Sullo sfondo di questo contributo giace un’ipotesi di ricerca forse audace o magari solo controcorrente rispetto agli attuali studi filosofici e sociali sull’intelligenza artificiale (IA). In un dibattito culturale e scientifico in impasse, diviso tra chi tenta di dimostrare che le macchine siano troppo intelligenti ed è reale il rischio che soverchino la libertà umana, chi prova a dimostrare invece che di intelligenza nelle macchine ce ne sia poca, e chi, infine, sostiene che la misura del troppo e del poco sta nel comprendere cosa intendiamo davvero con “intelligenza”, noi abbiamo deciso di muovere la nostra indagine dal versante opposto, per allargare la scena e lo sguardo. Il troppo, il poco, il cosa, sono tre formule con funzione creativa e concettuale attraverso cui rendere il racconto – l’astrazione – del problema etico-filosofico dell’IA. Formule che secondo noi sono fondamentali per la comprensione sociotecnica di questa tecnologia, della sua presunta intelligenza tanto quanto artificialità. Formule che diventeranno sempre più basilari man mano che crescerà in noi e nella nostra cultura la percezione di trovarci di fronte a qualcosa di alieno. Di fronte all’alieno, abbiamo bisogno di metafore, di finzioni con funzione creativa e concettuale per spiegarci cosa succede, per definire i limiti e le espressioni del nostro sentire, per capire come muoverci, proprio come le maschere nel teatro. Di qua l’idea dello scritto, idea che abbiamo articolato nel modo seguente. Nella prima parte mostreremo che è presente un uso della finzione scenica e creativa nelle metafore e negli esperimenti mentali che gli studiosi hanno introdotto nel corso della breve storia dell’IA per spiegarci cosa essa dovrebbe essere o come dovrebbe funzionare. In una seconda parte, passeremo a indagare il monstrum della e nella maschera, grazie al caso di Giancarlo Santelli, attore e realizzatore di maschere e burattini. Tutto ciò fungerà da premessa per, nella terza parte, chiarire ulteriormente la funzione creativa della maschera nel teatro. Nell’ultima parte proveremo a tirare le somme, analizzando il caso specifico dell’IA generativa e sostenendo che (a) come per le maschere, la performance generativa dell’IA è meglio comprensibile se vista attraverso la lente di un costruttivismo sociale, in questo caso sociotecnico; (b) la sua mostruosità, il fatto cioè di imparare a pensare in modi che non ci spieghiamo, necessita, ancora una volta e similmente alla potenza creativa eccedente delle maschere, di una nuova prassi creativa a livello politico e culturale.
Allargare la scena per allargare lo sguardo. Dal teatro delle maschere all’IA generativa, sul filo di una performance sociotecnica
Antonio Carnevale
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2025-01-01
Abstract
Sullo sfondo di questo contributo giace un’ipotesi di ricerca forse audace o magari solo controcorrente rispetto agli attuali studi filosofici e sociali sull’intelligenza artificiale (IA). In un dibattito culturale e scientifico in impasse, diviso tra chi tenta di dimostrare che le macchine siano troppo intelligenti ed è reale il rischio che soverchino la libertà umana, chi prova a dimostrare invece che di intelligenza nelle macchine ce ne sia poca, e chi, infine, sostiene che la misura del troppo e del poco sta nel comprendere cosa intendiamo davvero con “intelligenza”, noi abbiamo deciso di muovere la nostra indagine dal versante opposto, per allargare la scena e lo sguardo. Il troppo, il poco, il cosa, sono tre formule con funzione creativa e concettuale attraverso cui rendere il racconto – l’astrazione – del problema etico-filosofico dell’IA. Formule che secondo noi sono fondamentali per la comprensione sociotecnica di questa tecnologia, della sua presunta intelligenza tanto quanto artificialità. Formule che diventeranno sempre più basilari man mano che crescerà in noi e nella nostra cultura la percezione di trovarci di fronte a qualcosa di alieno. Di fronte all’alieno, abbiamo bisogno di metafore, di finzioni con funzione creativa e concettuale per spiegarci cosa succede, per definire i limiti e le espressioni del nostro sentire, per capire come muoverci, proprio come le maschere nel teatro. Di qua l’idea dello scritto, idea che abbiamo articolato nel modo seguente. Nella prima parte mostreremo che è presente un uso della finzione scenica e creativa nelle metafore e negli esperimenti mentali che gli studiosi hanno introdotto nel corso della breve storia dell’IA per spiegarci cosa essa dovrebbe essere o come dovrebbe funzionare. In una seconda parte, passeremo a indagare il monstrum della e nella maschera, grazie al caso di Giancarlo Santelli, attore e realizzatore di maschere e burattini. Tutto ciò fungerà da premessa per, nella terza parte, chiarire ulteriormente la funzione creativa della maschera nel teatro. Nell’ultima parte proveremo a tirare le somme, analizzando il caso specifico dell’IA generativa e sostenendo che (a) come per le maschere, la performance generativa dell’IA è meglio comprensibile se vista attraverso la lente di un costruttivismo sociale, in questo caso sociotecnico; (b) la sua mostruosità, il fatto cioè di imparare a pensare in modi che non ci spieghiamo, necessita, ancora una volta e similmente alla potenza creativa eccedente delle maschere, di una nuova prassi creativa a livello politico e culturale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


