Il volume, che prende le mosse da un necessario excursus relativo alle politiche e alla normativa comunitaria degli ultimi decenni, si propone di analizzare la normativa ambientale nei settori disciplinati dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni, operate anche dal Governo “Monti”. Nell’ordinamento interno, invero, la richiesta pressante per il conseguimento di un ambiente salubre e la pretesa di un ambiente migliore, hanno senz'altro provocato, almeno negli ultimi anni, una maggiore attenzione del legislatore - altresì gravato dai noti obblighi provenienti dall’appartenenza all’Unione europea e dalla conseguente necessità di recepire il diritto comunitario - nei confronti di tale problematica. Il dibattito che ha preceduto l'emanazione del c.d. codice dell'ambiente - che tuttavia non sembra rispecchiare i requisiti di omogeneità e di completezza perché si possa trattare di un vero e proprio codice - verteva sulla possibilità di emanare una legge quadro sui principi del diritto ambientale, sull'adozione di testi unici o per il tramite di deleghe legislative conferite annualmente, con delle leggi comunitarie al governo. Con la legge 15 dicembre 2004, n. 308, il Parlamento ha quindi delegato il Governo all'adozione di uno o più decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative di alcuni settori della materia ambientale. Sicchè, il Governo ha provveduto ad ottemperare alla delega ricevuta ed ha pertanto emanato il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che consta di sei parti, di cui la prima è generale, ove a partire dalla modifica del 2008 sono stati recepiti i principî di derivazione comunitaria, mentre le altre sono settoriali e, segnatamente, relative ai procedimenti di v.i.a., v.a.s. e i.p.p.c.; tutela delle acque, del suolo, lotta alla desertificazione e gestione delle risorse idriche; disciplina dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati; tutela dell'aria ed infine disciplina del danno ambientale. Il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, così come modificato dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, reca attuazione di alcuni tra i più importanti principî comunitari in materia di diritto dell'ambiente, mentre gli altri che non vengono menzionati costituiscono in realtà corollari o semplici specificazioni di quelli previsti nel trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ex articolo 191 e nelle norme del codice dell’ambiente. Infatti, l'articolo 3 ter recepisce i principi di precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché il principio “chi inquina paga” che, ai sensi dell'articolo 191, comma 2, del trattato regolano la politica della Unione in materia ambientale. Una collocazione a parte, o meglio super partes ex art. 3 quater, merita il principio dello sviluppo sostenibile “che informa di sé tutta la disciplina ambientale”. Introdotto dal trattato di Amsterdam del 1997 in luogo della precedente espressione crescita sostenibile, probabilmente non consente agevolmente una diretta applicazione giurisprudenziale, ma assume una rilevanza tale da potersi considerare una sorta di principio-guida valevole per ogni settore del diritto ambientale, e ora anche dell’attività amministrativa nel suo complesso. Esso è volto a consentire di individuare un equilibrato rapporto tra risorse consumate e quelle da trasmettere alle generazioni future, in modo da salvaguardare il corretto funzionamento e l'evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possano essere prodotte dalle attività umane. Tuttavia, in materia di ambiente proprio la partecipazione più ampia alle scelte di fondo, l’attuazione del principio di trasparenza, la ricerca del consenso ed una distribuzione del potere decisionale tra i diversi soggetti istituzionali e sociali coinvolti, in altre parole “la creazione di condizioni favorevoli all’accettazione delle decisioni pubbliche quale alternativa alla loro autoritativa imposizione” potrebbero infine fare la differenza rispetto al passato e al fallimentare - perché non partecipato dai cittadini che avrebbero dovuto rispettare le norme imposte ma non condivise - modello del command and control, che ha dominato la scena europea sino ai primi anni ’90. La scelta, operata dal legislatore del 2006, in particolare nella parte IV, di lasciare alle associazioni ambientaliste riconosciute un mero potere di denuncia, lasciando al Ministero la titolarità del risarcimento e una centralità assoluta nella disciplina del danno ambientale, sembra tuttavia porsi in controtendenza rispetto alla giurisprudenza della Corte di giustizia, ed anche rispetto ai principi di derivazione comunitaria codificati ormai dal 2008 nell'ordinamento interno. Proprio in questo settore, più che in altri, tutti i cittadini dovrebbero essere attori, per l'attuazione più efficace del diritto e delle politiche