Nella pratica psichiatrico-forense sarà capitato a molti esperti di imbattersi in autori di condotte-reato per i quali, al termine del proprio accertamento, si è a fatica delineato un quadro psicopatologico chiaramente definito. Tale difficoltà è ancora più pressante quando le condotte-reato sono molto efferate e suscitano incredulità, sgomento e tuttavia appaiono derivabili dalla storia dell’autore che a sua volta sembra rimandare ad una condizione psicopatologica a valenza psicotica ancorché, per così dire, priva di una connotazione nosografica identificabile. O ancora, quando la condotta-reato costituisce essa stessa esordio o equivalente psicopatologico in giovani autori di reato, sebbene ancora non del tutto chiara nel suo delinearsi nosografico. E pure, con altrettanta certezza, indicativa di una condizione psicopatologica importante. Agli Autori di questo contributo è capitato svariate volte di incontrare questa difficoltà. Per di più la sensazione è che la frequenza con cui ci si è imbattuti in infermità di mente di inquadramento diagnostico che sfugge ai canoni descrittivi o che si distinguano a malapena da quel più ampio alone di disagio che sembra pervadere i più giovani e che sia pertanto di complessa definizione secondo i criteri nosografici abituali, sia aumentata nel tempo. Per non parlare del sovrapporsi di condotte di abuso, circostanza questa che “sporca” ulteriormente la collocazione nosografica del quadro psicopatologico emerso, anche nella sua espressività nel tempo. Il sistema nosografico del DSM non è di ausilio in questi casi. Non vi è dubbio che il DSM sia di conforto in termini di affidabilità diagnostica e tuttavia può esservi il rischio di un utilizzo improprio delle diagnosi targate DSM se usate a scopi forensi, rischio sottolineato anche nella quinta edizione del manuale, sebbene in essa sia stato abbandonato il sistema categoriale in favore di un continuum dimensionale dei disturbi mentali molto più vicino alla variegata realtà clinica e forense di tutti i giorni. Del tutto recentemente, un duplice omicidio particolarmente efferato ed inquietante che ha turbato l’opinione pubblica nazionale, in cui due fra gli autori del presente contributo hanno avuto il ruolo di consulenti dell’autore del reato, ha stimolato infine gli autori ad affrontare la questione e dedicarci un approfondimento, di natura psicopatologica ma anche e soprattutto valutativa. Riflessione che si proverà a proporre in questa sede.

Della diagnosi in psichiatria forense

Giuseppe Losappio
;
Felice Carabellese
;
Fulvio Carabellese
2023-01-01

Abstract

Nella pratica psichiatrico-forense sarà capitato a molti esperti di imbattersi in autori di condotte-reato per i quali, al termine del proprio accertamento, si è a fatica delineato un quadro psicopatologico chiaramente definito. Tale difficoltà è ancora più pressante quando le condotte-reato sono molto efferate e suscitano incredulità, sgomento e tuttavia appaiono derivabili dalla storia dell’autore che a sua volta sembra rimandare ad una condizione psicopatologica a valenza psicotica ancorché, per così dire, priva di una connotazione nosografica identificabile. O ancora, quando la condotta-reato costituisce essa stessa esordio o equivalente psicopatologico in giovani autori di reato, sebbene ancora non del tutto chiara nel suo delinearsi nosografico. E pure, con altrettanta certezza, indicativa di una condizione psicopatologica importante. Agli Autori di questo contributo è capitato svariate volte di incontrare questa difficoltà. Per di più la sensazione è che la frequenza con cui ci si è imbattuti in infermità di mente di inquadramento diagnostico che sfugge ai canoni descrittivi o che si distinguano a malapena da quel più ampio alone di disagio che sembra pervadere i più giovani e che sia pertanto di complessa definizione secondo i criteri nosografici abituali, sia aumentata nel tempo. Per non parlare del sovrapporsi di condotte di abuso, circostanza questa che “sporca” ulteriormente la collocazione nosografica del quadro psicopatologico emerso, anche nella sua espressività nel tempo. Il sistema nosografico del DSM non è di ausilio in questi casi. Non vi è dubbio che il DSM sia di conforto in termini di affidabilità diagnostica e tuttavia può esservi il rischio di un utilizzo improprio delle diagnosi targate DSM se usate a scopi forensi, rischio sottolineato anche nella quinta edizione del manuale, sebbene in essa sia stato abbandonato il sistema categoriale in favore di un continuum dimensionale dei disturbi mentali molto più vicino alla variegata realtà clinica e forense di tutti i giorni. Del tutto recentemente, un duplice omicidio particolarmente efferato ed inquietante che ha turbato l’opinione pubblica nazionale, in cui due fra gli autori del presente contributo hanno avuto il ruolo di consulenti dell’autore del reato, ha stimolato infine gli autori ad affrontare la questione e dedicarci un approfondimento, di natura psicopatologica ma anche e soprattutto valutativa. Riflessione che si proverà a proporre in questa sede.
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