Il presente studio, muovendo da talune considerazioni in ordine alle possibili cause all’origine di noti crack finanziari di grandi dimensioni, si propone di ricostruire il quadro legislativo che si è andato affastellando nel tempo su talune fattispecie incriminate, indagando nel contempo sull’esistenza di talune falle normative, nelle cui pieghe hanno trovato spazio molteplici e concomitanti comportamenti – moralmente e giuridicamente – scorretti, ascrivibili ad una pluralità di soggetti cui si applicano differenziati statuti: taluni sono tenuti all’osservanza di precisi obblighi regolamentari, altri sono invece immersi in un vuoto normativo e sottoposti semmai a norme di autoregolamentazione predisposte dalle associazioni di categoria. Al diverso statuto dei soggetti corrisponde un disomogeneo statuto dell’informazione diffusa sul mercato. Infatti, ad un’informazione obbligatoria, che è soggetta a peculiari regole di diffusione e ad appositi controlli, si accompagna un’ampia ed ingovernata area di informazione spontanea, generalmente fornita da analisti finanziari. Con tale denominazione vengono correntemente identificate figure professionali di particolare rilevanza nell’andamento del mercato finanziario, in grado di incidere con le loro raccomandazioni di investimento sulle scelte decisionali degli investitori, smuovendo ingenti flussi di capitale da un titolo finanziario e/o da un emittente quotato all’altro. Figure che, pur essendo state al centro di un acceso dibattito sulle problematiche attinenti all’esistenza di conflitti di interesse, che affliggono gli analisti che operano alle dipendenze di intermediari autorizzati all’esercizio di servizi di investimento o nell’ambito di gruppi polifunzionali, sono rimaste a lungo prive di un peculiare statuto giuridico e di una adeguata considerazione legislativa. L’evoluzione del contesto normativo evidenzia come all’origine di questa prolungata situazione di stallo normativo vi sia la difficoltà di individuare correttamente tanto i soggetti, quanto l’attività professionale dagli stessi esercitata. Ha contribuito a generare molta confusione la mancanza di una definizione su entrambi i versanti, soggettivo e oggettivo, anche laddove ne veniva proposta una disciplina a livello embrionale, circoscritta però ad un’attività alquanto nebulosa, non meglio identificata, ma indifferentemente riferita a studi, ricerche e raccomandazioni. Tutte attività che rappresentano molteplici aspetti di una fattispecie poliedrica e dalle diverse sfaccettature e che costituiscono le diverse articolazioni di quella che viene definita intermediazione informativa o informativa derivata. Quest’ultima, difatti, interponendosi nel processo di comunicazione economico-finanziaria, trae origine dalle informazioni societarie per sottoporle ad elaborazione fino a formulare delle previsioni o dei target price da destinare al pubblico degli investitori. Di qui la graduale considerazione normativa della tutela dei destinatari di tali informazioni finanziarie ed il correlato crescente interesse legislativo verso le fattispecie in questione che, in assenza di precisi punti di riferimento regolamentare, sono state ripetutamente assimilate con l’attività di consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari e successivamente distinte nell’ordinamento nazionale solo sulla scorta dell’orientamento interpretativo dell’Autorità di vigilanza. Muta di conseguenza l’approccio normativo, il punto di osservazione comincia lentamente, ma progressivamente a spostarsi. L’integrità del mercato, che rappresentava l’obiettivo esclusivo della regolamentazione fino all’emanazione del Testo Unico della Finanza, viene scandagliata nelle diverse componenti essenziali, atte a favorirne la compiuta realizzazione. Assurge così ad un ruolo di primo piano – sulla scorta della normativa comunitaria in materia di abusi di mercato (direttive 2003/6/CE e 2003/125/CE) - la tutela degli investitori, la cui fiducia nei mercati finanziari costituisce la linfa vitale per il relativo buon funzionamento, favorito altresì dalla diffusione di informazioni finanziarie corrette, tanto sotto il profilo formale quanto sotto quello sostanziale. Una tutela ottimale degli investitori dovrebbe articolarsi su un duplice versante: in primo luogo, quello delle aspettative di guadagno, riposte nelle raccomandazioni di investimento o comunque nelle informazioni finanziarie diffuse al pubblico o tramite canali di divulgazione; in secondo luogo, quello del particolare affidamento ingenerato negli stessi investitori sulla