Nel presente lavoro monografico, l’a., analizzando e rielaborando la teoria dei doveri “di status”, afferma che la normativa consumeristica potrebbe costituire, più che un apporto teorico – pratico idoneo a “rileggere” la teoria dell’obbligazione senza prestazione, una disciplina che confermerebbe la tesi stessa, e ne garantirebbe un nuovo “supporto normativo”, nell’ottica di una doverosa interpretazione evolutiva. L’utilità non sarebbe meramente classificatoria e sistematica, ma anche pratica, consentendo, in tutte le ipotesi di “doveri di protezione”, l’applicabilità della normativa a tutela del consumatore, che prevede, ad esempio, obblighi informativi gravosi, a carico del professionista, ed – in generale – una tutela “rafforzata”, rispetto a quella codicistica, già in ambito precontrattuale, a vantaggio dell’utente/consumatore. Né potrebbe omettersi il rilievo di conseguenze di tipo processuale, come la possibilità di riconoscere il foro speciale del consumatore, come è stato anche recentemente ammesso dalla Suprema Corte, a proposito della categoria dei medici e degli avvocati. Inoltre, l’applicazione della normativa consumeristica consentirebbe di superare l’obiezione secondo la quale la responsabilità precontrattuale, collegandosi “necessariamente” alla stipula di un contratto futuro, non potrebbe costituire la base normativa della teoria. Si afferma, inoltre, come ulteriore conseguenza, che la norma di cui all’art. 1337 c.c. non consentirebbe di giustificare un richiamo alla professionalità dell’autore del danno. A ciò, in aggiunta alle condivisibili obiezioni, che vengono già mosse dai sostenitori della teoria dell’obbligazione senza prestazione, si potrebbe replicare anche che, allo stato attuale, parrebbe possibile rinvenire, nell’ordinamento, “nuove” fonti normative, che potrebbero costituire un ulteriore riferimento per la teoria suindicata. Esse sarebbero rappresentate dalla disciplina prevista dal codice del consumo ed, in particolare, dall’art. 2, in materia di diritti “fondamentali” del consumatore. Tale norma si applica anche alla figura del “libero professionista” e prevede una tutela “globale” del consumatore, sin dal primo contatto (qualificato) con il professionista: conseguentemente, il consumatore stesso è tutelato pienamente, ed ha diritto ad essere salvaguardato nei propri interessi, indipendentemente da un contratto e da un obbligo di prestazione. In questo senso, l’art. 2 cod. cons. ben potrebbe essere letto in combinato disposto con l’art. 1173 c.c.: l’accostarsi di un cliente/consumatore ad un servizio professionale costituirebbe, così, quel fatto o atto, idoneo a produrre obbligazioni, di tipo “protettivo”, e ad ingenerare responsabilità, nell’ipotesi di violazione degli obblighi di protezione stessi. L’utilizzo del collegamento tra art. 2 cod. cons. ed art. 1173 c.c., che andrebbe non già a sostituire, ma ad “affiancarsi” a quello, già sostenuto dalla dottrina, tra l’art. 1137 e 1173 c.c., consentirebbe così in modo esauriente e “definitivo”, il superamento dell’obiezione relativa alla presunta mancanza di un collegamento tra la teoria dell’obbligazione senza prestazione e gli status professionali. Se, infatti, nell’ambito di un “contatto sociale”, il danneggiato va inquadrato nell’ottica di un cliente/“consumatore” che si accosta ad un servizio ed, in quanto tale, merita tutela, fin dal primo momento, in cui si è creato il contatto qualificato, indipendentemente dalla stipula di un contratto, non potrebbe negarsi che l’autore del danno sia un “professionista”, in quanto tale appartenente ad uno “status”, obbligato al rispetto di precisi e penetranti doveri di comportamento, permeati e qualificati dalla buona fede. La teoria dell’obbligazione senza prestazione, pertanto, troverebbe una nuova “conferma”, grazie all’interpretazione sistematica della normativa codicistica, in armonia con il dettato comunitario. Si potrebbero così cogliere anche nuove analogie e affinità tra l’impostazione dottrinale e giurisprudenziale(e, lentamente, anche legislativa) e quella derivante dalla Comunità europea e dalla Corte di Giustizia, in un’ottica tesa all’interpretazione sistematica delle fonti del diritto. L’applicabilità della teoria spazierebbe così dalla responsabilità del medico a quella della pubblica amministrazione, fino a consentire un superamento di quelle “ambiguità” concettuali, ancora presenti nella legislazione codicistica, a proposito della tutela del professionista, specie relativamente alla pretesa distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, ovvero al parziale esonero di responsabilità nell’ipotesi di prestazione “di difficile esecuzione”. La teoria così riletta, in senso evolutivo, non consentirebbe solo pratiche applicazioni de jure condito, ma anche potenzialità di rilevo, de jure condendo

