Il contributo analizza il percorso involutivo del giudicato penale. In particolare, se nel diritto romano preclassico, le legis actiones evidenziavano il limite preclusivo del giudicato nel “bis de eadem re ne sit actio”, viceversa, nel tempo, l’elaborazione dogmatica sarà influenzata dalle regole del diritto privato ove si affermerà la exceptio rei iudicatae, intesa quale strumento a disposizione del convenuto in giudizio, idoneo a paralizzare l’iniziativa, indebitamente reiterata dall’attore. Dunque, si dovrà attendere nel processo penale, per confermare una connotazione del giudicato, orientata alla stabilità delle decisioni giurisdizionali, una volta esauriti o non esperiti, i rimedi impugnatori. Sicché, se la sua ragion d’essere si lega ad istanze di certezza del diritto nel codice napoleonico del 1808 invece, nel codice del 1913 si evidenzierà la finalità di tutela individuale, mentre in quello del 1930, diventerà espressione dell’opposto principio della soggezione all’imperatività della legge. Su un piano diversificato, l’indagine cerca di evidenziare il falsomito dell’intangibilità delle sentenze e dei decreti penali di condanna che abbiano acquisito autorità di res iudicata, secondo le condizioni stabilite dall’art. 648 c.p.p. poiché, occorre coordinarsi con i dati normativi in base ai quali simili pronunce possono essere eccezionalmente modificate o revocate. Invero, in talune ipotesi stabilite dalla legge processuale traspare, infatti, come il nostro ordinamento non abbia accolto il principio dell’irrevocabilità assoluta poiché, un irrigidimento del sistema comporta sempre un margine di errore, nel caso di condanna emessa nei confronti di persona che si dimostri in un momento successivo innocente. Di qui, l’esigenza avvertita dal legislatore, di dare vita a opportuni rimedi che dimostrino la flessibilità del giudicato e, come tale, permeabile a interventi manipolativi o ablativi. Tuttavia, i rimedi appaiono inaccessibili nell’ordinamento interno e, di fatto, sacrificano il fondamento costituzionale del giudicato, con compromissione delle ragioni dell’innocente.

Il falso mito del giudicato penale e i rimedi inaccessibili della Revisione

Garofoli francesca Jole
2024-01-01

Abstract

Il contributo analizza il percorso involutivo del giudicato penale. In particolare, se nel diritto romano preclassico, le legis actiones evidenziavano il limite preclusivo del giudicato nel “bis de eadem re ne sit actio”, viceversa, nel tempo, l’elaborazione dogmatica sarà influenzata dalle regole del diritto privato ove si affermerà la exceptio rei iudicatae, intesa quale strumento a disposizione del convenuto in giudizio, idoneo a paralizzare l’iniziativa, indebitamente reiterata dall’attore. Dunque, si dovrà attendere nel processo penale, per confermare una connotazione del giudicato, orientata alla stabilità delle decisioni giurisdizionali, una volta esauriti o non esperiti, i rimedi impugnatori. Sicché, se la sua ragion d’essere si lega ad istanze di certezza del diritto nel codice napoleonico del 1808 invece, nel codice del 1913 si evidenzierà la finalità di tutela individuale, mentre in quello del 1930, diventerà espressione dell’opposto principio della soggezione all’imperatività della legge. Su un piano diversificato, l’indagine cerca di evidenziare il falsomito dell’intangibilità delle sentenze e dei decreti penali di condanna che abbiano acquisito autorità di res iudicata, secondo le condizioni stabilite dall’art. 648 c.p.p. poiché, occorre coordinarsi con i dati normativi in base ai quali simili pronunce possono essere eccezionalmente modificate o revocate. Invero, in talune ipotesi stabilite dalla legge processuale traspare, infatti, come il nostro ordinamento non abbia accolto il principio dell’irrevocabilità assoluta poiché, un irrigidimento del sistema comporta sempre un margine di errore, nel caso di condanna emessa nei confronti di persona che si dimostri in un momento successivo innocente. Di qui, l’esigenza avvertita dal legislatore, di dare vita a opportuni rimedi che dimostrino la flessibilità del giudicato e, come tale, permeabile a interventi manipolativi o ablativi. Tuttavia, i rimedi appaiono inaccessibili nell’ordinamento interno e, di fatto, sacrificano il fondamento costituzionale del giudicato, con compromissione delle ragioni dell’innocente.
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