scorta della presunta serietà e competenza professionale dei soggetti che elaborano tali raccomandazioni. La risposta del legislatore in un primo momento è stata finalizzata ad approntare una disciplina diretta a soddisfare i due indicati obiettivi (integrità dei mercati finanziari e tutela degli investitori), da un lato sanzionando fenomeni di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato, dall’altro prescrivendo una serie di obblighi per la corretta presentazione al pubblico di raccomandazioni e per la comunicazione di situazioni di conflitti di interesse. Ha però offerto un diverso riscontro normativo con riguardo alla categoria professionale degli analisti finanziari ed alla relativa attività esercitata. Se quest’ultima difatti è stata oggetto di una regolamentazione omnicomprensiva, avendo riguardo – sulla scorta della formulazione generica della definizione di raccomandazione – all’universo delle tipologie operative suscettibili di incidere sulle scelte decisionali degli investitori, con riguardo al profilo prettamente soggettivo la disciplina ivi sancita ha interessato gli analisti finanziari solo trasversalmente, omologandoli nell’ambito dell’indistinta categoria dei soggetti che elaborano o diffondono ricerche, raccomandazioni o altre informazioni finanziarie e che in definitiva intervengono in un processo di intermediazione informativa. L’identificazione di dette figure professionali è rimasta subordinata alla preventiva delimitazione della relativa attività prestata, prescindendo da ogni tentativo di regolamentazione in ordine ai presupposti soggettivi (rectius: requisiti di onorabilità e professionalità) necessari per l’esercizio della professione di analista finanziario, laddove invece – in ragione della forza persuasiva sulle scelte decisionali degli investitori, insita nei giudizi formulati dagli analisti, e della contestuale dipendenza degli investitori dalle raccomandazioni diffuse sul mercato - ben altra importanza avrebbe rivestito l’introduzione di uno statuto giuridico di detti soggetti, tale da garantirne elevati standard etici e professionali. Con riguardo al profilo da ultimo indicato, va evidenziato che l’argomento costituiva oggetto di una proposta di legge ad hoc, che avrebbe potuto svolgere una funzione integrativa, rispetto alla predetta normativa comunitaria, sul punto in questione. A fronte dell’attuazione di quest’ultima però il legislatore ha preferito non coltivarne ulteriormente l’iter normativo, lasciando che naufragasse del tutto con la fine della legislatura. Eppure la mancata approvazione ha rappresentato un’occasione mancata anche sotto un altro rilevante profilo, quello della espressa codificazione del principio di responsabilità civile degli analisti finanziari. L’evoluzione dello scenario legislativo si è nel tempo arricchito di un ulteriore tassello (direttive Mifid 2004/39/CE e 2006/73/CE) – solo di recente recepito ed entrato in vigore nel nostro ordinamento - che, se per un verso si è rivelato di particolare rilevanza con riguardo alla figura professionale dell’analista finanziario, con riguardo al quale ne è stato “consacrato” per la prima volta il riconoscimento normativo a mezzo di espressa definizione, per altro verso ha introdotto una particolare regolamentazione in tema di conflitti di interessi, evidenziando problematiche di coordinamento di tutte le fonti normative che insistono sulla stessa materia. E sull’esistenza di diverse zone d’ombra nelle molteplici intersezioni originatesi in proposito la Commissione europea ha mantenuto un margine di ambiguità. Nel tentativo di ripercorrere il filo logico ed argomentativo sommariamente tratteggiato, l’indagine condotta, prendendo le mosse da un affastellato quadro normativo e cercando di affrontare ciascuna delle problematiche prospettate, mira ad individuare - tra luci ed ombre che si sono avvicendate nel tempo – le caratteristiche salienti dell’informativa derivata (ivi compresa quella diffusa tramite Internet), avendo riguardo al profilo contenutistico dell’attività di analisi finanziaria, alle peculiarità dei soggetti impegnati nella elaborazione o diffusione di raccomandazioni di investimento, nonché alle (apparenti) contraddizioni insite nelle soluzioni regolamentari offerte in ordine ad ogni aspetto considerato, dalla correttezza dell’informazione alla comunicazione dei conflitti di interesse in cui possono versare gli analisti finanziari, fino a giungere alla prospettazione di un’ulteriore fattispecie di danno da informazione inesatta, ascrivibile agli stessi analisti.

