Che cosa è la vita di un uomo se non si lega a quella di coloro che lo hanno preceduto attraverso la memoria dell’antico? (Cic., Or. 34.120). Cicerone, testimone esemplare dell’ideologia aristocratica che privilegia il passato rispetto al presente, alla «età declinante che spolvera i capelli di bianco e solca la fronte di rughe» (Pont. 1.4.1-2) dedicò, negli anni cruciali per la vita della Res publica, l’unico trattato della letteratura latina sul tema. Nel Cato maior de senectute, attraverso l’idealizzazione dell’ottantaquattrenne Catone, che in ipsa senectute praeter ceteros floruisset ( Cic., Lael. 4), Cicerone della vecchiaia celebra sapienza e autorevolezza, operosità e attitudine alla contemplazione. Nell’apologia ciceroniana della senectus, il dialogo immaginario tra Catone il Vecchio da una parte e Scipione, figlio di Paolo Emilio e Lelio dall’altra, riassume, più in generale, la variegata condizione dell’anziano. La senectus «a rebus gerendis abstrahit», sostengono i due giovani interlocutori di Catone, il quale replica esaltando, quali aspetti peculiari della vecchiaia, saggezza e sapienza. All’indebolimento delle forze fisiche si contrappone la gravitas; la voluptas corporis lascia il posto ai piaceri spirituali e se il giovane vult diu vivere, il “vecchio” diu vixit. D’altra parte, non si può tacere che senectus ipsa est morbus (Ter., Phorm. 575) la vecchiaia è di per sé una malattia. La gnome terenziana, destinata ad avere fortuna nella tradizione proverbiale, offre un’altra delle prospettive possibili da cui osservare la condizione esistenziale della vecchiaia: quella, negativa, che ne considera l’aspetto della decadenza fisica e, più in generale, i difetti, tante volte rappresentati attraverso la tipizzazione di personaggi anziani nella palliata. Queste visioni della vecchiaia, qui proposte a titolo esemplificativo, riflettono, insieme, la condizione dell’anziano come l’esperienza insegna e non perderanno, col tempo, il loro valore topico. Non è, però, solo la percezione della realtà della vita a determinare il prevalere dell’una o dell’altra: nelle fonti, in particolare in quelle letterarie, la senectus assume un valore allegorico che, oltre a variare secondo la prospettiva e il contesto di riferimento, è condizionato da “moventi ideologici” che hanno una loro storia. Nella società romana della Repubblica, la tradizione costituisce un motivo dominante. Dal punto di vista politico, nel sistema comiziale il voto dei seniores prevale su quello dei iuniores e nel senato, presente sin dai primordi della comunità cittadina, gli anziani garantivano rispetto del mos maiorum e continuità politica, per le doti che li distinguevano: consilium, ratio e sententiae, che se non fossero proprie dei senes, non avrebbero indotto i maiores a denominare senatus il summum consilium (Gell. 2.15.1). L’anziano, depositario della tradizione, è un venerabile saggio e il termine «senex», che lo designa, esprime, al pari dell’omologo greco «ghéron», onore e dignità. Anticamente, presso i Romani, neque generi neque pecuniae praestantior honos tribui quam aetati solitus. I giovani consideravano padri comuni i vecchi e nel giorno in cui si riuniva il senato, accompagnavano sempre qualche senatore fino alla curia, per poi riaccompagnarlo a casa. Gli anziani, d’altra parte, alimentavano gli entusiasmi dei giovani, insegnando loro ad affrontare i futuri impegni pubblici (Val. Mass., 2.1.10), ed era consuetudine antica che a maioribus natu s’imparasse «non solo con le orecchie ma anche con gli occhi» quello che si sarebbe dovuto mettere in pratica nella vita (Plin., Ep. 8.14.4). Durante i conviti, i giovani con cura evitavano di prendere posto e di congedarsi prima dei vecchi; questi, invece, cantavano le imprese dei loro antenati perché la gioventù fosse desiderosa di imitarle: quid hoc splendidius, quid etiam utilius certamine?