Una sentenza della Corte di giustizia europea in materia di dimensioni delle imprese, come definite in base ai criteri di calcolo del numero di lavoratori impiegati, offre una ulteriore occasione di riflessione sul delicato equilibrio tra interventi in materia di occupazione e tradizionali tutele del lavoro dipendente, in particolare quelle affidate ai diritti di informazione e consultazione dei lavoratori e/o delle loro rappresentanze, specie a fronte di crisi e trasformazioni aziendali. La riflessione tende a dipanarsi lungo la zona fumosa entro la quale si esercita l’autonomia e la libertà degli Stati membri nella definizione degli obiettivi di politica sociale e la scelta degli strumenti mirati alla loro attuazione. Ne emerge un interrogativo tanto tradizionale quanto di perdurante attualità: sino a che punto si può ritenere legittimo – o solo opportuno – perseguire un obiettivo di politica nazionale che quasi inevitabilmente finisce per collocare in una situazione di svantaggio soggetti che, a loro volta, possono trovarsi in una situazione di svantaggio rispetto ad altri soggetti? Proprio questo interrogativo induce a spostare l’attenzione sul versante del diritto antidiscriminatorio e alla importanza crescente che esso assume nel quadro giuridico della Unione europea.

Dimensioni delle imprese e diritti di partecipazione: note a margine di un provvedimento in materia di occupazione giovanile

VIMERCATI, Aurora Adriana
2008-01-01

Abstract

Una sentenza della Corte di giustizia europea in materia di dimensioni delle imprese, come definite in base ai criteri di calcolo del numero di lavoratori impiegati, offre una ulteriore occasione di riflessione sul delicato equilibrio tra interventi in materia di occupazione e tradizionali tutele del lavoro dipendente, in particolare quelle affidate ai diritti di informazione e consultazione dei lavoratori e/o delle loro rappresentanze, specie a fronte di crisi e trasformazioni aziendali. La riflessione tende a dipanarsi lungo la zona fumosa entro la quale si esercita l’autonomia e la libertà degli Stati membri nella definizione degli obiettivi di politica sociale e la scelta degli strumenti mirati alla loro attuazione. Ne emerge un interrogativo tanto tradizionale quanto di perdurante attualità: sino a che punto si può ritenere legittimo – o solo opportuno – perseguire un obiettivo di politica nazionale che quasi inevitabilmente finisce per collocare in una situazione di svantaggio soggetti che, a loro volta, possono trovarsi in una situazione di svantaggio rispetto ad altri soggetti? Proprio questo interrogativo induce a spostare l’attenzione sul versante del diritto antidiscriminatorio e alla importanza crescente che esso assume nel quadro giuridico della Unione europea.
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