L'informativa finanziaria derivata. Ruolo e responsabilità degli analisti finanziari

PARACAMPO, Maria-Teresa
2008-01-01

Abstract

Il presente studio, muovendo da talune considerazioni in ordine alle possibili cause all’origine di noti crack finanziari di grandi dimensioni, si propone di ricostruire il quadro legislativo che si è andato affastellando nel tempo su talune fattispecie incriminate, indagando nel contempo sull’esistenza di talune falle normative, nelle cui pieghe hanno trovato spazio molteplici e concomitanti comportamenti – moralmente e giuridicamente – scorretti, ascrivibili ad una pluralità di soggetti cui si applicano differenziati statuti: taluni sono tenuti all’osservanza di precisi obblighi regolamentari, altri sono invece immersi in un vuoto normativo e sottoposti semmai a norme di autoregolamentazione predisposte dalle associazioni di categoria. Al diverso statuto dei soggetti corrisponde un disomogeneo statuto dell’informazione diffusa sul mercato. Infatti, ad un’informazione obbligatoria, che è soggetta a peculiari regole di diffusione e ad appositi controlli, si accompagna un’ampia ed ingovernata area di informazione spontanea, generalmente fornita da analisti finanziari. Con tale denominazione vengono correntemente identificate figure professionali di particolare rilevanza nell’andamento del mercato finanziario, in grado di incidere con le loro raccomandazioni di investimento sulle scelte decisionali degli investitori, smuovendo ingenti flussi di capitale da un titolo finanziario e/o da un emittente quotato all’altro. Figure che, pur essendo state al centro di un acceso dibattito sulle problematiche attinenti all’esistenza di conflitti di interesse, che affliggono gli analisti che operano alle dipendenze di intermediari autorizzati all’esercizio di servizi di investimento o nell’ambito di gruppi polifunzionali, sono rimaste a lungo prive di un peculiare statuto giuridico e di una adeguata considerazione legislativa. L’evoluzione del contesto normativo evidenzia come all’origine di questa prolungata situazione di stallo normativo vi sia la difficoltà di individuare correttamente tanto i soggetti, quanto l’attività professionale dagli stessi esercitata. Ha contribuito a generare molta confusione la mancanza di una definizione su entrambi i versanti, soggettivo e oggettivo, anche laddove ne veniva proposta una disciplina a livello embrionale, circoscritta però ad un’attività alquanto nebulosa, non meglio identificata, ma indifferentemente riferita a studi, ricerche e raccomandazioni. Tutte attività che rappresentano molteplici aspetti di una fattispecie poliedrica e dalle diverse sfaccettature e che costituiscono le diverse articolazioni di quella che viene definita intermediazione informativa o informativa derivata. Quest’ultima, difatti, interponendosi nel processo di comunicazione economico-finanziaria, trae origine dalle informazioni societarie per sottoporle ad elaborazione fino a formulare delle previsioni o dei target price da destinare al pubblico degli investitori. Di qui la graduale considerazione normativa della tutela dei destinatari di tali informazioni finanziarie ed il correlato crescente interesse legislativo verso le fattispecie in questione che, in assenza di precisi punti di riferimento regolamentare, sono state ripetutamente assimilate con l’attività di consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari e successivamente distinte nell’ordinamento nazionale solo sulla scorta dell’orientamento interpretativo dell’Autorità di vigilanza. Muta di conseguenza l’approccio normativo, il punto di osservazione comincia lentamente, ma progressivamente a spostarsi. L’integrità del mercato, che rappresentava l’obiettivo esclusivo della regolamentazione fino all’emanazione del Testo Unico della Finanza, viene scandagliata nelle diverse componenti essenziali, atte a favorirne la compiuta realizzazione. Assurge così ad un ruolo di primo piano – sulla scorta della normativa comunitaria in materia di abusi di mercato (direttive 2003/6/CE e 2003/125/CE) - la tutela degli investitori, la cui fiducia nei mercati finanziari costituisce la linfa vitale per il relativo buon funzionamento, favorito altresì dalla diffusione di informazioni finanziarie corrette, tanto sotto il profilo formale quanto sotto quello sostanziale. Una tutela ottimale degli investitori dovrebbe articolarsi su un duplice versante: in primo luogo, quello delle aspettative di guadagno, riposte nelle raccomandazioni di investimento o comunque nelle informazioni finanziarie diffuse al pubblico o tramite canali di divulgazione; in secondo luogo, quello del particolare affidamento ingenerato