ambientali e, al fine di tutelare l'ambiente, si dovrebbe garantire il più ampio accesso alla giustizia, cosa che peraltro ci viene imposta dalle fonti internazionali, in particolare la convenzione di Aärhus, ed europee, che la recepiscono. Cionondimeno, pur schematicamente, si possono segnalare almeno tre punti problematici relativi a soddisfacimento della pretesa soggettiva nella tutela dell'ambiente: innanzitutto la possibilità che la pretesa del singolo non coincida con l’interesse generale e questa presunzione si è tradotta nella drastica riduzione dei soggetti che possono proporre l'azione di danno ambientale, come si vedrà in prosieguo, inoltre la possibilità che l'esecuzione della pretesa non si riveli concretamente sostenibile a livello economico, infine, la peculiarità della tradizione giuridica italiana, che ha ostacolato non poco il soddisfacimento della pretesa soggettiva in materia ambientale, e che si traduce nel bisogno di entificare ed istituzionalizzare l'interesse ogni qualvolta si eccede la sfera meramente individuale, mentre in altre perdite di giuridica del cittadino può azionare direttamente la propria pretesa per la tutela dell'ambiente, che non cessa di essere tale, facendo valere pretese comuni anche ad altri. L'esperienza statunitense, invece, che sarebbe opportuno prendere ad esempio per una maggiore efficacia delle politiche e normative italiane relative alla tutela ambientale, ha ampiamente dimostrato la validità di questo tipo di azione, che ha garantito il soddisfacimento delle pretese soggettive del singolo come della collettività. Sicchè, pur dovendosi segnalare un generale atteggiamento di sfiducia da parte del legislatore nei confronti dei cittadini e delle associazioni ambientaliste che agiscano per la tutela dell’ambiente, si può quindi concludere con l’auspicio che il diritto di azione in materia ambientale - in virtù di una interpretazione evolutiva del dettato normativo, che risulti maggiormente in linea con il diritto europeo e con l’art. 118 Cost., oltre che con la convenzione di Aärhus - possa divenire maggiormente democratico, affidando maggior fiducia nell’operato della associazioni ambientaliste e dei singoli cittadini e magari un giorno possa ricalcare il sistema delle azioni popolari romane e delle citizen suits tanto diffuse negli U.s.a.
Tutela amministrativa dell'ambiente nel diritto dell'Unione europea e nel d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152
MASTRODONATO, Giovanna
2012-01-01
Abstract
Il volume, che prende le mosse da un necessario excursus relativo alle politiche e alla normativa comunitaria degli ultimi decenni, si propone di analizzare la normativa ambientale nei settori disciplinati dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni, operate anche dal Governo “Monti”. Nell’ordinamento interno, invero, la richiesta pressante per il conseguimento di un ambiente salubre e la pretesa di un ambiente migliore, hanno senz'altro provocato, almeno negli ultimi anni, una maggiore attenzione del legislatore - altresì gravato dai noti obblighi provenienti dall’appartenenza all’Unione europea e dalla conseguente necessità di recepire il diritto comunitario - nei confronti di tale problematica. Il dibattito che ha preceduto l'emanazione del c.d. codice dell'ambiente - che tuttavia non sembra rispecchiare i requisiti di omogeneità e di completezza perché si possa trattare di un vero e proprio codice - verteva sulla possibilità di emanare una legge quadro sui principi del diritto ambientale, sull'adozione di testi unici o per il tramite di deleghe legislative conferite annualmente, con delle leggi comunitarie al governo. Con la legge 15 dicembre 2004, n. 308, il Parlamento ha quindi delegato il Governo all'adozione di uno o più decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative di alcuni settori della materia ambientale. Sicchè, il Governo ha provveduto ad ottemperare alla delega ricevuta ed ha pertanto emanato il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che consta di sei parti, di cui la prima è generale, ove a partire dalla modifica del 2008 sono stati recepiti i principî di derivazione comunitaria, mentre le altre sono settoriali e, segnatamente, relative ai procedimenti di v.i.a., v.a.s. e i.p.p.c.; tutela delle acque, del suolo, lotta alla desertificazione e gestione delle risorse idriche; disciplina dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati; tutela dell'aria ed infine disciplina del danno ambientale. Il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, così come modificato dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, reca attuazione di alcuni tra i più importanti principî comunitari in materia di diritto dell'ambiente, mentre gli altri che non vengono menzionati costituiscono in realtà corollari o semplici specificazioni di quelli previsti nel trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ex articolo 191 e nelle norme del codice dell’ambiente. Infatti, l'articolo 3 ter recepisce i principi di precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché il principio “chi inquina paga” che, ai sensi dell'articolo 191, comma 2, del trattato regolano la politica della Unione in materia ambientale. Una collocazione a parte, o meglio super partes ex art. 3 quater, merita il principio dello sviluppo sostenibile “che informa di sé tutta la disciplina ambientale”. Introdotto dal trattato di Amsterdam del 1997 in luogo della precedente espressione crescita sostenibile, probabilmente non consente agevolmente una diretta applicazione giurisprudenziale, ma assume una rilevanza tale da potersi considerare una sorta di principio-guida valevole per ogni settore del diritto ambientale, e ora anche dell’attività amministrativa nel suo complesso. Esso è volto a consentire di individuare un equilibrato rapporto tra risorse consumate e quelle da trasmettere alle generazioni future, in modo da salvaguardare il corretto funzionamento e l'evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possano essere prodotte dalle attività umane. Tuttavia, in materia di ambiente proprio la partecipazione più ampia alle scelte di fondo, l’attuazione del principio di trasparenza, la ricerca del consenso ed una distribuzione del potere decisionale tra i diversi soggetti istituzionali e sociali coinvolti, in altre parole “la creazione di condizioni favorevoli all’accettazione delle decisioni pubbliche quale alternativa alla loro autoritativa imposizione” potrebbero infine fare la differenza rispetto al passato e al fallimentare - perché non partecipato dai cittadini che avrebbero dovuto rispettare le norme imposte ma non condivise - modello del command and control, che ha dominato la scena europea sino ai primi anni ’90. La scelta, operata dal legislatore del 2006, in particolare nella parte IV, di lasciare alle associazioni ambientaliste riconosciute un mero potere di denuncia, lasciando al Ministero la titolarità del risarcimento e una centralità assoluta nella disciplina del danno ambientale, sembra tuttavia porsi in controtendenza rispetto alla giurisprudenza della Corte di giustizia, ed anche rispetto ai principi di derivazione comunitaria codificati ormai dal 2008 nell'ordinamento interno. Proprio in questo settore, più che in altri, tutti i cittadini dovrebbero essere attori, per l'attuazione più efficace del diritto e delle politiche ambientali e, al fine di tutelare l'ambiente, si dovrebbe garantire il più ampio accesso alla giustizia, cosa che peraltro ci viene imposta dalle fonti internazionali, in particolare la convenzione di Aärhus, ed europee, che la recepiscono. Cionondimeno, pur schematicamente, si possono segnalare almeno tre punti problematici relativi a soddisfacimento della pretesa soggettiva nella tutela dell'ambiente: innanzitutto la possibilità che la pretesa del singolo non coincida con l’interesse generale e questa presunzione si è tradotta nella drastica riduzione dei soggetti che possono proporre l'azione di danno ambientale, come si vedrà in prosieguo, inoltre la possibilità che l'esecuzione della pretesa non si riveli concretamente sostenibile a livello economico, infine, la peculiarità della tradizione giuridica italiana, che ha ostacolato non poco il soddisfacimento della pretesa soggettiva in materia ambientale, e che si traduce nel bisogno di entificare ed istituzionalizzare l'interesse ogni qualvolta si eccede la sfera meramente individuale, mentre in altre perdite di giuridica del cittadino può azionare direttamente la propria pretesa per la tutela dell'ambiente, che non cessa di essere tale, facendo valere pretese comuni anche ad altri. L'esperienza statunitense, invece, che sarebbe opportuno prendere ad esempio per una maggiore efficacia delle politiche e normative italiane relative alla tutela ambientale, ha ampiamente dimostrato la validità di questo tipo di azione, che ha garantito il soddisfacimento delle pretese soggettive del singolo come della collettività. Sicchè, pur dovendosi segnalare un generale atteggiamento di sfiducia da parte del legislatore nei confronti dei cittadini e delle associazioni ambientaliste che agiscano per la tutela dell’ambiente, si può quindi concludere con l’auspicio che il diritto di azione in materia ambientale - in virtù di una interpretazione evolutiva del dettato normativo, che risulti maggiormente in linea con il diritto europeo e con l’art. 118 Cost., oltre che con la convenzione di Aärhus - possa divenire maggiormente democratico, affidando maggior fiducia nell’operato della associazioni ambientaliste e dei singoli cittadini e magari un giorno possa ricalcare il sistema delle azioni popolari romane e delle citizen suits tanto diffuse negli U.s.a.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.