La vicenda dei Socialisti democratici italiani, sin dalla costituzione in partito nel gennaio 1947, è stata a lungo trascurata da una storiografia peraltro assai fluente nell’analisi del sistema dei partiti politici italiani nel dopoguerra. Su questa damnatio memoriae ha pesato un insieme di pregiudizi ideologici, luoghi comuni storiografici, strumentale propaganda politica, accomunati in un giudizio liquidatorio, che attribuiva al partito di Saragat la responsabilità di aver favorito la sconfitta del Fronte popolare alle elezioni dell’aprile 1948 e, da qui, la pluridecennale egemonia democristiana e conservatrice. Secondo questa vulgata, il PSLI (poi PSDI), sostenendo la “scelta di campo occidentale” dell’Italia e collaborando al governo con De Gasperi, avrebbe operato un vero e proprio “tradimento” delle istanze dei ceti operai e popolari, con un asservimento alle politiche democristiane e, sul piano internazionale, statunitensi. Analoga valutazione superficiale e censoria ha riguardato le vicende del PSDI negli anni Cinquanta e Sessanta, dall’incontro di Pralognan tra Saragat e Nenni sino alla partecipazione ai governi di centro-sinistra guidati da Moro. Questo volume, seguendo il percorso iniziato con Socialisti democratici. Giuseppe Saragat e il PSLI (1945-1952) (Rubbettino, 2009), approfondisce l’esame sulle origini del centro-sinistra italiano, in una vicenda politica che cominciò a delinearsi dalla seconda metà degli anni Cinquanta, avendo le sue premesse appunto nella scissione socialista democratica del 1947. Le figure e l’azione politica di Saragat, Tremelloni e anche di Preti – gli esponenti più attivi e maggiormente impegnati nell’azione governativa del PSDI, promotori, nel 1962, con l’ingresso del PSI nella maggioranza di governo, di una seconda e decisiva svolta nella politica italiana, dopo quella di palazzo Barberini – vengono riproposte in una più equilibrata attenzione. L’impegno di Saragat, Tremelloni e dei loro colleghi di partito fu volto alla riunificazione del socialismo italiano, con la costruzione di una grande forza socialista democratica, sul modello delle socialdemocrazie europee, che enucleasse il PSI di Nenni dall’inconcludente frontismo con il PCI, facendolo approdare alle rive della cultura occidentale e socialista-liberale, con l’assunzione di responsabilità di governo assieme alla DC. Un impegno di lungo periodo, durato un quindicennio, con l’obiettivo – avviata la Ricostruzione e superata la fase del “centrismo degasperiano” – di condurre il sistema politico italiano verso una nuova e duratura configurazione, con la partecipazione alla gestione della cosa pubblica di quelle forze riformiste, come il PSI, espressione più diretta delle classi lavoratrici messe a dura prova dagli scompensi sociali generati dal “boom economico” e dalla crisi finanziaria internazionale. È la storia, quindi, del successivo formarsi, agli inizi degli anni Sessanta, dell’esperienza politica che portò con Fanfani e Moro ai primi governi di centro-sinistra “organico”, seguiti dall’elezione di Saragat a Presidente della Repubblica (1964) e dalla riunificazione socialista. Così, nel biennio 1962-’63, come in quello 1947-‘48, il sistema politico italiano segnò una svolta positiva – verso il consolidamento di libere istituzioni democratiche e di un’economia di mercato, in direzione europeista e atlantista – nella quale i socialisti democratici furono decisivi protagonisti; l’“autonomismo” socialista, affermato infine da Nenni – con il sostegno alla formula del centro-sinistra e alla riunificazione dei socialisti italiani nel 1966 –, era nato e cresciuto da due lustri in casa socialista democratica e il PSI finalmente lo faceva proprio, rompendo il legame di ferro con i comunisti e rendendosi disponibile al difficile governo di una società capitalistica avanzata.