negli stessi investitori sulla scorta della presunta serietà e competenza professionale dei soggetti che elaborano tali raccomandazioni. La risposta del legislatore in un primo momento è stata finalizzata ad approntare una disciplina diretta a soddisfare i due indicati obiettivi (integrità dei mercati finanziari e tutela degli investitori), da un lato sanzionando fenomeni di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato, dall’altro prescrivendo una serie di obblighi per la corretta presentazione al pubblico di raccomandazioni e per la comunicazione di situazioni di conflitti di interesse. Ha però offerto un diverso riscontro normativo con riguardo alla categoria professionale degli analisti finanziari ed alla relativa attività esercitata. Se quest’ultima difatti è stata oggetto di una regolamentazione omnicomprensiva, avendo riguardo – sulla scorta della formulazione generica della definizione di raccomandazione – all’universo delle tipologie operative suscettibili di incidere sulle scelte decisionali degli investitori, con riguardo al profilo prettamente soggettivo la disciplina ivi sancita ha interessato gli analisti finanziari solo trasversalmente, omologandoli nell’ambito dell’indistinta categoria dei soggetti che elaborano o diffondono ricerche, raccomandazioni o altre informazioni finanziarie e che in definitiva intervengono in un processo di intermediazione informativa. L’identificazione di dette figure professionali è rimasta subordinata alla preventiva delimitazione della relativa attività prestata, prescindendo da ogni tentativo di regolamentazione in ordine ai presupposti soggettivi (rectius: requisiti di onorabilità e professionalità) necessari per l’esercizio della professione di analista finanziario, laddove invece – in ragione della forza persuasiva sulle scelte decisionali degli investitori, insita nei giudizi formulati dagli analisti, e della contestuale dipendenza degli investitori dalle raccomandazioni diffuse sul mercato - ben altra importanza avrebbe rivestito l’introduzione di uno statuto giuridico di detti soggetti, tale da garantirne elevati standard etici e professionali. Con riguardo al profilo da ultimo indicato, va evidenziato che l’argomento costituiva oggetto di una proposta di legge ad hoc, che avrebbe potuto svolgere una funzione integrativa, rispetto alla predetta normativa comunitaria, sul punto in questione. A fronte dell’attuazione di quest’ultima però il legislatore ha preferito non coltivarne ulteriormente l’iter normativo, lasciando che naufragasse del tutto con la fine della legislatura. Eppure la mancata approvazione ha rappresentato un’occasione mancata anche sotto un altro rilevante profilo, quello della espressa codificazione del principio di responsabilità civile degli analisti finanziari. L’evoluzione dello scenario legislativo si è nel tempo arricchito di un ulteriore tassello (direttive Mifid 2004/39/CE e 2006/73/CE) – solo di recente recepito ed entrato in vigore nel nostro ordinamento - che, se per un verso si è rivelato di particolare rilevanza con riguardo alla figura professionale dell’analista finanziario, con riguardo al quale ne è stato “consacrato” per la prima volta il riconoscimento normativo a mezzo di espressa definizione, per altro verso ha introdotto una particolare regolamentazione in tema di conflitti di interessi, evidenziando problematiche di coordinamento di tutte le fonti normative che insistono sulla stessa materia. E sull’esistenza di diverse zone d’ombra nelle molteplici intersezioni originatesi in proposito la Commissione europea ha mantenuto un margine di ambiguità. Nel tentativo di ripercorrere il filo logico ed argomentativo sommariamente tratteggiato, l’indagine condotta, prendendo le mosse da un affastellato quadro normativo e cercando di affrontare ciascuna delle problematiche prospettate, mira ad individuare - tra luci ed ombre che si sono avvicendate nel tempo – le caratteristiche salienti dell’informativa derivata (ivi compresa quella diffusa tramite Internet), avendo riguardo al profilo contenutistico dell’attività di analisi finanziaria, alle peculiarità dei soggetti impegnati nella elaborazione o diffusione di raccomandazioni di investimento, nonché alle (apparenti) contraddizioni insite nelle soluzioni regolamentari offerte in ordine ad ogni aspetto considerato, dalla correttezza dell’informazione alla comunicazione dei conflitti di interesse in cui possono versare gli analisti finanziari, fino a giungere alla prospettazione di un’ulteriore fattispecie di danno da informazione inesatta, ascrivibile agli stessi analisti.
2008
978-88-8422-714-0
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