Scopo del contributo è proporre un’analisi dell’atteggiamento tenuto e del ruolo svolto dall’Italia in merito al progetto sovietico di indire una conferenza sui problemi della sicurezza e della cooperazione in Europa. Il progetto sovietico, risalente al 1954, trovò sempre maggiore attenzione all’interno del governo e della diplomazia italiana a partire dagli anni Sessanta, grazie all’azione politica e alle personalità di Amintore Fanfani, Aldo Moro e Pietro Nenni. L’apertura a sinistra, sancita, negli anni Sessanta, dai governi di centro-sinistra organico, e proseguita tra la fine di quel decennio e gli anni Settanta con la «strategia dell’attenzione» nei confronti dei comunisti – perseguita soprattutto da Moro – rese i governi italiani dell’epoca più ricettivi alle istanze che venivano dai paesi del blocco sovietico. Nel processo CSCE si intrecciavano, infatti, diverse direttrici della politica estera italiana: dalla questione politica dei rapporti Est-Ovest alla dimensione della sicurezza, del disarmo e dei diritti umani. L’Italia ebbe la possibilità di svolgere un’azione significativa alla CSCE, sia sulle questioni della libera circolazione delle persone, delle idee e delle informazioni (parte del cosiddetto «terzo cesto»), sia sulla concezione della questione dell’inviolabilità delle frontiere, che non doveva essere interpretato in senso statico, ma intesa a consolidare il carattere dinamico dei rapporti Est-Ovest.
L'Italia e la genesi dell'Atto finale di Helsinki
Federico Imperato
2024-01-01
Abstract
Scopo del contributo è proporre un’analisi dell’atteggiamento tenuto e del ruolo svolto dall’Italia in merito al progetto sovietico di indire una conferenza sui problemi della sicurezza e della cooperazione in Europa. Il progetto sovietico, risalente al 1954, trovò sempre maggiore attenzione all’interno del governo e della diplomazia italiana a partire dagli anni Sessanta, grazie all’azione politica e alle personalità di Amintore Fanfani, Aldo Moro e Pietro Nenni. L’apertura a sinistra, sancita, negli anni Sessanta, dai governi di centro-sinistra organico, e proseguita tra la fine di quel decennio e gli anni Settanta con la «strategia dell’attenzione» nei confronti dei comunisti – perseguita soprattutto da Moro – rese i governi italiani dell’epoca più ricettivi alle istanze che venivano dai paesi del blocco sovietico. Nel processo CSCE si intrecciavano, infatti, diverse direttrici della politica estera italiana: dalla questione politica dei rapporti Est-Ovest alla dimensione della sicurezza, del disarmo e dei diritti umani. L’Italia ebbe la possibilità di svolgere un’azione significativa alla CSCE, sia sulle questioni della libera circolazione delle persone, delle idee e delle informazioni (parte del cosiddetto «terzo cesto»), sia sulla concezione della questione dell’inviolabilità delle frontiere, che non doveva essere interpretato in senso statico, ma intesa a consolidare il carattere dinamico dei rapporti Est-Ovest.File | Dimensione | Formato | |
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