Laddove le teorie liberali contemporanee si preoccupano, per usare la nota espressione di Rawls, di elaborare principi di giustizia che regolino la ‘struttura fondamentale’ della società, le teorie perfezioniste (liberali e non) e quelle del diritto naturale hanno a cuore la continuità del rapporto tra etica e politica. Esse ritengono che la vita buona dei cittadini non debba rimanere una questione puramente privata ma debba coinvolgere la sfera pubblica, sia perché lo stato ha gli strumenti legislativi, amministrativi, coercitivi, etc., per influenzare profondamente il ben vivere dei suoi cittadini sia perché è dalla moralità della condotta di ogni cittadino che dipende la valutazione complessiva del tenore di vita (morale e non) di una società. Allora, il bene comune della società non dipende soltanto dal rispetto delle regole in condizioni di pace (come ritengono tutti i seguaci di Hobbes) ma anche dalla capacità dello stato di promuovere la moralità nei suoi cittadini. E’ il problema dello enforcement of morals o coercibilità della morale che intendiamo discutere in questa sede, focalizzando in particolare l’attenzione su una parte del nostro codice penale in cui è fondato il sospetto che i limiti posti alle norme penali dal principio della libertà individuale siano stati scavalcati dalla nostra legislazione. In un periodo nel quale le società occidentali sembrano dominate dal principio relativista secondo il quale ‘la morale non può essere oggetto di legislazione’, l’alleanza tra liberalismo perfezionista e teoria del diritto naturale fondata sull’etica delle virtù può essere fertile di interessanti conseguenze. Ne deriva, innanzitutto, una concezione della vita buona quale esercizio di virtù che riguardano le capacità umane fondamentali. Tale concezione si pone ad un punto di intersezione tra teorie liberali, secondo le quali il diritto pubblico non deve mai mettere a rischio la libertà individuale, e teorie del diritto naturale che, invece, promuovono il bene comune, a volte anche a discapito della libertà individuale. Il nostro tentativo sarà quello di muoverci tra questi due poli opposti del rapporto tra morale e diritto, cercando di dimostrare che la libertà individuale può fiorire anche in uno stato che, in qualche misura, emana leggi di contenuto morale. Muovendoci entro un approccio che è ad un tempo filosofico-giuridico e filosofico-morale, intendiamo innanzitutto focalizzare l’analisi sul Titolo IX del codice penale ‘I delitti contro la moralità pubblica e il buon costume’. L’interpretazione della ratio di queste norme ci porterà verso la dottrina del c.d. paternalismo morale la cui legittimità liberale merita discussione alla luce, da un lato, del ‘principio del danno’ che, da J.S.Mill in avanti svolge una funzione chiave in quest’area del diritto e delle tesi di Dworkin sulla ‘integrità’ del diritto in una comunità politica e, dall’altro, alla luce delle tesi di Lord Devlin sulla ‘integrità sociale’ quale ratio che giustifica un grado avanzato di coercibilità della morale. In questo caso sono tesi comunitariste forti che si sostengono per imporre la priorità della morale rispetto al diritto e, in particolare, di una moralità in cui l’aspetto sociale è prevalente rispetto a quello della libertà individuale.

I LIMITI MORALI DEL DIRITTO PENALE, IL CASO DI ATTI OSCENI E PORNOGRAFIA

MANGINI, Michele
2009-01-01

Abstract

Laddove le teorie liberali contemporanee si preoccupano, per usare la nota espressione di Rawls, di elaborare principi di giustizia che regolino la ‘struttura fondamentale’ della società, le teorie perfezioniste (liberali e non) e quelle del diritto naturale hanno a cuore la continuità del rapporto tra etica e politica. Esse ritengono che la vita buona dei cittadini non debba rimanere una questione puramente privata ma debba coinvolgere la sfera pubblica, sia perché lo stato ha gli strumenti legislativi, amministrativi, coercitivi, etc., per influenzare profondamente il ben vivere dei suoi cittadini sia perché è dalla moralità della condotta di ogni cittadino che dipende la valutazione complessiva del tenore di vita (morale e non) di una società. Allora, il bene comune della società non dipende soltanto dal rispetto delle regole in condizioni di pace (come ritengono tutti i seguaci di Hobbes) ma anche dalla capacità dello stato di promuovere la moralità nei suoi cittadini. E’ il problema dello enforcement of morals o coercibilità della morale che intendiamo discutere in questa sede, focalizzando in particolare l’attenzione su una parte del nostro codice penale in cui è fondato il sospetto che i limiti posti alle norme penali dal principio della libertà individuale siano stati scavalcati dalla nostra legislazione. In un periodo nel quale le società occidentali sembrano dominate dal principio relativista secondo il quale ‘la morale non può essere oggetto di legislazione’, l’alleanza tra liberalismo perfezionista e teoria del diritto naturale fondata sull’etica delle virtù può essere fertile di interessanti conseguenze. Ne deriva, innanzitutto, una concezione della vita buona quale esercizio di virtù che riguardano le capacità umane fondamentali. Tale concezione si pone ad un punto di intersezione tra teorie liberali, secondo le quali il diritto pubblico non deve mai mettere a rischio la libertà individuale, e teorie del diritto naturale che, invece, promuovono il bene comune, a volte anche a discapito della libertà individuale. Il nostro tentativo sarà quello di muoverci tra questi due poli opposti del rapporto tra morale e diritto, cercando di dimostrare che la libertà individuale può fiorire anche in uno stato che, in qualche misura, emana leggi di contenuto morale. Muovendoci entro un approccio che è ad un tempo filosofico-giuridico e filosofico-morale, intendiamo innanzitutto focalizzare l’analisi sul Titolo IX del codice penale ‘I delitti contro la moralità pubblica e il buon costume’. L’interpretazione della ratio di queste norme ci porterà verso la dottrina del c.d. paternalismo morale la cui legittimità liberale merita discussione alla luce, da un lato, del ‘principio del danno’ che, da J.S.Mill in avanti svolge una funzione chiave in quest’area del diritto e delle tesi di Dworkin sulla ‘integrità’ del diritto in una comunità politica e, dall’altro, alla luce delle tesi di Lord Devlin sulla ‘integrità sociale’ quale ratio che giustifica un grado avanzato di coercibilità della morale. In questo caso sono tesi comunitariste forti che si sostengono per imporre la priorità della morale rispetto al diritto e, in particolare, di una moralità in cui l’aspetto sociale è prevalente rispetto a quello della libertà individuale.
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