Partendo dalle acquisizioni degli studi dedicati all’autrice e a questo romanzo (Zancan, Di Nicola, Ghilardi, Åkerström, ecc.), il contributo si propone di tornare a indagare la struttura compositiva di Dalla parte di lei e di soffermarsi in modo particolare sulla scelta di una narratrice inattendibile per rappresentare gli autoinganni della coscienza, e per dar voce a una critica corrosiva degli stereotipi di genere nella società borghese, ideologicamente rafforzati dal fascismo. Come si può già osservare nella Coscienza di Zeno, il complesso gioco di rifrazioni autobiografiche tra autore, narratore e personaggio è mediato anche qui dalla voce di un narratore inattendibile. Esaminando il romanzo della De Céspedes si ha l’impressione che l’autrice si sia servita dell’archetipo rousseauiano della confessione per mettere in scena l’Io di Alessandra, per poi virare il taglio della narrazione, dalla prima edizione del 1949 a quella del 1994, dalla confessione a una dimensione più squisitamente romanzesca, in cui si smorza il gioco delle interferenze prolettiche tra io narrante e io narrato, e in qualche modo anche il ruolo attivo del lettore, a vantaggio di un finale ‘noir’ più inatteso. Si può inoltre rilevare come la critica degli stereotipi e delle “menzogne convenzionali” della società borghese passi, a ben vedere, attraverso “l’uccisione” e il superamento del narratore attendibile, secondo una modalità che si può riscontrare lungo l’arco novecentesco in Pirandello, Svevo, De Céspedes, Volponi.
“Una confessione in iscritto è sempre menzognera”. La rappresentazione finzionale dell’Io in Dalla parte di lei di Alba de Céspedes.
Natalia Maria Vacante
In corso di stampa
Abstract
Partendo dalle acquisizioni degli studi dedicati all’autrice e a questo romanzo (Zancan, Di Nicola, Ghilardi, Åkerström, ecc.), il contributo si propone di tornare a indagare la struttura compositiva di Dalla parte di lei e di soffermarsi in modo particolare sulla scelta di una narratrice inattendibile per rappresentare gli autoinganni della coscienza, e per dar voce a una critica corrosiva degli stereotipi di genere nella società borghese, ideologicamente rafforzati dal fascismo. Come si può già osservare nella Coscienza di Zeno, il complesso gioco di rifrazioni autobiografiche tra autore, narratore e personaggio è mediato anche qui dalla voce di un narratore inattendibile. Esaminando il romanzo della De Céspedes si ha l’impressione che l’autrice si sia servita dell’archetipo rousseauiano della confessione per mettere in scena l’Io di Alessandra, per poi virare il taglio della narrazione, dalla prima edizione del 1949 a quella del 1994, dalla confessione a una dimensione più squisitamente romanzesca, in cui si smorza il gioco delle interferenze prolettiche tra io narrante e io narrato, e in qualche modo anche il ruolo attivo del lettore, a vantaggio di un finale ‘noir’ più inatteso. Si può inoltre rilevare come la critica degli stereotipi e delle “menzogne convenzionali” della società borghese passi, a ben vedere, attraverso “l’uccisione” e il superamento del narratore attendibile, secondo una modalità che si può riscontrare lungo l’arco novecentesco in Pirandello, Svevo, De Céspedes, Volponi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


