, modo ordinario classico di costituzione delle servitù», in cui il trasferimento reale si configurava piuttosto come un pati del dominus alienante. Ma era il venditore tenuto ex causa emptionis a porre in essere tale atto? Le fonti di questo non si occupano. Si può ipotizzare che in caso di compravendita di servitù su fondi italici e tra cittadini romani, l’obbligo del venditore di porre in essere l’atto costitutivo, anche se non previsto da un pactum adiectum, scaturisse direttamente «da un’implicita presupposizione o, se si vuole, dall’oggettiva configurazione della fattispecie». Dal loro configurarsi come res incorporales, le servitù non erano suscettibili di essere possedute né di essere usucapite. L’usus delle servitù, analogia più prossima alla possessio delle cose corporali, non avrebbe mai condotto all’acquisto della titolarità del relativo diritto con il passare del tempo. D’altra parte, nel contesto di un mutamento epocale in cui «lo sforzo preciso di abolire tutte le forme» si realizzava pienamente nel rilievo della volontà, comunque manifestata, il ricorso alla compravendita piuttosto che alla costituzione iure civili era tecnicamente funzionale a soddisfare esigenze pratiche. Poteva ad esempio accadere che taluno prima di acquistare un fondo, volesse garantirsi che esso si sarebbe avvantaggiato di una servitù sul fondo vicino e provvedesse per tale motivo a comprarla dal proprietario di quest’ultimo, non potendola ancora validamente costituire. «A livello del contratto obbligatorio, non sembra che sia invalida, per difetto di legittimazione all’acquisto, la venditio servitutis a favore di un soggetto diverso dal proprietario del fondo dominante»; in questa circostanza però, il venditore sarebbe stato esonerato dalla responsabilità per evizione, come si deduce da D. 19.1.6.5 (Pomponius 9 ad Sabinum, L. 556). Non si può escludere che nel testo vendidero abbia sostituito mancipavero. Tuttavia è plausibile che nel passo, raccolto sotto il titolo De actionibus empti venditi del diciannovesimo libro del Digesto e collocato da Lenel nella parte del nono libro del commento di Pomponio ad Sabinum dedicato all’obbligazione del venditore, possa scorgersi una «traccia del nesso tra emptio venditio e mancipatio di un iter». Venduto l’iter, l’acquirente convenuto in giudizio potrà valersi della garanzia dell’alienante solo in quanto sia proprietario del fondo rispetto al quale voleva acquisire la servitù. Ė infatti iniquo che il venditore sia tenuto per l’evizione a causa del difetto di legittimazione all’acquisto da parte del compratore. Dal frammento non è possibile dedurre altro. Ma prefigurando l’ipotesi di un’emptio venditio, ritengo che se il venditore non avesse compiuto l’atto solenne idoneo a costituire la servitù di passaggio che il compratore voleva acquisire, non sarebbe stato esonerato, invece, dalla responsabilità contrattuale. Anche non considerando l’obbligo di rem mancipio dari né un essentiale né un naturale negotii, si può supporre, infatti, che quando la costituzione della servitù rappresentava chiaramente la «Bestimmungsgrund» della dichiarazione di volontà, la concessione dell’azione contrattuale sarebbe stata giustificata in base alla fides bona, criterio normativo della compravendita consensuale. Gli effetti della venditio servitutis andavano peraltro valutati, di volta in volta, con riferimento alla situazione concreta e agli interessi in gioco. Essi sarebbero stati diversi nel caso in cui non vi fossero le condizioni per addivenire all’atto solenne richiesto dal ius civile per la costituzione della servitù Lasciando da parte il caso fondi provinciali, per i quali si ricorreva a pactiones et stipulationes, si pensi a quello dei fondi italici in bonis, della proprietà c.d. peregrina riconosciuta agli stranieri in Italia, alla situazione del possessore dell’ager vectigalis e del superficiario. In queste circostanze la compravendita non avrebbe potuto avere una presupposta funzione costitutiva e si sarebbe configurata invece esclusivamente come un contratto in base al quale il venditore si obbligava a tollerare dietro pagamento di un prezzo l’esercizio della facoltà corrispondente alla servitù. E forse sono queste le situazioni in cui soprattutto si ricorreva, in solo italico, alla venditio servitutis. Le fonti che rispecchiano casi di vendita di servitù sono esigue e riguardano principalmente il problema delle modalità di esecuzione dell’obbligazione del venditore. La loro analisi non può prescindere dalla disciplina e della complessa storia delle servitù, cui fanno da sfondo delicate questioni, tra cui, per citare le più controverse, quello della quasi possessio e dei c.d. modi di costituzione pretorî. Nella presente ricerca, suscettibile di approfondimento monografico, esse vengono in considerazione con il limitato intento di ricostruire il quadro delle soluzioni pratiche in materia di venditio servitutis, attraverso alcuni dei più significativi momenti della riflessione giurisprudenziale che la riguardano.
2007
978-88-13-27208-1
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