Muovendo dall’esame della sentenza della Corte suprema canadese R. v. Ahmad del 10 febbraio 2011, il saggio evidenzia che se, per un verso, la recente giurisprudenza della Corte suprema canadese dimostra che l’operazione di conciliazione delle esigenze di segretezza e di garanzia del giusto processo non può circoscriversi ai procedimenti giudiziari, ma deve coinvolgere il Legislatore in ordine al ripensamento del sistema di intelligence al fine di favorire a monte la disponibilità delle prove segretate in sede processuale, per altro verso rievoca il confronto tra Esecutivo e Giudiziario accrescendone la complessità: con la pronuncia relativa al caso Ahmad la Corte suprema affida l’operazione di bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti al rapporto di forze tra trial judge e dell’Attorney General che non è di per sé garanzia di una corretta amministrazione dei procedimenti per reati di terrorismo, a fronte della possibilità, scartata dal Legislatore, di affidare al giudice penale il potere di revisione dell’order emesso dalla Corte federale. Ciò detto, la tensione tra Esecutivo e Giudiziario in materia di sicurezza è indice del buon funzionamento di una democrazia in quanto veicolo di garanzia contro lesioni arbitrarie dei diritti individuali; di contro, in sua assenza il potenziamento di misure di protezione contro il terrorismo abbasserebbe le difese contro provvedimenti arbitrari dell’Esecutivo. Tuttavia, con riguardo all’operazione di bilanciamento tra garanzia di sicurezza e tutela dei diritti fondamentali, il sistema canadese si limita ad adottare ancora una linea morbida di gestione delle criticità della lotta al terrorismo disattendendo parzialmente le aspettative da tempo dichiarate.

Il “dilemma del prigioniero”: la Corte suprema canadese si pronuncia sul bilanciamento tra interesse pubblico alla sicurezza e garanzia del giusto processo

MARTINO, Pamela
2012-01-01

Abstract

Muovendo dall’esame della sentenza della Corte suprema canadese R. v. Ahmad del 10 febbraio 2011, il saggio evidenzia che se, per un verso, la recente giurisprudenza della Corte suprema canadese dimostra che l’operazione di conciliazione delle esigenze di segretezza e di garanzia del giusto processo non può circoscriversi ai procedimenti giudiziari, ma deve coinvolgere il Legislatore in ordine al ripensamento del sistema di intelligence al fine di favorire a monte la disponibilità delle prove segretate in sede processuale, per altro verso rievoca il confronto tra Esecutivo e Giudiziario accrescendone la complessità: con la pronuncia relativa al caso Ahmad la Corte suprema affida l’operazione di bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti al rapporto di forze tra trial judge e dell’Attorney General che non è di per sé garanzia di una corretta amministrazione dei procedimenti per reati di terrorismo, a fronte della possibilità, scartata dal Legislatore, di affidare al giudice penale il potere di revisione dell’order emesso dalla Corte federale. Ciò detto, la tensione tra Esecutivo e Giudiziario in materia di sicurezza è indice del buon funzionamento di una democrazia in quanto veicolo di garanzia contro lesioni arbitrarie dei diritti individuali; di contro, in sua assenza il potenziamento di misure di protezione contro il terrorismo abbasserebbe le difese contro provvedimenti arbitrari dell’Esecutivo. Tuttavia, con riguardo all’operazione di bilanciamento tra garanzia di sicurezza e tutela dei diritti fondamentali, il sistema canadese si limita ad adottare ancora una linea morbida di gestione delle criticità della lotta al terrorismo disattendendo parzialmente le aspettative da tempo dichiarate.
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