L’accoglienza che la maggior parte della letteratura penalistica ha riservato all’articolo 113 c.p. è sempre stata piuttosto fredda, se non addirittura francamente ostile. In realtà l’esperienza storica e quella comparativistica dimostrano che, pur mutando sensibilmente i dati normativi, il problema del concorso colposo è legato che alla cornice positiva di riferimento alle forme di manifestazione della “vocazione” incriminatrice della plurisoggettività – che sono logicamente tre, ovvero la mancanza della correlazione tra regola cautelare violata ed evento (c.d. causalità della colpa); la non rilevabilità della violazione di una regola cautelare nonostante la sussistenza di una relazione causale tra la condotta e l’evento; la mancanza di colpa e causalità. L’analisi diacronica (dottrina e giurisprudenza all’epoca del codice Zanardelli) e quella sincronica-comparativistica (riferita alla dottrina tedesca e spagnola) dimostrano esattamente che il problema del concorso colposo riguarda la possibilità di configurare un ambito di responsabilità al di là dei contenuti della responsabilità monosoggettiva/individuale colposa. Anche in un “sistema” come quello tedesco dove dovrebbe essere scontata la non punibilità della partecipazione ad un fatto colposo (per cui la distinzione tra autore e altri “concorrenti”, denominati partecipi, rileverebbe solo nell’ambito dei fatti dolosi) le questioni nelle quali si esprime la “vocazione” incriminatrice della plurisoggettività hanno trovato ampio riconoscimento presso la letteratura penalistica e la dottrina. In questo contesto sembrano ancora lontana la prospettiva che si avverino sia l’auspicio, formulato da Kohlrausch nel 1939, di vedere definitivamente affermata la punibilità delle condotte di partecipazione anche a titolo di colpa sia la speranza di von Buri di veder sorgere l’alba del giorno in cui la coautoria colposa sarebbe stata solo un ricordo della storia. La questione presenta profili teorico-politico-criminali, teorici-di principio e teorico-dogmatico-concettuali. Senza dubbio con la Costituzione gli «schemi di disciplina e di garanzia», che la parte generale traduce dal livello dei principi a quello delle regole, hanno assunto, appunto, rilevanza costituzionale, divenendo intangibili. Ciò nonpertanto, i principi non possono essere convertiti in un modello dogmatico. La Carta esige la colpa, non indica qual è il modello di colpa “costituzionale”; lo stesso vale per la causalità. Quando invoca l’avallo della costituzione l’elaborazione teorica deve conservarsi fluida, flessibile, capace di sostenere entro certi limiti margini di oscillazione. Altrimenti si “dogmatizza la costituzione” invece di costituzionalizzare la dogmatica, e salta l’equilibrio del sistema. L’esclusività del modello plurifattoriale monosoggettivo è appunto una rispettabile proposta di costituzionalizzazione della dogmatica, non il modello di responsabilità imposto dalla costituzione, nella quale non si legge alcuna gerarchia nei rapporti tra l’art. 41, comma 3, c.p. e l’art. 113 c.p.; l’esclusività del modello plurifattoriale monosoggettivo vale quanto l’altrettanto plausibile interpretazione dell’art. 27 che traduce il principio personalistico in termini di «rimprovero personale» e non esige a tal fine l’indefettibile accertamento del nesso causale ricostruito in termini rigorosamente condizionalisitici. Molto a fini della scelta dipende dalle opzioni politico-criminali che guidano l’autorappresentazione del compito proprio della letteratura penalistica di declinare armonicamente il rapporto tra valori e mezzi; né, in questa prospettiva, le soluzioni più orientate in senso garantistico, solo per questa ragione, possono essere considerate più coerenti con la costituzione. Del resto, l’aut/aut, colpa monosoggettiva e concorso nella colpa altrui, fuorviando la comprensione del rapporto tra colpa, complessità e plurisoggettività, impedisce di distinguere tra fattispecie monosoggettiva in un contesto di complessità soggettiva e vera e propria tipicità plurisoggettiva. Per effetto di questa “confusione”, la fattispecie monosoggettiva resta esposta a tutte le tensioni espansive che potrebbero trovare un primo filtro nella tipicità della cooperazione colposa, se questa disposizione non fosse deprivata di qualsiasi “apprezzabile” significato. L’esame della casistica giurisprudenziale conferma le indicazioni che scaturiscono dall’indagine comparativistica, dimostrando come il principale vettore dell’espansione della responsabilità colposa non sono affatto le manifestazioni esplicite della funzione incriminatrice dell’art. 113. Molto più spesso, l’ampliamento dell’ambito di applicazione delle fattispecie della parte speciale costituisce l’espressione dell’implicita vocazione espansiva della punibilità riposta in ogni situazione di complessità (sia essa soggettiva ovvero oggettiva), cui la giurisprudenza garantisce libero sfogo, sotto l'egida di massime spesso orientate in tutt'altra direzione nonostante l’apparente ossequio alle più esigenti, ma talvolta “disincarnate”, formulazioni garantistiche della dottrina. Dal punto di vista concettuale, queste premesse spianano la strada ad una considerazioni di ordine metodologico. I risultati di teoria generale elaborati avendo riguardo alla fattispecie di parte generale non possono essere considerati aprioristicamente validi in assoluto per «tutto il diritto penale» solo perché tutta la teoria generale del reato, ed in particolare la nozione di “tipicità”, è stata edificata con riferimento al fatto monosoggettivo ; nulla v’è, quindi, di più erroneo che tentare la costruzione d’una teoria del fatto plurisoggettivo penalmente illecito con gli schemi propri del fatto monosoggettivo La disposizione dell’art. 110 c.p., al contrario, considerata, volta a volta, in relazione ad una delle disposizioni incriminatrici prevedenti ipotesi monosoggettive o plurisoggettive necessarie, pone una nuova tipicità, la tipicità plurisoggettiva eventuale, nettamente distinta dalla “tipicità” monosoggettiva o plurisoggettiva “necessaria” resa palese dalla disposizioni incriminatrici di parte speciale . In questa prospettiva, il tratto caratterizzante del concorso colposo consiste nella “volontà comune” dei concorrenti di assumere un rischio non consentito.

PLURISOGGETTIVITÀ EVENTUALE COLPOSA Un'introduzione allo studio nei delitti causali di evento in senso naturalistico, nella collana delle Pubblicazioni della Facoltà giuridica dell’Università degli Studi di Bari, n. 162

LOSAPPIO, Giuseppe
2012-01-01

Abstract

L’accoglienza che la maggior parte della letteratura penalistica ha riservato all’articolo 113 c.p. è sempre stata piuttosto fredda, se non addirittura francamente ostile. In realtà l’esperienza storica e quella comparativistica dimostrano che, pur mutando sensibilmente i dati normativi, il problema del concorso colposo è legato che alla cornice positiva di riferimento alle forme di manifestazione della “vocazione” incriminatrice della plurisoggettività – che sono logicamente tre, ovvero la mancanza della correlazione tra regola cautelare violata ed evento (c.d. causalità della colpa); la non rilevabilità della violazione di una regola cautelare nonostante la sussistenza di una relazione causale tra la condotta e l’evento; la mancanza di colpa e causalità. L’analisi diacronica (dottrina e giurisprudenza all’epoca del codice Zanardelli) e quella sincronica-comparativistica (riferita alla dottrina tedesca e spagnola) dimostrano esattamente che il problema del concorso colposo riguarda la possibilità di configurare un ambito di responsabilità al di là dei contenuti della responsabilità monosoggettiva/individuale colposa. Anche in un “sistema” come quello tedesco dove dovrebbe essere scontata la non punibilità della partecipazione ad un fatto colposo (per cui la distinzione tra autore e altri “concorrenti”, denominati partecipi, rileverebbe solo nell’ambito dei fatti dolosi) le questioni nelle quali si esprime la “vocazione” incriminatrice della plurisoggettività hanno trovato ampio riconoscimento presso la letteratura penalistica e la dottrina. In questo contesto sembrano ancora lontana la prospettiva che si avverino sia l’auspicio, formulato da Kohlrausch nel 1939, di vedere definitivamente affermata la punibilità delle condotte di partecipazione anche a titolo di colpa sia la speranza di von Buri di veder sorgere l’alba del giorno in cui la coautoria colposa sarebbe stata solo un ricordo della storia. La questione presenta profili teorico-politico-criminali, teorici-di principio e teorico-dogmatico-concettuali. Senza dubbio con