( Val. Mass. 2.1.10). D’altra parte, nella famiglia l’anziano s’identificava, anche se non in modo assoluto, con la figura del pater, molto più di un legame naturale fra passato e il presente; la sua autorità era senza limiti e, andando avanti negli anni, il suo potere cresceva e i suoi beni aumentavano con l’allargamento della famiglia stessa. La senectus era, in definitiva, secondo gli antichi costumi, venerabile. Il prestigio sociale che vi si riconnetteva faceva apparire gli anziani autorevoli, nella vita privata come in quella pubblica, lasciando in secondo piano la debolezza propria della loro età. Questi motivi caratterizzano senz’altro «la tradizione spirituale della società romana», ma appaiono particolarmente accentuati se si guarda alla senectus da una certa prospettiva. Quella che può riassumersi nello «stoicismo urbanizzato» di Cicerone e ricondursi alle istanze dell’antica aristocrazia durante la crisi della Repubblica, cui risponde l’immagine del saggio «stilizzata nelle forme dell’austerità senatoria». Un’immagine sublimata nella figura del Censore, in cui si compone, nell’apologia dell’Arpinate, «il dissidio fra impegno politico e ozio letterato, fra ambizione al dominio e esigenza del ritiro, desiderio di gloria e aspirazione alla quiete contemplativa». Se si sceglie un osservatorio diverso, la senectus può, invece, essere letta, in termini problematici, come metafora del “vecchio” che si oppone al “nuovo”, già all’interno dell’ordinamento sociale arcaico, nel conflitto sociale, durato più di due secoli, tra i patres e la plebs. Anche in seguito al c.d. pareggiamento patrizio-plebeo, per il quale decisive furono le Leges Liciniae Sextiae e la Lex Hortensia del IV e III secolo a. C., l’aristocrazia senatoria continuò a mantenersi orgogliosamente separata dagli altri ordini, non solo per prestigio e ricchezza, ma soprattutto per identità collettiva e conservatorismo. Ma le profonde trasformazioni dello scenario economico, prodottesi a partire dalla seconda guerra punica, avrebbero determinato ancora un conflitto tra “vecchio” e “nuovo”: l’ordo senatorius si opponeva ora ai nuovi ricchi, i cavalieri, banchieri, imprenditori, commercianti. Dopo la guerra annibalica, l’accesso al consolato divenne privilegio quasi esclusivo dell’alta aristocrazia che difese «ostinatamente per più generazioni la propria posizione dirigenziale», escludendo dal consolato i senatori ordinari. Consolatum nobilitas inter se per manus tradebat, mentre quasi pollitus, indegno ed “impuro”, era considerato anche il migliore degli homines novi, scriverà con amarezza, più tardi Sallustio. Il conflitto si fece insanabile. Nel mutato sistema di gruppi contrapposti ed eterogenei, l’antico ordinamento politico senatorio divenne sempre più anacronistico. Avviatosi alla crisi, non vi fu apologia della tradizione e dei valori del passato che tenne. A partire dall’età del Principato, nella storia politico-sociale romana il valore della vecchiaia nell’ordinamento civile e militare si attenua. L’attività comiziale viene progressivamente meno e con essa anche la rilevanza del voto dei seniores nell’organizzazione centuriata. Il ruolo istituzionale della prestigiosa assemblea senatoria subisce un ridimensionamento e, in seno alla famiglia, con lo sviluppo del regime dei peculi, va affermandosi l’autonomia patrimoniale dei filii familias e, per contro, affievolendosi il potere del pater su questi ultimi. È plausibile che a tale mutato sfondo politico-culturale possa ricondursi una maggiore attenzione, sul piano giuridico, per lo stato di debolezza dell’anziano. Ma questa è un’altra storia e sarebbe, in questa sede, fuori luogo occuparsene. Un concetto complesso come la vecchiaia è infatti suscettibile di essere indagato sotto svariati profili, tutti meritevoli di un’attenzione particolareggiata. Nelle considerazioni che precedono si è tentato di definire l’ambivalenza della senectus come metafora di valori culturali e sociali, con riguardo all’età repubblicana. Allo stesso limite temporale, sarà ristretta l’indagine sulla vecchiaia come età della vita; un’indagine che ugualmente non può che condurre ad esiti parziali e non generalizzabili. Anche sotto questo profilo, infatti, le fonti offrono un concetto di vecchiaia alquanto ambiguo, riconducibile, piuttosto che al piano esistenziale, al ruolo politico-istituzionale del cittadino.

