La guerra chiama alle armi uomini, alimenta parole d’odio e divide gli uomini. In questi ultimi tempi gli interessi economici e geopolitici, i timori originati dalla guerra impongono un’analisi della prevedibilità e dei limiti di un “diritto della guerra”, edificato attraverso patti e trattati, come regola dei limiti alla disumanità. Le vie della pace sono complesse e occorre mantenere l’equilibrio tra razionalità politica e giuridica ed immaginare il futuro. Sicché il metodo consiste nell’ utilizzo di un diritto e di una procedura che non sappia dimenticare l’insegnamento di Luigi Ferrajoli, che discute di pacifismo e di costituzionalismo globale, verso la tutela di fondamentali diritti di libertà e verso la salvaguardia di un giudiziario realmente indipendente dal potere politico e di una informazione libera da condizionamenti. Questa ennesima guerra in Ucraina solleva un’altra questione: se, accanto al diritto di resistenza dell’aggredito, sia esso una persona o un popolo, il catalogo dei diritti fondamentali dell’individuo forse deve prevedere anche il diritto di renitenza nei confronti di una guerra di aggressione. Un diritto quasi mai menzionato, eppure, il diritto di renitenza era già un “diritto naturale” di ogni uomo negli studi di Thomas Hobbes ove si affermava che, “se l’uomo consegna una parte cospicua della sua libertà personale e politica al Leviatano per aver salva e sicura la vita, allora – fermo il dovere di concorrere alla difesa della patria aggredita – egli può rifiutarsi di essere scagliato dal sovrano in una guerra di aggressione nella quale la sua stessa vita – oggetto dell’originario patto con lo Stato – è messa a repentaglio” …..«la difesa dello Stato richiede subito l’aiuto di tutti coloro che sono in grado di portare le armi, ognuno è obbligato, perché altrimenti l’istituzione dello Stato, se non si ha il proposito o il coraggio di conservarla, è stata vana»; ma «un uomo al quale venga comandato di combattere come soldato contro il nemico, sebbene al suo sovrano non manchi il diritto di punire il suo rifiuto (…), può nondimeno, in molti casi, rifiutarsi senza ingiustizia»

Autorità e Libertà , Il diritto naturale, i crimini contro l'Umanità e la Giurisdizione penale internazionale e permanente

Francesca Jole Garofoli
2024-01-01

Abstract

La guerra chiama alle armi uomini, alimenta parole d’odio e divide gli uomini. In questi ultimi tempi gli interessi economici e geopolitici, i timori originati dalla guerra impongono un’analisi della prevedibilità e dei limiti di un “diritto della guerra”, edificato attraverso patti e trattati, come regola dei limiti alla disumanità. Le vie della pace sono complesse e occorre mantenere l’equilibrio tra razionalità politica e giuridica ed immaginare il futuro. Sicché il metodo consiste nell’ utilizzo di un diritto e di una procedura che non sappia dimenticare l’insegnamento di Luigi Ferrajoli, che discute di pacifismo e di costituzionalismo globale, verso la tutela di fondamentali diritti di libertà e verso la salvaguardia di un giudiziario realmente indipendente dal potere politico e di una informazione libera da condizionamenti. Questa ennesima guerra in Ucraina solleva un’altra questione: se, accanto al diritto di resistenza dell’aggredito, sia esso una persona o un popolo, il catalogo dei diritti fondamentali dell’individuo forse deve prevedere anche il diritto di renitenza nei confronti di una guerra di aggressione. Un diritto quasi mai menzionato, eppure, il diritto di renitenza era già un “diritto naturale” di ogni uomo negli studi di Thomas Hobbes ove si affermava che, “se l’uomo consegna una parte cospicua della sua libertà personale e politica al Leviatano per aver salva e sicura la vita, allora – fermo il dovere di concorrere alla difesa della patria aggredita – egli può rifiutarsi di essere scagliato dal sovrano in una guerra di aggressione nella quale la sua stessa vita – oggetto dell’originario patto con lo Stato – è messa a repentaglio” …..«la difesa dello Stato richiede subito l’aiuto di tutti coloro che sono in grado di portare le armi, ognuno è obbligato, perché altrimenti l’istituzione dello Stato, se non si ha il proposito o il coraggio di conservarla, è stata vana»; ma «un uomo al quale venga comandato di combattere come soldato contro il nemico, sebbene al suo sovrano non manchi il diritto di punire il suo rifiuto (…), può nondimeno, in molti casi, rifiutarsi senza ingiustizia»
2024
979-12-5470-765-4
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/506100
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