Il saggio ha oggetto l’analisi critica e l’interpretazione della disciplina del compenso degli amministratori ai sensi dell’art. 6, comma 6, del D.L. 78/2010; tale norma, da un lato, probabilmente a causa del contesto di settore nel quale è inserita, si occupa esclusivamente della contrazione dei compensi dei managers e, dall’altro, riguarda soltanto gli amministratori di società chiuse a totale partecipazione pubblica (diretta o indiretta), ossia quelle società che, pur esercitando un’attività idonea (sotto il profilo finanziario ovvero latu sensu sociale) ad incidere sul benessere della collettività, sarebbero soggette a regole più blande in termini informativi e prive di prescrizioni in ordine a meccanismi di remunerazione vincolanti. Ebbene, il metodo utilizzato dal legislatore, sebbene influenzi direttamente il merito delle scelte societarie imponendo la riduzione del 10% delle spese inerenti i compensi dei membri degli organi di amministrazione e controllo, non si pone nella prospettiva di agevolare strumenti di prudente gestione del rischio: né favorisce in alcun modo forme adeguate di determinazione del compenso rapportate alle performance della società, né tanto meno indica criteri di informazione più capillari. Vengono, dunque, tralasciate soluzioni che avrebbero potuto rivelarsi adatte sia per ridurre la spesa delle pubbliche amministrazioni (promuovendo magari schemi di corresponsione dei gestori tramite autofinanziamento delle società pubbliche in un’ottica, di medio-lungo periodo, volta alla trasparenza ed alla ponderata considerazione di rischi e prospettive), sia per facilitare la “convergenza informata” degli interessi dei soggetti pubblici e privati comunque coinvolti nelle vicende delle società a partecipazione pubblica (enti partecipanti, amministratori e collettività che fruisce del servizio reso). Peraltro, simili linee normative era ben conosciute nel panorama italiano e avrebbero potuto essere tracciate nel pieno rispetto dell’autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali, prevedendo mezzi maggiormente duttili allo scopo, quali sistemi di maggiore controllo interno (sulla scorta della regolamentazione dei comitati per il controllo) ovvero indicazioni su best practices piuttosto che su tetti massimi ai compensi (magari comunque demandate ad un decreto ministeriale); strumenti questi che appaiono non solo più utili a creare vantaggi competitivi, ma anche maggiormente efficaci in termini di valutazione delle responsabilità e, dunque, di limitazione, sia pure indiretta, dell’assunzione di politiche retributive azzardate.

Il compenso degli amministratori di società pubbliche ai sensi dell’art. 6, 6° comma, d.l. 31 maggio 2010, n. 78

DELL'ATTI, GABRIELE
2012-01-01

Abstract

Il saggio ha oggetto l’analisi critica e l’interpretazione della disciplina del compenso degli amministratori ai sensi dell’art. 6, comma 6, del D.L. 78/2010; tale norma, da un lato, probabilmente a causa del contesto di settore nel quale è inserita, si occupa esclusivamente della contrazione dei compensi dei managers e, dall’altro, riguarda soltanto gli amministratori di società chiuse a totale partecipazione pubblica (diretta o indiretta), ossia quelle società che, pur esercitando un’attività idonea (sotto il profilo finanziario ovvero latu sensu sociale) ad incidere sul benessere della collettività, sarebbero soggette a regole più blande in termini informativi e prive di prescrizioni in ordine a meccanismi di remunerazione vincolanti. Ebbene, il metodo utilizzato dal legislatore, sebbene influenzi direttamente il merito delle scelte societarie imponendo la riduzione del 10% delle spese inerenti i compensi dei membri degli organi di amministrazione e controllo, non si pone nella prospettiva di agevolare strumenti di prudente gestione del rischio: né favorisce in alcun modo forme adeguate di determinazione del compenso rapportate alle performance della società, né tanto meno indica criteri di informazione più capillari. Vengono, dunque, tralasciate soluzioni che avrebbero potuto rivelarsi adatte sia per ridurre la spesa delle pubbliche amministrazioni (promuovendo magari schemi di corresponsione dei gestori tramite autofinanziamento delle società pubbliche in un’ottica, di medio-lungo periodo, volta alla trasparenza ed alla ponderata considerazione di rischi e prospettive), sia per facilitare la “convergenza informata” degli interessi dei soggetti pubblici e privati comunque coinvolti nelle vicende delle società a partecipazione pubblica (enti partecipanti, amministratori e collettività che fruisce del servizio reso). Peraltro, simili linee normative era ben conosciute nel panorama italiano e avrebbero potuto essere tracciate nel pieno rispetto dell’autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali, prevedendo mezzi maggiormente duttili allo scopo, quali sistemi di maggiore controllo interno (sulla scorta della regolamentazione dei comitati per il controllo) ovvero indicazioni su best practices piuttosto che su tetti massimi ai compensi (magari comunque demandate ad un decreto ministeriale); strumenti questi che appaiono non solo più utili a creare vantaggi competitivi, ma anche maggiormente efficaci in termini di valutazione delle responsabilità e, dunque, di limitazione, sia pure indiretta, dell’assunzione di politiche retributive azzardate.
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/62985
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact