All'inizio degli anni Settanta del Novecento, l'immagine e la realtà di una Puglia «sitibonda», di una regione povera di risorse idriche da dedicare al soddisfacimento dei bisogni delle popolazioni, alle avvertite esigenze di trasformazione agraria e allo sviluppo di nuove attività industriali, era ancora largamente presente nel discorso pubblico e nel dibattito tecnico e politico. Gli sforzi compiuti a partire dagli inizi del secolo per la costruzione dell'Acquedotto Pugliese, una delle opere più ambiziose al mondo in tema di governo delle acque, se da un lato avevano posto un argine alla «grande sete» della Puglia, dall'altro non avevano potuto dirimere in maniera definitiva i nodi principali della complessa situazione di deficit idrico della regione . Alla base del tentativo dell'uomo di sottrarsi ai vincoli ambientali e alla scarsità di acqua rimanevano, ancora nell'ultimo trentennio del secolo, le condizioni fisiche e climatiche del territorio pugliese, la presenza poco significativa e limitata a ristrette aree di fiumare dal carattere torrentizio, con portate incerte e incostanti, e gli stessi fenomeni siccitosi ricorrenti. Come è stato già ampiamente ricostruito, l'insieme di questi elementi aveva nel tempo contribuito ad orientare l'intervento pubblico, le aspettative e le stesse pratiche di approvvigionamento delle popolazioni pugliesi verso due principali forme di appropriazione della risorsa idrica: da una parte, l'adduzione sul territorio regionale di acque disponibili solo al di fuori dei suoi confini attraverso la strategia degli “schemi idrici”, vale a dire la costruzione da parte dello Stato e delle sue tecnostrutture di complessi sistemi di opere idrauliche necessarie al superamento delle distanze tra fonti di approvvigionamento e utilizzatori finali; dall'altra, la ricerca e lo sfruttamento sempre più consistente dell'unica risorsa disponibile sul territorio regionale, i corpi idrici sotterranei, presenti in una certa misura nel sottosuolo pugliese per l'insistere di fenomeni carsici in particolari aree quali il Salento, le Murge, il Tavoliere e il Gargano. Il lasso di tempo che dagli anni Settanta del Novecento corre fino ai nostri giorni ha assistito a fenomeni di sempre più evidente compromissione di questa fragile equazione tra acqua dallo Stato e acqua dal sottosuolo. La storia del governo delle acque in Puglia e della sostenibilità nell'uso della risorsa negli ultimi decenni si può infatti leggere proprio a partire dalle vicende di questo “spazio invisibile”, del paesaggio nascosto delle acque sotterranee, che fornisce la cartina di tornasole della strategia dei grandi schemi di infrastrutturazione idraulica e ne restituisce le contraddizioni e i ritardi nell'eccessivo affidamento sulle falde acquifere, nel depauperamento del loro patrimonio e nei conseguenti quanto irreversibili processi di desertificazione innescati dall'ingressione di acqua salata nelle cavità del sottosuolo .

Il governo delle acque in Puglia. Dagli anni Settanta a oggi

Antonio Bonatesta
2011-01-01

Abstract

All'inizio degli anni Settanta del Novecento, l'immagine e la realtà di una Puglia «sitibonda», di una regione povera di risorse idriche da dedicare al soddisfacimento dei bisogni delle popolazioni, alle avvertite esigenze di trasformazione agraria e allo sviluppo di nuove attività industriali, era ancora largamente presente nel discorso pubblico e nel dibattito tecnico e politico. Gli sforzi compiuti a partire dagli inizi del secolo per la costruzione dell'Acquedotto Pugliese, una delle opere più ambiziose al mondo in tema di governo delle acque, se da un lato avevano posto un argine alla «grande sete» della Puglia, dall'altro non avevano potuto dirimere in maniera definitiva i nodi principali della complessa situazione di deficit idrico della regione . Alla base del tentativo dell'uomo di sottrarsi ai vincoli ambientali e alla scarsità di acqua rimanevano, ancora nell'ultimo trentennio del secolo, le condizioni fisiche e climatiche del territorio pugliese, la presenza poco significativa e limitata a ristrette aree di fiumare dal carattere torrentizio, con portate incerte e incostanti, e gli stessi fenomeni siccitosi ricorrenti. Come è stato già ampiamente ricostruito, l'insieme di questi elementi aveva nel tempo contribuito ad orientare l'intervento pubblico, le aspettative e le stesse pratiche di approvvigionamento delle popolazioni pugliesi verso due principali forme di appropriazione della risorsa idrica: da una parte, l'adduzione sul territorio regionale di acque disponibili solo al di fuori dei suoi confini attraverso la strategia degli “schemi idrici”, vale a dire la costruzione da parte dello Stato e delle sue tecnostrutture di complessi sistemi di opere idrauliche necessarie al superamento delle distanze tra fonti di approvvigionamento e utilizzatori finali; dall'altra, la ricerca e lo sfruttamento sempre più consistente dell'unica risorsa disponibile sul territorio regionale, i corpi idrici sotterranei, presenti in una certa misura nel sottosuolo pugliese per l'insistere di fenomeni carsici in particolari aree quali il Salento, le Murge, il Tavoliere e il Gargano. Il lasso di tempo che dagli anni Settanta del Novecento corre fino ai nostri giorni ha assistito a fenomeni di sempre più evidente compromissione di questa fragile equazione tra acqua dallo Stato e acqua dal sottosuolo. La storia del governo delle acque in Puglia e della sostenibilità nell'uso della risorsa negli ultimi decenni si può infatti leggere proprio a partire dalle vicende di questo “spazio invisibile”, del paesaggio nascosto delle acque sotterranee, che fornisce la cartina di tornasole della strategia dei grandi schemi di infrastrutturazione idraulica e ne restituisce le contraddizioni e i ritardi nell'eccessivo affidamento sulle falde acquifere, nel depauperamento del loro patrimonio e nei conseguenti quanto irreversibili processi di desertificazione innescati dall'ingressione di acqua salata nelle cavità del sottosuolo .
2011
978-88-6666-030-9
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