la Costituzione gli «schemi di disciplina e di garanzia», che la parte generale traduce dal livello dei principi a quello delle regole, hanno assunto, appunto, rilevanza costituzionale, divenendo intangibili. Ciò nonpertanto, i principi non possono essere convertiti in un modello dogmatico. La Carta esige la colpa, non indica qual è il modello di colpa “costituzionale”; lo stesso vale per la causalità. Quando invoca l’avallo della costituzione l’elaborazione teorica deve conservarsi fluida, flessibile, capace di sostenere entro certi limiti margini di oscillazione. Altrimenti si “dogmatizza la costituzione” invece di costituzionalizzare la dogmatica, e salta l’equilibrio del sistema. L’esclusività del modello plurifattoriale monosoggettivo è appunto una rispettabile proposta di costituzionalizzazione della dogmatica, non il modello di responsabilità imposto dalla costituzione, nella quale non si legge alcuna gerarchia nei rapporti tra l’art. 41, comma 3, c.p. e l’art. 113 c.p.; l’esclusività del modello plurifattoriale monosoggettivo vale quanto l’altrettanto plausibile interpretazione dell’art. 27 che traduce il principio personalistico in termini di «rimprovero personale» e non esige a tal fine l’indefettibile accertamento del nesso causale ricostruito in termini rigorosamente condizionalisitici. Molto a fini della scelta dipende dalle opzioni politico-criminali che guidano l’autorappresentazione del compito proprio della letteratura penalistica di declinare armonicamente il rapporto tra valori e mezzi; né, in questa prospettiva, le soluzioni più orientate in senso garantistico, solo per questa ragione, possono essere considerate più coerenti con la costituzione. Del resto, l’aut/aut, colpa monosoggettiva e concorso nella colpa altrui, fuorviando la comprensione del rapporto tra colpa, complessità e plurisoggettività, impedisce di distinguere tra fattispecie monosoggettiva in un contesto di complessità soggettiva e vera e propria tipicità plurisoggettiva. Per effetto di questa “confusione”, la fattispecie monosoggettiva resta esposta a tutte le tensioni espansive che potrebbero trovare un primo filtro nella tipicità della cooperazione colposa, se questa disposizione non fosse deprivata di qualsiasi “apprezzabile” significato. L’esame della casistica giurisprudenziale conferma le indicazioni che scaturiscono dall’indagine comparativistica, dimostrando come il principale vettore dell’espansione della responsabilità colposa non sono affatto le manifestazioni esplicite della funzione incriminatrice dell’art. 113. Molto più spesso, l’ampliamento dell’ambito di applicazione delle fattispecie della parte speciale costituisce l’espressione dell’implicita vocazione espansiva della punibilità riposta in ogni situazione di complessità (sia essa soggettiva ovvero oggettiva), cui la giurisprudenza garantisce libero sfogo, sotto l'egida di massime spesso orientate in tutt'altra direzione nonostante l’apparente ossequio alle più esigenti, ma talvolta “disincarnate”, formulazioni garantistiche della dottrina. Dal punto di vista concettuale, queste premesse spianano la strada ad una considerazioni di ordine metodologico. I risultati di teoria generale elaborati avendo riguardo alla fattispecie di parte generale non possono essere considerati aprioristicamente validi in assoluto per «tutto il diritto penale» solo perché tutta la teoria generale del reato, ed in particolare la nozione di “tipicità”, è stata edificata con riferimento al fatto monosoggettivo ; nulla v’è, quindi, di più erroneo che tentare la costruzione d’una teoria del fatto plurisoggettivo penalmente illecito con gli schemi propri del fatto monosoggettivo La disposizione dell’art. 110 c.p., al contrario, considerata, volta a volta, in relazione ad una delle disposizioni incriminatrici prevedenti ipotesi monosoggettive o plurisoggettive necessarie, pone una nuova tipicità, la tipicità plurisoggettiva eventuale, nettamente distinta dalla “tipicità” monosoggettiva o plurisoggettiva “necessaria” resa palese dalla disposizioni incriminatrici di parte speciale . In questa prospettiva, il tratto caratterizzante del concorso colposo consiste nella “volontà comune” dei concorrenti di assumere un rischio non consentito.
2012
978-88-6611-230-3
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