Quasi tutte le scritture della seconda fase celatiana, quella che va da Verso la foce ad Avventure in Africa, da Cinema naturale a Fata Morgana, si mettono in moto a partire da un meccanismo di disattesa, una strategia di scartamento che rovescia il tavolo del senso comune assegnando allo scrittore una sorta di licentia vagandi, una libertà di digressione che lo svincola da qualsiasi contrainte. Ciò non vuol dire che Celati non faccia ricorso, in assoluto, a schemi e tecniche narrativi, ma che il margine di improvvisazione che si concede è in realtà finalizzato a un allontanamento coerente e sistematico dai moduli di una letteratura “razionale” e naturalista, «ospedalizzata nella realtà» (cfr. Celati 1987; Rizzante, Celati 2008). La possibilità di narrare è quasi sempre inaugurata da un atto preliminare di straniamento, uno smarrimento preventivo che può assumere le sembianze dell’incidente, dell’equivoco o di qualsiasi altro evento comico-straniante, che scompagina il corso degli eventi e permette di iniziare a raccontare. Il meccanismo fondante della scrittura celatiana è proprio questa dinamica di perenne smarrimento/ri-orientamento, che è legata a doppio filo all’obiettivo di liberare lo sguardo dalle cataratte percettive, dai pregiudizi psicologici ed estetici che condizionano la visione. La letteratura ha per Celati un fine benefico, eudemonistico (cfr. Gramigna 2019: 207), poiché serve a stabilire un contatto con l’altro, a sintonizzarsi con le “apparenze”, nell’esigenza di togliere – per citare una bella espressione di Ghirri – la carta da parati al mondo (cfr. Monina 2025; Ghirri 2010), in modo da renderlo davvero visibile e vivibile.

Togliere la carta da parati al mondo: le Avventure in Africa di Gianni Celati

Altamura G
2025-01-01

Abstract

Quasi tutte le scritture della seconda fase celatiana, quella che va da Verso la foce ad Avventure in Africa, da Cinema naturale a Fata Morgana, si mettono in moto a partire da un meccanismo di disattesa, una strategia di scartamento che rovescia il tavolo del senso comune assegnando allo scrittore una sorta di licentia vagandi, una libertà di digressione che lo svincola da qualsiasi contrainte. Ciò non vuol dire che Celati non faccia ricorso, in assoluto, a schemi e tecniche narrativi, ma che il margine di improvvisazione che si concede è in realtà finalizzato a un allontanamento coerente e sistematico dai moduli di una letteratura “razionale” e naturalista, «ospedalizzata nella realtà» (cfr. Celati 1987; Rizzante, Celati 2008). La possibilità di narrare è quasi sempre inaugurata da un atto preliminare di straniamento, uno smarrimento preventivo che può assumere le sembianze dell’incidente, dell’equivoco o di qualsiasi altro evento comico-straniante, che scompagina il corso degli eventi e permette di iniziare a raccontare. Il meccanismo fondante della scrittura celatiana è proprio questa dinamica di perenne smarrimento/ri-orientamento, che è legata a doppio filo all’obiettivo di liberare lo sguardo dalle cataratte percettive, dai pregiudizi psicologici ed estetici che condizionano la visione. La letteratura ha per Celati un fine benefico, eudemonistico (cfr. Gramigna 2019: 207), poiché serve a stabilire un contatto con l’altro, a sintonizzarsi con le “apparenze”, nell’esigenza di togliere – per citare una bella espressione di Ghirri – la carta da parati al mondo (cfr. Monina 2025; Ghirri 2010), in modo da renderlo davvero visibile e vivibile.
2025
978-88-6622-256-9
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