Nella Introduzione al suo volume del 1889, La Sociologia Criminale, l’autore, Napoleone Colajanni, politico e docente di Statistica nell’Università di Palermo nell’ultimo decennio dell’Ottocento, riferendosi al pensiero di Ferri, uno dei fondatori, con Cesare Lombroso, della Scuola positiva, chiariva la differenza tra quest’ultima e la Scuola classica in questi termini: Collimano colle vedute della Sociologia le definizioni e le relative importanti discussioni sulla natura e valore del delitto somministrate dalla scuola criminale positiva. Secondo la quale il reato non è un ente giuridico ma un ente di fatto; non è una infrazione, ma un'azione, che deve essere studiata come un fenomeno naturale nelle sue condizioni fisiche, psicologiche e sociali: atto umano che viene qualificato come delitto secondo il movente che lo determina. È un delitto se il movente è anti-giuridico, illegittimo, anti-sociale; non è tale se il movente è giuridico, legittimo, sociale (Ferri). Ma il movente alla sua volta sarà giudicato lecito o criminoso secondo l'opinione dominante presso lo aggregato sociale dove l’atto è commesso (Colajanni, 1889, pp. 50-51). In effetti, se la Scuola classica basava il proprio modello sull’assunto di un uomo dotato di libero arbitrio e, come tale, responsabile delle proprie azioni e delle relative conseguenze, la Scuola positiva, allontanandosi dall’impianto teorico fondato da Cesare Beccaria, dava vita ad una nuova concezione del diritto penale focalizzandosi non più sull’atto criminoso, bensì sull’individuo criminale. Sociologia, psichiatria e statistica, insieme ad una scienza medica positivamente improntata aprivano, nella seconda metà dell’Ottocento, un nuovo terreno conoscitivo, che tentava di eludere la dicotomia individuo/Stato assumendo una posizione intermedia tra i due poli. Tale cambiamento implicava, sul piano epistemologico, l’abbandono delle astrattezze filosofiche illuministiche a favore, invece, di una spiegazione dei fenomeni sociali mediata dai paradigmi delle scienze naturali, secondo cui l’osservazione dei fatti era la sola chiave interpretativa veramente razionale. Sullo sfondo di questo rinnovamento di saperi la Scuola positiva di diritto penale, per l’analisi della delinquenza, si orientò verso un discorso di carattere bio-antropologico, influenzata in particolar modo dalla medicina, il cui ruolo fu decisivo nelle proposte di interpretazione e di gestione dei comportamenti devianti e dei metodi più efficaci per la realizzazione del controllo sociale. E, infatti, Ferri, nella Prefazione alla terza edizione del 1892 della sua Sociologia criminale , al cui titolo si era ispirato Colajanni e che veniva qualificata come una «scienza dei delitti e delle pene rinnovata dal metodo sperimentale e basata sui dati scientifici dell’antropologia e della statistica sperimentale», metteva in luce come l’obiettivo del volume era quello di fornire «una guida elementare per chi intende darsi allo studio scientifico dei delitti, dei delinquenti e dei mezzi di prevenzione e di difesa sociale contro di essi» (Ferri, 1892). Sebbene manchi a tutt’oggi uno studio approfondito sul suo operato , lo psichiatra Silvio Venturi contribuì sicuramente a tale nuova corrente penalistica che prese il nome, verso la fine dell’Ottocento, di antropologia criminale e allo spostamento della psichiatria verso il sociale, a proposito del quale sono rilevanti la sua perizia sul processo al soldato Misdea e quella su Antonino M. La prima – va ricordato – fu fatta, tra gli altri, anche da Cesare Lombroso ed stata già abbastanza analizzata (Rotondo, 2013), al contrario della perizia di Venturi, che risulta tuttora sconosciuta.
La lettura sociale della pazzia: le perizie psichiatriche di Silvio Venturi
Paolo Contini
2023-01-01
Abstract
Nella Introduzione al suo volume del 1889, La Sociologia Criminale, l’autore, Napoleone Colajanni, politico e docente di Statistica nell’Università di Palermo nell’ultimo decennio dell’Ottocento, riferendosi al pensiero di Ferri, uno dei fondatori, con Cesare Lombroso, della Scuola positiva, chiariva la differenza tra quest’ultima e la Scuola classica in questi termini: Collimano colle vedute della Sociologia le definizioni e le relative importanti discussioni sulla natura e valore del delitto somministrate dalla scuola criminale positiva. Secondo la quale il reato non è un ente giuridico ma un ente di fatto; non è una infrazione, ma un'azione, che deve essere studiata come un fenomeno naturale nelle sue condizioni fisiche, psicologiche e sociali: atto umano che viene qualificato come delitto secondo il movente che lo determina. È un delitto se il movente è anti-giuridico, illegittimo, anti-sociale; non è tale se il movente è giuridico, legittimo, sociale (Ferri). Ma il movente alla sua volta sarà giudicato lecito o criminoso secondo l'opinione dominante presso lo aggregato sociale dove l’atto è commesso (Colajanni, 1889, pp. 50-51). In effetti, se la Scuola classica basava il proprio modello sull’assunto di un uomo dotato di libero arbitrio e, come tale, responsabile delle proprie azioni e delle relative conseguenze, la Scuola positiva, allontanandosi dall’impianto teorico fondato da Cesare Beccaria, dava vita ad una nuova concezione del diritto penale focalizzandosi non più sull’atto criminoso, bensì sull’individuo criminale. Sociologia, psichiatria e statistica, insieme ad una scienza medica positivamente improntata aprivano, nella seconda metà dell’Ottocento, un nuovo terreno conoscitivo, che tentava di eludere la dicotomia individuo/Stato assumendo una posizione intermedia tra i due poli. Tale cambiamento implicava, sul piano epistemologico, l’abbandono delle astrattezze filosofiche illuministiche a favore, invece, di una spiegazione dei fenomeni sociali mediata dai paradigmi delle scienze naturali, secondo cui l’osservazione dei fatti era la sola chiave interpretativa veramente razionale. Sullo sfondo di questo rinnovamento di saperi la Scuola positiva di diritto penale, per l’analisi della delinquenza, si orientò verso un discorso di carattere bio-antropologico, influenzata in particolar modo dalla medicina, il cui ruolo fu decisivo nelle proposte di interpretazione e di gestione dei comportamenti devianti e dei metodi più efficaci per la realizzazione del controllo sociale. E, infatti, Ferri, nella Prefazione alla terza edizione del 1892 della sua Sociologia criminale , al cui titolo si era ispirato Colajanni e che veniva qualificata come una «scienza dei delitti e delle pene rinnovata dal metodo sperimentale e basata sui dati scientifici dell’antropologia e della statistica sperimentale», metteva in luce come l’obiettivo del volume era quello di fornire «una guida elementare per chi intende darsi allo studio scientifico dei delitti, dei delinquenti e dei mezzi di prevenzione e di difesa sociale contro di essi» (Ferri, 1892). Sebbene manchi a tutt’oggi uno studio approfondito sul suo operato , lo psichiatra Silvio Venturi contribuì sicuramente a tale nuova corrente penalistica che prese il nome, verso la fine dell’Ottocento, di antropologia criminale e allo spostamento della psichiatria verso il sociale, a proposito del quale sono rilevanti la sua perizia sul processo al soldato Misdea e quella su Antonino M. La prima – va ricordato – fu fatta, tra gli altri, anche da Cesare Lombroso ed stata già abbastanza analizzata (Rotondo, 2013), al contrario della perizia di Venturi, che risulta tuttora sconosciuta.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.