I socialisti democratici italiani e il centro-sinistra. Dall'incontro di Pralognan alla riunificazione con il PSI (1956-1968)

DONNO, Michele
2014-01-01

Abstract

La vicenda dei Socialisti democratici italiani, sin dalla costituzione in partito nel gennaio 1947, è stata a lungo trascurata da una storiografia peraltro assai fluente nell’analisi del sistema dei partiti politici italiani nel dopoguerra. Su questa damnatio memoriae ha pesato un insieme di pregiudizi ideologici, luoghi comuni storiografici, strumentale propaganda politica, accomunati in un giudizio liquidatorio, che attribuiva al partito di Saragat la responsabilità di aver favorito la sconfitta del Fronte popolare alle elezioni dell’aprile 1948 e, da qui, la pluridecennale egemonia democristiana e conservatrice. Secondo questa vulgata, il PSLI (poi PSDI), sostenendo la “scelta di campo occidentale” dell’Italia e collaborando al governo con De Gasperi, avrebbe operato un vero e proprio “tradimento” delle istanze dei ceti operai e popolari, con un asservimento alle politiche democristiane e, sul piano internazionale, statunitensi. Analoga valutazione superficiale e censoria ha riguardato le vicende del PSDI negli anni Cinquanta e Sessanta, dall’incontro di Pralognan tra Saragat e Nenni sino alla partecipazione ai governi di centro-sinistra guidati da Moro. Questo volume, seguendo il percorso iniziato con Socialisti democratici. Giuseppe Saragat e il PSLI (1945-1952) (Rubbettino, 2009), approfondisce l’esame sulle origini del centro-sinistra italiano, in una vicenda politica che cominciò a delinearsi dalla seconda metà degli anni Cinquanta, avendo le sue premesse appunto nella scissione socialista democratica del 1947. Le figure e l’azione politica di Saragat, Tremelloni e anche di Preti – gli esponenti più attivi e maggiormente impegnati nell’azione governativa del PSDI, promotori, nel 1962, con l’ingresso del PSI nella maggioranza di governo, di una seconda e decisiva svolta nella politica italiana, dopo quella di palazzo Barberini – vengono riproposte in una più equilibrata attenzione. L’impegno di Saragat, Tremelloni e dei loro colleghi di partito fu volto alla riunificazione del socialismo italiano, con la costruzione di una grande forza socialista democratica, sul modello delle socialdemocrazie europee, che enucleasse il PSI di Nenni dall’inconcludente frontismo con il PCI, facendolo approdare alle rive della cultura occidentale e socialista-liberale, con l’assunzione di responsabilità di governo assieme alla DC. Un impegno di lungo periodo, durato un quindicennio, con l’obiettivo – avviata la Ricostruzione e superata la fase del “centrismo degasperiano” – di condurre il sistema politico italiano verso una nuova e duratura configurazione, con la partecipazione alla gestione della cosa pubblica di quelle forze riformiste, come il PSI, espressione più diretta delle classi lavoratrici messe a dura prova dagli scompensi sociali generati dal “boom economico” e dalla crisi finanziaria internazionale. È la storia, quindi, del successivo formarsi, agli inizi degli anni Sessanta, dell’esperienza politica che portò con Fanfani e Moro ai primi governi di centro-sinistra “organico”, seguiti dall’elezione di Saragat a Presidente della Repubblica (1964) e dalla riunificazione socialista. Così, nel biennio 1962-’63, come in quello 1947-‘48, il sistema politico italiano segnò una svolta positiva – verso il consolidamento di libere istituzioni democratiche e di un’economia di mercato, in direzione europeista e atlantista – nella quale i socialisti democratici furono decisivi protagonisti; l’“autonomismo” socialista, affermato infine da Nenni – con il sostegno alla formula del centro-sinistra e alla riunificazione dei socialisti italiani nel 1966 –, era nato e cresciuto da due lustri in casa socialista democratica e il PSI finalmente lo faceva proprio, rompendo il legame di ferro con i comunisti e rendendosi disponibile al difficile governo di una società capitalistica avanzata.
2014
9788849842760
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