Nell’ambito del “Progetto Egnazia: dallo scavo alla valorizzazione” le indagini più recenti forniscono nuove acquisizioni sull’approvvigionamento e sulla distribuzione della risorsa idrica e rivelano una accurata strategia di gestione sostenibile, impostata con l’intervento urbanistico della prima età imperiale e rimasta efficiente fino all’età tardoantica. Per il periodo che va dall’inoltrato II secolo a.C., quando inizia a strutturarsi la maglia stradale in relazione alla via Minucia come decumano massimo, si è documentato negli anni un capillare sistema di rifornimento, che si avvale di pozzi di captazione della falda, ricostruita ad una profondità compresa tra 2 e 3 m dai piani di frequentazione e di cisterne di captazione e di raccolta dell’acqua piovana. Molti di questi dispositivi vengono obliterati non oltre il I secolo d.C., periodo in cui l’intervento che struttura il municipium tra I secolo a.C. e I secolo d.C. individua spazi pubblici destinati in modo specifico alla risorsa idrica, soprattutto nelle zone periferiche prossime alle mura. A NE è stata individuata un’area occupata da grandi cisterne e da polle di risalita dalla falda, mentre a SE si sta documentando un settore ancora più articolato. Una imponente canalizzazione in calcarenite, con blocchi dello stesso materiale delle mura, ma molto più grandi, chiude un’area quadrangolare destinata alla raccolta dell’acqua piovana e la convoglia in un grande collettore sotterraneo a quattro bracci, già noto come ‘criptoportico’ e in passato ricondotto con minori elementi ad un deposito di derrate o a spazio di servizio di un monumento in superficie di cui manca qualunque attestazione. La canalizzazione è inquadrata, inoltre, da un quadriportico monumentale nel quale trovavano posto almeno una fontana e con ogni probabilità lavatoi, sistemati in posizione strategica a ridosso del decumano e a poca distanza da una delle porte delle mura. La valorizzazione accurata delle risorse rinvenienti dalla falda e dal regime di precipitazioni, diverso da quello attuale come testimoniano anche i risultati delle indagini archeobotaniche, sembra aver rappresentato una soluzione alternativa all’acquedotto e maggiormente sostenibile, anche per l’assenza di una idrografia superficiale utile ad alimentare un acquedotto. Questa scelta all’insegna della sostenibilità sembra rispettata durante tutta l’età imperiale e si esprime con modalità differenti dal V secolo, al tempo della diocesi, quando si riattiva l’uso dei pozzi nelle singole unità architettoniche a discapito degli spazi idrici collettivi. Il complesso con quadriportico diventa una fabbrica di metalli con una riconversione ancora attenta all’ambiente, che sfrutta la disponibilità di acqua senza ulteriori interventi e al contempo si avvale della posizione decentrata per ridurre l’impatto dei fumi sull’abitato.
"Gnatia lymphis iratis exstructa"? Nuove acquisizioni sulla gestione idrica nel tessuto urbano di Egnazia
Gianluca Mastrocinque;Marco Campese
2023-01-01
Abstract
Nell’ambito del “Progetto Egnazia: dallo scavo alla valorizzazione” le indagini più recenti forniscono nuove acquisizioni sull’approvvigionamento e sulla distribuzione della risorsa idrica e rivelano una accurata strategia di gestione sostenibile, impostata con l’intervento urbanistico della prima età imperiale e rimasta efficiente fino all’età tardoantica. Per il periodo che va dall’inoltrato II secolo a.C., quando inizia a strutturarsi la maglia stradale in relazione alla via Minucia come decumano massimo, si è documentato negli anni un capillare sistema di rifornimento, che si avvale di pozzi di captazione della falda, ricostruita ad una profondità compresa tra 2 e 3 m dai piani di frequentazione e di cisterne di captazione e di raccolta dell’acqua piovana. Molti di questi dispositivi vengono obliterati non oltre il I secolo d.C., periodo in cui l’intervento che struttura il municipium tra I secolo a.C. e I secolo d.C. individua spazi pubblici destinati in modo specifico alla risorsa idrica, soprattutto nelle zone periferiche prossime alle mura. A NE è stata individuata un’area occupata da grandi cisterne e da polle di risalita dalla falda, mentre a SE si sta documentando un settore ancora più articolato. Una imponente canalizzazione in calcarenite, con blocchi dello stesso materiale delle mura, ma molto più grandi, chiude un’area quadrangolare destinata alla raccolta dell’acqua piovana e la convoglia in un grande collettore sotterraneo a quattro bracci, già noto come ‘criptoportico’ e in passato ricondotto con minori elementi ad un deposito di derrate o a spazio di servizio di un monumento in superficie di cui manca qualunque attestazione. La canalizzazione è inquadrata, inoltre, da un quadriportico monumentale nel quale trovavano posto almeno una fontana e con ogni probabilità lavatoi, sistemati in posizione strategica a ridosso del decumano e a poca distanza da una delle porte delle mura. La valorizzazione accurata delle risorse rinvenienti dalla falda e dal regime di precipitazioni, diverso da quello attuale come testimoniano anche i risultati delle indagini archeobotaniche, sembra aver rappresentato una soluzione alternativa all’acquedotto e maggiormente sostenibile, anche per l’assenza di una idrografia superficiale utile ad alimentare un acquedotto. Questa scelta all’insegna della sostenibilità sembra rispettata durante tutta l’età imperiale e si esprime con modalità differenti dal V secolo, al tempo della diocesi, quando si riattiva l’uso dei pozzi nelle singole unità architettoniche a discapito degli spazi idrici collettivi. Il complesso con quadriportico diventa una fabbrica di metalli con una riconversione ancora attenta all’ambiente, che sfrutta la disponibilità di acqua senza ulteriori interventi e al contempo si avvale della posizione decentrata per ridurre l’impatto dei fumi sull’abitato.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.