“Senectus" tra cultura e politica nell’età repubblicana”

DE FRANCESCO, Anna
2007-01-01

Abstract

Che cosa è la vita di un uomo se non si lega a quella di coloro che lo hanno preceduto attraverso la memoria dell’antico? (Cic., Or. 34.120). Cicerone, testimone esemplare dell’ideologia aristocratica che privilegia il passato rispetto al presente, alla «età declinante che spolvera i capelli di bianco e solca la fronte di rughe» (Pont. 1.4.1-2) dedicò, negli anni cruciali per la vita della Res publica, l’unico trattato della letteratura latina sul tema. Nel Cato maior de senectute, attraverso l’idealizzazione dell’ottantaquattrenne Catone, che in ipsa senectute praeter ceteros floruisset ( Cic., Lael. 4), Cicerone della vecchiaia celebra sapienza e autorevolezza, operosità e attitudine alla contemplazione. Nell’apologia ciceroniana della senectus, il dialogo immaginario tra Catone il Vecchio da una parte e Scipione, figlio di Paolo Emilio e Lelio dall’altra, riassume, più in generale, la variegata condizione dell’anziano. La senectus «a rebus gerendis abstrahit», sostengono i due giovani interlocutori di Catone, il quale replica esaltando, quali aspetti peculiari della vecchiaia, saggezza e sapienza. All’indebolimento delle forze fisiche si contrappone la gravitas; la voluptas corporis lascia il posto ai piaceri spirituali e se il giovane vult diu vivere, il “vecchio” diu vixit. D’altra parte, non si può tacere che senectus ipsa est morbus (Ter., Phorm. 575) la vecchiaia è di per sé una malattia. La gnome terenziana, destinata ad avere fortuna nella tradizione proverbiale, offre un’altra delle prospettive possibili da cui osservare la condizione esistenziale della vecchiaia: quella, negativa, che ne considera l’aspetto della decadenza fisica e, più in generale, i difetti, tante volte rappresentati attraverso la tipizzazione di personaggi anziani nella palliata. Queste visioni della vecchiaia, qui proposte a titolo esemplificativo, riflettono, insieme, la condizione dell’anziano come l’esperienza insegna e non perderanno, col tempo, il loro valore topico. Non è, però, solo la percezione della realtà della vita a determinare il prevalere dell’una o dell’altra: nelle fonti, in particolare in quelle letterarie, la senectus assume un valore allegorico che, oltre a variare secondo la prospettiva e il contesto di riferimento, è condizionato da “moventi ideologici” che hanno una loro storia. Nella società romana della Repubblica, la tradizione costituisce un motivo dominante. Dal punto di vista politico, nel sistema comiziale il voto dei seniores prevale su quello dei iuniores e nel senato, presente sin dai primordi della comunità cittadina, gli anziani garantivano rispetto del mos maiorum e continuità politica, per le doti che li distinguevano: consilium, ratio e sententiae, che se non fossero proprie dei senes, non avrebbero indotto i maiores a denominare senatus il summum consilium (Gell. 2.15.1). L’anziano, depositario della tradizione, è un venerabile saggio e il termine «senex», che lo designa, esprime, al pari dell’omologo greco «ghéron», onore e dignità. Anticamente, presso i Romani, neque generi neque pecuniae praestantior honos tribui quam aetati solitus. I giovani consideravano padri comuni i vecchi e nel giorno in cui si riuniva il senato, accompagnavano sempre qualche senatore fino alla curia, per poi riaccompagnarlo a casa. Gli anziani, d’altra parte, alimentavano gli entusiasmi dei giovani, insegnando loro ad affrontare i futuri impegni pubblici (Val. Mass., 2.1.10), ed era consuetudine antica che a maioribus natu s’imparasse «non solo con le orecchie ma anche con gli occhi» quello che si sarebbe dovuto mettere in pratica nella vita (Plin., Ep. 8.14.4). Durante i conviti, i giovani con cura evitavano di prendere posto e di congedarsi prima dei vecchi; questi, invece, cantavano le imprese dei loro antenati perché la gioventù fosse desiderosa di imitarle: quid hoc splendidius, quid etiam utilius certamine?