La l. 80/2005, nel delegare il governo ad adottare un decreto legislativo recante modificazioni al c.p.c., indicava tra i criteri direttivi della riforma del processo in Cassazione, l’introduzione di «meccanismi idonei modellati sull’attuale articolo 363 del codice di procedura civile», relativo al ricorso nell’interesse della legge. L’istituto, nato in Francia sotto l’ancien régime e recuperato dai rivoluzionari francesi, come strumento di controllo dei giudici, sopravvisse nel c.p.c. francese del 1806 e fu accolto dapprima dal codice di procedura civile italiano del 1865 e poi, con una diversa denominazione e con qualche lieve modifica, dal c.p.c. del 1940, restando però sostanzialmente disapplicato. Sulla scia dell’insegnamento di Piero Calamandrei, esso fu ben presto considerato la più schietta prova della funzione nomofilattica della Cassazione, sicché non è un caso se il legislatore nel 2006 lo abbia ritenuto un tassello importante del suo ambizioso disegno di recuperare e potenziare tale funzione. Al fine di rivitalizzare l’istituto, la riforma ha introdotto alcune novità che hanno destato particolare interesse, riaccendendo l’attenzione sulla norma. Il legislatore, pur lasciando ferma la “tradizionale” iniziativa del procuratore generale, ha per un verso riconosciuto alla Suprema Corte il potere di enunciare d’ufficio il principio di diritto quando il ricorso proposto dalla parte interessata è dichiarato inammissibile e la questione sia di particolare importanza e, per l’altro, ampliato l’ambito operativo dell’istituto ai «provvedimenti non ricorribili o altrimenti impugnabili». La modifica, rivolta a sollecitare l’esercizio della nomofilachia in settori normalmente sottratti a qualsiasi controllo di legittimità, ha diviso la dottrina, sollevando critiche, ma anche molti apprezzamenti e ponendo alcune questioni interpretative oggetto di approfondimento. Sta di fatto che, all’indomani dell’entrata in vigore della riforma, mentre il ricorso del procuratore generale ha continuato a restare lettera morta, la pronuncia d’ufficio ha conosciuto le prime applicazioni ad opera dei giudici di legittimità, i quali, a fronte di questioni di particolare importanza, si sono subito mostrati disponibili a esercitare la funzione di orientamento giurisprudenziale in materie sottratte al loro controllo, fornendo una lettura estensiva dei limiti di applicabilità del nuovo art. 363 c.p.c., a tutto vantaggio dell’uniformità e della certezza del diritto.
IL PRINCIPIO DI DIRITTO NELL'INTERESSE DELLA LEGGE
REALI, Giovanna
2010-01-01
Abstract
La l. 80/2005, nel delegare il governo ad adottare un decreto legislativo recante modificazioni al c.p.c., indicava tra i criteri direttivi della riforma del processo in Cassazione, l’introduzione di «meccanismi idonei modellati sull’attuale articolo 363 del codice di procedura civile», relativo al ricorso nell’interesse della legge. L’istituto, nato in Francia sotto l’ancien régime e recuperato dai rivoluzionari francesi, come strumento di controllo dei giudici, sopravvisse nel c.p.c. francese del 1806 e fu accolto dapprima dal codice di procedura civile italiano del 1865 e poi, con una diversa denominazione e con qualche lieve modifica, dal c.p.c. del 1940, restando però sostanzialmente disapplicato. Sulla scia dell’insegnamento di Piero Calamandrei, esso fu ben presto considerato la più schietta prova della funzione nomofilattica della Cassazione, sicché non è un caso se il legislatore nel 2006 lo abbia ritenuto un tassello importante del suo ambizioso disegno di recuperare e potenziare tale funzione. Al fine di rivitalizzare l’istituto, la riforma ha introdotto alcune novità che hanno destato particolare interesse, riaccendendo l’attenzione sulla norma. Il legislatore, pur lasciando ferma la “tradizionale” iniziativa del procuratore generale, ha per un verso riconosciuto alla Suprema Corte il potere di enunciare d’ufficio il principio di diritto quando il ricorso proposto dalla parte interessata è dichiarato inammissibile e la questione sia di particolare importanza e, per l’altro, ampliato l’ambito operativo dell’istituto ai «provvedimenti non ricorribili o altrimenti impugnabili». La modifica, rivolta a sollecitare l’esercizio della nomofilachia in settori normalmente sottratti a qualsiasi controllo di legittimità, ha diviso la dottrina, sollevando critiche, ma anche molti apprezzamenti e ponendo alcune questioni interpretative oggetto di approfondimento. Sta di fatto che, all’indomani dell’entrata in vigore della riforma, mentre il ricorso del procuratore generale ha continuato a restare lettera morta, la pronuncia d’ufficio ha conosciuto le prime applicazioni ad opera dei giudici di legittimità, i quali, a fronte di questioni di particolare importanza, si sono subito mostrati disponibili a esercitare la funzione di orientamento giurisprudenziale in materie sottratte al loro controllo, fornendo una lettura estensiva dei limiti di applicabilità del nuovo art. 363 c.p.c., a tutto vantaggio dell’uniformità e della certezza del diritto.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.