Il saggio analizza il ruolo del linguaggio bellico nei discorsi mediatici italiani sulla pandemia di Covid-19, in particolare nel contesto televisivo tra il 2020 e il 2021. Fin dai primi giorni dell’emergenza sanitaria, la televisione ha veicolato una narrazione che ha rappresentato il virus come un “nemico” e la lotta contro di esso come una “guerra”. In questo quadro, il corpo è stato ridotto a due dimensioni: biologico (campo di battaglia della malattia) e sociale (corpo nazionale schierato e resistente). Il distanziamento sociale è stato trasformato da misura sanitaria a segno di appartenenza nazionale, rafforzato da simboli come l’inno e la bandiera. Attraverso le categorie di iperidentificazione e iperterritorializzazione, il linguaggio bellico ha imposto ai corpi marchi identitari e appartenenze rigide, riducendo la soggettività a ciò che il corpo “è” e da dove proviene. Richiamandosi a Derrida e Levinas, l’autrice interpreta questa dinamica come una “rinascita dell’ontologia”, in cui l’essere si impone come dato ineluttabile, cancellando desiderio, mutamento e azione politica. La metafora bellica ha così mitigato lo spaesamento generato dall’invisibilità e dalla deterritorializzazione del virus, ma al prezzo di una riontologizzazione che ha irrigidito identità e confini, naturalizzando logiche di esclusione e sacrificabilità dei corpi.
La riduzione del corpo alla sua determinazione identitaria nei linguaggi bellici sulla pandemia
iulia ponzio
2024-01-01
Abstract
Il saggio analizza il ruolo del linguaggio bellico nei discorsi mediatici italiani sulla pandemia di Covid-19, in particolare nel contesto televisivo tra il 2020 e il 2021. Fin dai primi giorni dell’emergenza sanitaria, la televisione ha veicolato una narrazione che ha rappresentato il virus come un “nemico” e la lotta contro di esso come una “guerra”. In questo quadro, il corpo è stato ridotto a due dimensioni: biologico (campo di battaglia della malattia) e sociale (corpo nazionale schierato e resistente). Il distanziamento sociale è stato trasformato da misura sanitaria a segno di appartenenza nazionale, rafforzato da simboli come l’inno e la bandiera. Attraverso le categorie di iperidentificazione e iperterritorializzazione, il linguaggio bellico ha imposto ai corpi marchi identitari e appartenenze rigide, riducendo la soggettività a ciò che il corpo “è” e da dove proviene. Richiamandosi a Derrida e Levinas, l’autrice interpreta questa dinamica come una “rinascita dell’ontologia”, in cui l’essere si impone come dato ineluttabile, cancellando desiderio, mutamento e azione politica. La metafora bellica ha così mitigato lo spaesamento generato dall’invisibilità e dalla deterritorializzazione del virus, ma al prezzo di una riontologizzazione che ha irrigidito identità e confini, naturalizzando logiche di esclusione e sacrificabilità dei corpi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


