Il presente contributo si propone di testare la robustezza metodologica del framework regolamentare proposto dalle Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per la misurazione del rischio di tasso di interesse del banking book oggetto di modifiche con l’aggiornamento del 27 dicembre 2010. L’analisi è effettuata applicando le due metodologie (metodologia standardizzata e simulazioni storiche) proposte dal quadro di vigilanza ad una ipotetica banca commerciale, la cui matrice per scadenze è costruita aggregando i dati di bilancio di un campione di 15 banche italiane di piccole e medie dimensioni. A tal fine, l’indicatore di rischio previsto dalla disciplina di vigilanza è calcolato modificando le ipotesi riguardanti la distribuzione dei depositi, il posizionamento delle poste di bilancio nelle varie fasce temporali della maturity ladder regolamentare e la metrica di risk quantification utilizzata (duration approssimata regolamentare vs. key rate duration). Le evidenze empiriche ottenute dimostrano che, ai fini della determinazione dell’esposizione al rischio di tasso del banking book di una banca, le conseguenze derivanti dall’adozione di diversi criteri nella distribuzione dei depositi a vista (entro 1 anno vs. entro 5 anni) hanno un impatto maggiore delle scelte che guidano la procedura di mapping delle poste di bilancio nelle fasce della matrice regolamentare (collocazione nel punto medio della fascia vs. collocazione agli estremi della fascia) o di eventuali affinamenti degli indicatori di rischio adottati. Quanto detto apre nuovi scenari di ricerca in merito alla corretta collocazione dei depositi a vista nelle fasce temporali al fine di pervenire ad una più efficace e precisa misurazione dell’esposizione al rischio della banca e del capitale interno ad esso associato. Inoltre, la nostra analisi evidenzia che, in corrispondenza di uno specifico set di ipotesi (distribuzione dei depositi, posizionamento delle poste e metrica di risk quantification), le metodologie di calcolo proposte dalle Autorità di Vigilanza conducono a risultati tra loro divergenti. Al riguardo, l’elaborazione da parte dei regulators di un framework quantitativo univoco basato su ipotesi più restrittive potrebbe non solo rendere più agevole l’individuazione delle c.d. “banche anomale” da parte degli stessi supervisors, ma anche ancorare a più solide basi la misurazione e il controllo del rischio in questione da parte delle banche.

La misurazione del rischio di tasso di interesse del portafoglio bancario in Basilea 2: quali le possibili criticità nella ricerca di nuove best practices?

GIANFRANCESCO I
2011-01-01

Abstract

Il presente contributo si propone di testare la robustezza metodologica del framework regolamentare proposto dalle Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per la misurazione del rischio di tasso di interesse del banking book oggetto di modifiche con l’aggiornamento del 27 dicembre 2010. L’analisi è effettuata applicando le due metodologie (metodologia standardizzata e simulazioni storiche) proposte dal quadro di vigilanza ad una ipotetica banca commerciale, la cui matrice per scadenze è costruita aggregando i dati di bilancio di un campione di 15 banche italiane di piccole e medie dimensioni. A tal fine, l’indicatore di rischio previsto dalla disciplina di vigilanza è calcolato modificando le ipotesi riguardanti la distribuzione dei depositi, il posizionamento delle poste di bilancio nelle varie fasce temporali della maturity ladder regolamentare e la metrica di risk quantification utilizzata (duration approssimata regolamentare vs. key rate duration). Le evidenze empiriche ottenute dimostrano che, ai fini della determinazione dell’esposizione al rischio di tasso del banking book di una banca, le conseguenze derivanti dall’adozione di diversi criteri nella distribuzione dei depositi a vista (entro 1 anno vs. entro 5 anni) hanno un impatto maggiore delle scelte che guidano la procedura di mapping delle poste di bilancio nelle fasce della matrice regolamentare (collocazione nel punto medio della fascia vs. collocazione agli estremi della fascia) o di eventuali affinamenti degli indicatori di rischio adottati. Quanto detto apre nuovi scenari di ricerca in merito alla corretta collocazione dei depositi a vista nelle fasce temporali al fine di pervenire ad una più efficace e precisa misurazione dell’esposizione al rischio della banca e del capitale interno ad esso associato. Inoltre, la nostra analisi evidenzia che, in corrispondenza di uno specifico set di ipotesi (distribuzione dei depositi, posizionamento delle poste e metrica di risk quantification), le metodologie di calcolo proposte dalle Autorità di Vigilanza conducono a risultati tra loro divergenti. Al riguardo, l’elaborazione da parte dei regulators di un framework quantitativo univoco basato su ipotesi più restrittive potrebbe non solo rendere più agevole l’individuazione delle c.d. “banche anomale” da parte degli stessi supervisors, ma anche ancorare a più solide basi la misurazione e il controllo del rischio in questione da parte delle banche.
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