Le scoperte di nuove fonti documentali e, in particolar modo, papirologiche, tra la seconda metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, permise alla romanistica del tempo di allargare lo sguardo al di là delle fonti di tradizione manoscritta. In questo clima culturale, e in seguito alla decadenza della Pandettistica, sancita in modo definitivo dall’entrata in vigore del BGB il 1° gennaio del 1900, lo studio e l’uso delle nuove fonti documentali permise a nuove correnti metodologiche di affermarsi e di ampliare, per tal via, lo spettro delle ricerche romanistiche ad àmbiti sino ad allora poco considerati. Nel realizzare questo lavoro, si è ritenuto opportuno partire dall’osservazione secondo cui i papiri (così come le epigrafi), nell’epoca in esame, hanno rappresentato un capitale nel senso bourdieuano del termine: ‘capitale economico’, per la ragione che non è facile procurarsi tali ‘documenti’; ‘capitale culturale’, in quanto oggetto di studio da parte degli studiosi e dei cultori più accorti; ‘capitale simbolico’, infine, nella competizione per il prestigio delle Università e dei loro docenti. A prescindere, infine, dalla questione di come (e, soprattutto, con quali risultati) vengano oggi lette queste fonti – questione che, tuttavia, esula dalle finalità che si è prefisso questo volume – si è desiderato mettere in luce quanto il loro uso e studio tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento costituisca, per contro, una base imprescindibile per comprendere in maniera più chiara le dinamiche della scienza romanistica dell’epoca.

Lo studio dei papiri nei rivolgimenti metodologici della Romanistica tra il 1860 e il 1960

Filippo Bonin
2024-01-01

Abstract

Le scoperte di nuove fonti documentali e, in particolar modo, papirologiche, tra la seconda metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, permise alla romanistica del tempo di allargare lo sguardo al di là delle fonti di tradizione manoscritta. In questo clima culturale, e in seguito alla decadenza della Pandettistica, sancita in modo definitivo dall’entrata in vigore del BGB il 1° gennaio del 1900, lo studio e l’uso delle nuove fonti documentali permise a nuove correnti metodologiche di affermarsi e di ampliare, per tal via, lo spettro delle ricerche romanistiche ad àmbiti sino ad allora poco considerati. Nel realizzare questo lavoro, si è ritenuto opportuno partire dall’osservazione secondo cui i papiri (così come le epigrafi), nell’epoca in esame, hanno rappresentato un capitale nel senso bourdieuano del termine: ‘capitale economico’, per la ragione che non è facile procurarsi tali ‘documenti’; ‘capitale culturale’, in quanto oggetto di studio da parte degli studiosi e dei cultori più accorti; ‘capitale simbolico’, infine, nella competizione per il prestigio delle Università e dei loro docenti. A prescindere, infine, dalla questione di come (e, soprattutto, con quali risultati) vengano oggi lette queste fonti – questione che, tuttavia, esula dalle finalità che si è prefisso questo volume – si è desiderato mettere in luce quanto il loro uso e studio tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento costituisca, per contro, una base imprescindibile per comprendere in maniera più chiara le dinamiche della scienza romanistica dell’epoca.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/519856
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