( Val. Mass. 2.1.10). D’altra parte, nella famiglia l’anziano s’identificava, anche se non in modo assoluto, con la figura del pater, molto più di un legame naturale fra passato e il presente; la sua autorità era senza limiti e, andando avanti negli anni, il suo potere cresceva e i suoi beni aumentavano con l’allargamento della famiglia stessa. La senectus era, in definitiva, secondo gli antichi costumi, venerabile. Il prestigio sociale che vi si riconnetteva faceva apparire gli anziani autorevoli, nella vita privata come in quella pubblica, lasciando in secondo piano la debolezza propria della loro età. Questi motivi caratterizzano senz’altro «la tradizione spirituale della società romana», ma appaiono particolarmente accentuati se si guarda alla senectus da una certa prospettiva. Quella che può riassumersi nello «stoicismo urbanizzato» di Cicerone e ricondursi alle istanze dell’antica aristocrazia durante la crisi della Repubblica, cui risponde l’immagine del saggio «stilizzata nelle forme dell’austerità senatoria». Un’immagine sublimata nella figura del Censore, in cui si compone, nell’apologia dell’Arpinate, «il dissidio fra impegno politico e ozio letterato, fra ambizione al dominio e esigenza del ritiro, desiderio di gloria e aspirazione alla quiete contemplativa». Se si sceglie un osservatorio diverso, la senectus può, invece, essere letta, in termini problematici, come metafora del “vecchio” che si oppone al “nuovo”, già all’interno dell’ordinamento sociale arcaico, nel conflitto sociale, durato più di due secoli, tra i patres e la plebs. Anche in seguito al c.d. pareggiamento patrizio-plebeo, per il quale decisive furono le Leges Liciniae Sextiae e la Lex Hortensia del IV e III secolo a. C., l’aristocrazia senatoria continuò a mantenersi orgogliosamente separata dagli altri ordini, non solo per prestigio e ricchezza, ma soprattutto per identità collettiva e conservatorismo. Ma le profonde trasformazioni dello scenario economico, prodottesi a partire dalla seconda guerra punica, avrebbero determinato ancora un conflitto tra “vecchio” e “nuovo”: l’ordo senatorius si opponeva ora ai nuovi ricchi, i cavalieri, banchieri, imprenditori, commercianti. Dopo la guerra annibalica, l’accesso al consolato divenne privilegio quasi esclusivo dell’alta aristocrazia che difese «ostinatamente per più generazioni la propria posizione dirigenziale», escludendo dal consolato i senatori ordinari. Consolatum nobilitas inter se per manus tradebat, mentre quasi pollitus, indegno ed “impuro”, era considerato anche il migliore degli homines novi, scriverà con amarezza, più tardi Sallustio. Il conflitto si fece insanabile. Nel mutato sistema di gruppi contrapposti ed eterogenei, l’antico ordinamento politico senatorio divenne sempre più anacronistico. Avviatosi alla crisi, non vi fu apologia della tradizione e dei valori del passato che tenne. A partire dall’età del Principato, nella storia politico-sociale romana il valore della vecchiaia nell’ordinamento civile e militare si attenua. L’attività comiziale viene progressivamente meno e con essa anche la rilevanza del voto dei seniores nell’organizzazione centuriata. Il ruolo istituzionale della prestigiosa assemblea senatoria subisce un ridimensionamento e, in seno alla famiglia, con lo sviluppo del regime dei peculi, va affermandosi l’autonomia patrimoniale dei filii familias e, per contro, affievolendosi il potere del pater su questi ultimi. È plausibile che a tale mutato sfondo politico-culturale possa ricondursi una maggiore attenzione, sul piano giuridico, per lo stato di debolezza dell’anziano. Ma questa è un’altra storia e sarebbe, in questa sede, fuori luogo occuparsene. Un concetto complesso come la vecchiaia è infatti suscettibile di essere indagato sotto svariati profili, tutti meritevoli di un’attenzione particolareggiata. Nelle considerazioni che precedono si è tentato di definire l’ambivalenza della senectus come metafora di valori culturali e sociali, con riguardo all’età repubblicana. Allo stesso limite temporale, sarà ristretta l’indagine sulla vecchiaia come età della vita; un’indagine che ugualmente non può che condurre ad esiti parziali e non generalizzabili. Anche sotto questo profilo, infatti, le fonti offrono un concetto di vecchiaia alquanto ambiguo, riconducibile, piuttosto che al piano esistenziale, al ruolo politico-istituzionale del cittadino.
2007
978-88-95152-38-7
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