Doveri professionali di status e protezione del cliente - consumatore

NANNA, Concetta Maria
2012-01-01

Abstract

Nel presente lavoro monografico, l’a., analizzando e rielaborando la teoria dei doveri “di status”, afferma che la normativa consumeristica potrebbe costituire, più che un apporto teorico – pratico idoneo a “rileggere” la teoria dell’obbligazione senza prestazione, una disciplina che confermerebbe la tesi stessa, e ne garantirebbe un nuovo “supporto normativo”, nell’ottica di una doverosa interpretazione evolutiva. L’utilità non sarebbe meramente classificatoria e sistematica, ma anche pratica, consentendo, in tutte le ipotesi di “doveri di protezione”, l’applicabilità della normativa a tutela del consumatore, che prevede, ad esempio, obblighi informativi gravosi, a carico del professionista, ed – in generale – una tutela “rafforzata”, rispetto a quella codicistica, già in ambito precontrattuale, a vantaggio dell’utente/consumatore. Né potrebbe omettersi il rilievo di conseguenze di tipo processuale, come la possibilità di riconoscere il foro speciale del consumatore, come è stato anche recentemente ammesso dalla Suprema Corte, a proposito della categoria dei medici e degli avvocati. Inoltre, l’applicazione della normativa consumeristica consentirebbe di superare l’obiezione secondo la quale la responsabilità precontrattuale, collegandosi “necessariamente” alla stipula di un contratto futuro, non potrebbe costituire la base normativa della teoria. Si afferma, inoltre, come ulteriore conseguenza, che la norma di cui all’art. 1337 c.c. non consentirebbe di giustificare un richiamo alla professionalità dell’autore del danno. A ciò, in aggiunta alle condivisibili obiezioni, che vengono già mosse dai sostenitori della teoria dell’obbligazione senza prestazione, si potrebbe replicare anche che, allo stato attuale, parrebbe possibile rinvenire, nell’ordinamento, “nuove” fonti normative, che potrebbero costituire un ulteriore riferimento per la teoria suindicata. Esse sarebbero rappresentate dalla disciplina prevista dal codice del consumo ed, in particolare, dall’art. 2, in materia di diritti “fondamentali” del consumatore. Tale norma si applica anche alla figura del “libero professionista” e prevede una tutela “globale” del consumatore, sin dal primo contatto (qualificato) con il professionista: conseguentemente, il consumatore stesso è tutelato pienamente, ed ha diritto ad essere salvaguardato nei propri interessi, indipendentemente da un contratto e da un obbligo di prestazione. In questo senso, l’art. 2 cod. cons. ben potrebbe essere letto in combinato disposto con l’art. 1173 c.c.: l’accostarsi di un cliente/consumatore ad un servizio professionale costituirebbe, così, quel fatto o atto, idoneo a produrre obbligazioni, di tipo “protettivo”, e ad ingenerare responsabilità, nell’ipotesi di violazione degli obblighi di protezione stessi. L’utilizzo del collegamento tra art. 2 cod. cons. ed art. 1173 c.c., che andrebbe non già a sostituire, ma ad “affiancarsi” a quello, già sostenuto dalla dottrina, tra l’art. 1137 e 1173 c.c., consentirebbe così in modo esauriente e “definitivo”, il superamento dell’obiezione relativa alla presunta mancanza di un collegamento tra la teoria dell’obbligazione senza prestazione e gli status professionali. Se, infatti, nell’ambito di un “contatto sociale”, il danneggiato va inquadrato nell’ottica di un cliente/“consumatore” che si accosta ad un servizio ed, in quanto tale, merita tutela, fin dal primo momento, in cui si è creato il contatto qualificato, indipendentemente dalla stipula di un contratto, non potrebbe negarsi che l’autore del danno sia un “professionista”, in quanto tale appartenente ad uno “status”, obbligato al rispetto di precisi e penetranti doveri di comportamento, permeati e qualificati dalla buona fede. La teoria dell’obbligazione senza prestazione, pertanto, troverebbe una nuova “conferma”, grazie all’interpretazione sistematica della normativa codicistica, in armonia con il dettato comunitario. Si potrebbero così cogliere anche nuove analogie e affinità tra l’impostazione dottrinale e giurisprudenziale(e, lentamente, anche legislativa) e quella derivante dalla Comunità europea e dalla Corte di Giustizia, in un’ottica tesa all’interpretazione sistematica delle fonti del diritto. L’applicabilità della teoria spazierebbe così dalla responsabilità del medico a quella della pubblica amministrazione, fino a consentire un superamento di quelle “ambiguità” concettuali, ancora presenti nella legislazione codicistica, a proposito della tutela del professionista, specie relativamente alla pretesa distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, ovvero al parziale esonero di responsabilità nell’ipotesi di prestazione “di difficile esecuzione”. La teoria così riletta, in senso evolutivo, non consentirebbe solo pratiche applicazioni de jure condito, ma anche potenzialità di rilevo, de jure condendo
2012
978-88-6611-142-9
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