Le forme di detenzione della libertà personale del migrante, denominate “amministrative” al sol scopo di eludere l’applicazione dei principi convenzionali e costituzionali della materia penale, non solo costituiscono esempio lampante di “frode delle etichette”, ma anche un’inaccettabile bagattellizzazione della libertà personale. In tale ambito il dibattito giuspenalista oscilla tra il tema della “materia penale” e la questione dell’attivazione delle garanzie in materia di privazione della libertà. Nomen omen: la natura “preventiva” delle misure di trattenimento non consente di escludere la loro attinenza alla materia penale, proprio per la funzione cautelare strumentale alla successiva espulsione dello straniero, presentando tutti i caratteri di una vera e propria misura privativa della libertà personale. Pur esplicitamente previsto dall’art. 5 della C.E.D.U. l’istituto della detenzione senza reato per prevenire l’entrata non autorizzata di stranieri o per espellerli dal territorio, la giurisprudenza della Corte europea ha stabilito che le autorità procedenti devono agire nel rispetto del principio di legalità, imponendo misure detentive che non siano arbitrarie e ha codificato una serie di criteri fattuali in presenza dei quali parlare di privazione (e non mera restrizione) della libertà. Ripetutamente la Corte E.D.U. ha condannato i centri per gli stranieri italiani, variamente denominati, per violazioni del diritto alla libertà personale, essendo i trattenimenti ivi previsti misure restrittive sprovviste di garanzie legali. Il trattenimento del migrante in strutture realizzate in aree concesse a titolo gratuito, previsto nel Protocollo d’intesa siglato tra Italia e Albania lo scorso 6 novembre 2023, al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio della normativa italiana ed europea e per il tempo strettamente necessario alle stesse, presenta numerose ambiguità sotto il profilo delle garanzie, a proposito della assenza di un adeguato vaglio giudiziario, delle condizioni di detenzione, dell’accesso all’assistenza legale e dell’efficacia dei mezzi di ricorso. Ai migranti condotti nel centro sarebbe impedito di uscire, subendo di fatto un regime di detenzione automatica e prolungata, senza una chiara base legale. I casi e i modi dei provvedimenti privativi della libertà personale sono coperti da riserva assoluta di legge e giurisdizione: tra i punti di criticità della normativa spicca proprio quello relativo al diritto di libertà personale, poiché ogni forma di detenzione nei Centri in Albania, per essere conforme all’art. 13 Cost. (oltre che all’art. 5 C.E.D.U., che vincola sia lo stato italiano che quello albanese), deve essere prevista in apposita norma legislativa che indichi in modo tassativo l’autorità di pubblica sicurezza italiana che può adottare questi provvedimenti, quali sono i casi eccezionali di necessità e urgenza che li giustificano, gli obblighi di comunicazione all'autorità giudiziaria italiana e la procedura di convalida entro le successive 48 ore.

I luoghi di privazione della libertà personale del migrante nel dibattito sulla materia penale. Il caso del trattenimento italo-albanese.

Pisconti F.
2024-01-01

Abstract

Le forme di detenzione della libertà personale del migrante, denominate “amministrative” al sol scopo di eludere l’applicazione dei principi convenzionali e costituzionali della materia penale, non solo costituiscono esempio lampante di “frode delle etichette”, ma anche un’inaccettabile bagattellizzazione della libertà personale. In tale ambito il dibattito giuspenalista oscilla tra il tema della “materia penale” e la questione dell’attivazione delle garanzie in materia di privazione della libertà. Nomen omen: la natura “preventiva” delle misure di trattenimento non consente di escludere la loro attinenza alla materia penale, proprio per la funzione cautelare strumentale alla successiva espulsione dello straniero, presentando tutti i caratteri di una vera e propria misura privativa della libertà personale. Pur esplicitamente previsto dall’art. 5 della C.E.D.U. l’istituto della detenzione senza reato per prevenire l’entrata non autorizzata di stranieri o per espellerli dal territorio, la giurisprudenza della Corte europea ha stabilito che le autorità procedenti devono agire nel rispetto del principio di legalità, imponendo misure detentive che non siano arbitrarie e ha codificato una serie di criteri fattuali in presenza dei quali parlare di privazione (e non mera restrizione) della libertà. Ripetutamente la Corte E.D.U. ha condannato i centri per gli stranieri italiani, variamente denominati, per violazioni del diritto alla libertà personale, essendo i trattenimenti ivi previsti misure restrittive sprovviste di garanzie legali. Il trattenimento del migrante in strutture realizzate in aree concesse a titolo gratuito, previsto nel Protocollo d’intesa siglato tra Italia e Albania lo scorso 6 novembre 2023, al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio della normativa italiana ed europea e per il tempo strettamente necessario alle stesse, presenta numerose ambiguità sotto il profilo delle garanzie, a proposito della assenza di un adeguato vaglio giudiziario, delle condizioni di detenzione, dell’accesso all’assistenza legale e dell’efficacia dei mezzi di ricorso. Ai migranti condotti nel centro sarebbe impedito di uscire, subendo di fatto un regime di detenzione automatica e prolungata, senza una chiara base legale. I casi e i modi dei provvedimenti privativi della libertà personale sono coperti da riserva assoluta di legge e giurisdizione: tra i punti di criticità della normativa spicca proprio quello relativo al diritto di libertà personale, poiché ogni forma di detenzione nei Centri in Albania, per essere conforme all’art. 13 Cost. (oltre che all’art. 5 C.E.D.U., che vincola sia lo stato italiano che quello albanese), deve essere prevista in apposita norma legislativa che indichi in modo tassativo l’autorità di pubblica sicurezza italiana che può adottare questi provvedimenti, quali sono i casi eccezionali di necessità e urgenza che li giustificano, gli obblighi di comunicazione all'autorità giudiziaria italiana e la procedura di convalida entro le successive 48 ore.
2024
978-88-31205-52-8
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/519766
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