Con questo intervento vogliamo proporre una analisi della filmografia di Luis Buñuel attraverso la lente del perturbante freudiano, ossia di quel sentimento stimolato da qualcosa di familiare che è stato inconsciamente rimosso. Si tratta di una sorta di spaventoso che emerge, richiamando complessi infantili, per mettere in discussione la nostra percezione del mondo. Tale emozione, condizionata dalle credenze animiste e dalle collaborazioni con artisti di fama (si pensi a Dalì e Galdós), sembra connaturata alla poetica surrealista inaugurata dal cortometraggio muto Un chien andalou (1929) e continuamente evocata nelle altre produzioni messicane ed europee, fino all’ultimo film Cet obscur objet du désir (Quell’oscuro oggetto del desiderio, 1977) che si lega idealmente al primo. Per tutta la sua lunga carriera, Buñuel – attraverso un’esplorazione radicale e spregiudicata nei territori dell’inconscio – ha escogitato soluzioni espressive caratterizzate dalla intenzione di provocare un effetto di disorientamento nello spettatore borghese. In particolare, in questa sede, vogliamo soffermarci sulla dimensione sonora del suo cinema e soprattutto su alcune peculiarità nell’utilizzo del suono che riteniamo possano assimilarsi, nelle intenzioni, alle soluzioni visive più originali del regista. Nel cinema di Buñuel, non solo si fa a meno della parola (questo aspetto è inevitabilmente riscontrabile nelle prime due opere surrealiste, che anche quando prevedono l’introduzione delle didascalie lo fanno escludendone la funzione logico-narrativa), ma è previsto un uso originale di suoni e silenzi che provocano angoscia. Il regista gioca spesso con l’assenza di senso nei dialoghi e utilizza rumori che li coprono per creare confusione nel pubblico posto di fronte ad una realtà che gli è familiare ma dalla quale viene profondamente turbato. Tale capacità di suscitare inquietudine è dimostrata anche attraverso aneddoti relativi alle reazioni del pubblico alle sue opere e dalla potenza espressiva che esse hanno ancora a distanza di tempo dall’epoca della loro realizzazione.

L’occhio tagliato e la parola negata. Emozioni perturbanti nel cinema di Luis Buñuel

Angela Bianca Saponari
2025-01-01

Abstract

Con questo intervento vogliamo proporre una analisi della filmografia di Luis Buñuel attraverso la lente del perturbante freudiano, ossia di quel sentimento stimolato da qualcosa di familiare che è stato inconsciamente rimosso. Si tratta di una sorta di spaventoso che emerge, richiamando complessi infantili, per mettere in discussione la nostra percezione del mondo. Tale emozione, condizionata dalle credenze animiste e dalle collaborazioni con artisti di fama (si pensi a Dalì e Galdós), sembra connaturata alla poetica surrealista inaugurata dal cortometraggio muto Un chien andalou (1929) e continuamente evocata nelle altre produzioni messicane ed europee, fino all’ultimo film Cet obscur objet du désir (Quell’oscuro oggetto del desiderio, 1977) che si lega idealmente al primo. Per tutta la sua lunga carriera, Buñuel – attraverso un’esplorazione radicale e spregiudicata nei territori dell’inconscio – ha escogitato soluzioni espressive caratterizzate dalla intenzione di provocare un effetto di disorientamento nello spettatore borghese. In particolare, in questa sede, vogliamo soffermarci sulla dimensione sonora del suo cinema e soprattutto su alcune peculiarità nell’utilizzo del suono che riteniamo possano assimilarsi, nelle intenzioni, alle soluzioni visive più originali del regista. Nel cinema di Buñuel, non solo si fa a meno della parola (questo aspetto è inevitabilmente riscontrabile nelle prime due opere surrealiste, che anche quando prevedono l’introduzione delle didascalie lo fanno escludendone la funzione logico-narrativa), ma è previsto un uso originale di suoni e silenzi che provocano angoscia. Il regista gioca spesso con l’assenza di senso nei dialoghi e utilizza rumori che li coprono per creare confusione nel pubblico posto di fronte ad una realtà che gli è familiare ma dalla quale viene profondamente turbato. Tale capacità di suscitare inquietudine è dimostrata anche attraverso aneddoti relativi alle reazioni del pubblico alle sue opere e dalla potenza espressiva che esse hanno ancora a distanza di tempo dall’epoca della loro realizzazione.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/554921
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