Nella chiesa della Madonna delle Grazie inserita in un villaggio rupestre citato per la prima volta in un privilegio emanato dalla cancelleria sveva a Worms nel 1196 dall’imperatore Enrico VI per confermare il possesso del territorio all’arcivescovo di Taranto, restano, a testimonianza di un più vasto programma di decorazione pittorica che, così come di consueto nelle chiese rupestri, ricopriva tutte le pareti della grotta, tre affreschi raffiguranti una Madonna con Bambino, una Santa Barbara ed un San Giorgio. Se la documentazione scritta e l’analisi delle antiche strutture dell’insediamento rupestre non ci forniscono utili elementi di analisi per la determinazione cronologica degli affreschi (ricordiamo che la più antica menzione della chiesa risale ad un documento del 1709) i modelli iconografici e figurativi lasciano al contrario pochi dubbi circa l’origine storica ed artistica delle maestranze che attesero alla loro realizzazione. Stranamente poco conosciuti dalla critica gli affreschi di San Marzano sono stati indifferentemente datati tra XIII e XIV secolo e confrontati solo e unicamente con immagini di analoghe iconografie, dato questo che cela una errata impostazione metodologica, trattandosi di immagini che fanno principalmente riferimento al mondo bizantino e quindi all’adozione di canoni iconografici fissi pressocché immutati nel corso dei secoli. Bisogna inoltre sottolineare che tali canoni esistevano nel mondo bizantino solo in quanto replica di prototipi secondo l’accezione nicena del termine, mentre solo a partire dal secolo scorso, grazie alle ricerche di insigni studiosi come Kondakov e Lihacev si è avuta una codificazione di tipi iconografici entrati in seguito nel linguaggio artistico corrente. Tale premessa è indispensabile per la comprensione di caratteri iconografici dell’affresco della Vergine. I critici hanno infatti classificato tale immagine secondo il tipo dell’Eleousa, intendendo con tale termine l’immagine del Bambino in piedi che accosta la guancia a quella della madre abbracciandola con un gesto di grande affettuosità. Tale iconografia , spesso ritenuta di epoca recente e concepita secondo l’influsso occidentale, appartiene al contrario al mondo bizantino, come rivela la più antica testimonianza artistica sopravvissuta, una icona sinaitica dell’XI secolo con Scene della vita di Cristo. Nell’ambito bizantino il termine Eleousa (misericordiosa) non indica però un tipo iconografico ma ha invece il valore di un appellativo generico della Vergine presente su molte icone indipendentemente dal modello iconografico. L’immagine di San Marzano rientra invece, molto più correttamente, sotto la categoria della “Vierge de Tendresse” . Le altre immagini non presentano, invece, particolarità iconografiche di rilievo. Al pari delle altre pitture di ambiente rupestre, e contrariamente ai programmi concepiti per le chiese subdiali, non fanno riferimento a cicli iconografici particolari, ma sono semplici immagini di santi, immagini iconiche cioé, di tipo votivo. Tali affreschi, pur appartenendo in origine a due ambienti ipogeici differenti vennero eseguiti nello stesso momento. L’analisi stilistica ha consentito di individuare l’ambiente artistico in cui furono concepite tali opere, espressione da un lato di un mondo fortemente legato all’Oriente e dall’altro della nuova temperie artistica di matrice occidentale sviluppatasi a partire dal primo Trecento nella cerchia colta e raffinata del pittore Rinaldo da Taranto, autore del famoso Giudizio finale nella chiesa di Santa Maria del Casale presso Brindisi. I confronti riguardano da un lato la provincia di Matera dall’altro quella di Taranto e Lecce fino alla lontana Bari, coinvolgendo radici formali e stilistiche di matrice crociata, in particolare collegabile alla miniatura sviluppatasi nella cittadella crociata di Acri (Israele) e permettendo una datazione degli affreschi in esame tra gli anni ’20 e ’30 del XIV secolo.

TRA PUGLIA E BASILICATA. GLI AFFRESCHI DEL SANTUARIO RUPESTRE DELLA MADONNA DELLE GRAZIE

DEROSA, Luisa Maria Sterpeta
2001-01-01

Abstract

Nella chiesa della Madonna delle Grazie inserita in un villaggio rupestre citato per la prima volta in un privilegio emanato dalla cancelleria sveva a Worms nel 1196 dall’imperatore Enrico VI per confermare il possesso del territorio all’arcivescovo di Taranto, restano, a testimonianza di un più vasto programma di decorazione pittorica che, così come di consueto nelle chiese rupestri, ricopriva tutte le pareti della grotta, tre affreschi raffiguranti una Madonna con Bambino, una Santa Barbara ed un San Giorgio. Se la documentazione scritta e l’analisi delle antiche strutture dell’insediamento rupestre non ci forniscono utili elementi di analisi per la determinazione cronologica degli affreschi (ricordiamo che la più antica menzione della chiesa risale ad un documento del 1709) i modelli iconografici e figurativi lasciano al contrario pochi dubbi circa l’origine storica ed artistica delle maestranze che attesero alla loro realizzazione. Stranamente poco conosciuti dalla critica gli affreschi di San Marzano sono stati indifferentemente datati tra XIII e XIV secolo e confrontati solo e unicamente con immagini di analoghe iconografie, dato questo che cela una errata impostazione metodologica, trattandosi di immagini che fanno principalmente riferimento al mondo bizantino e quindi all’adozione di canoni iconografici fissi pressocché immutati nel corso dei secoli. Bisogna inoltre sottolineare che tali canoni esistevano nel mondo bizantino solo in quanto replica di prototipi secondo l’accezione nicena del termine, mentre solo a partire dal secolo scorso, grazie alle ricerche di insigni studiosi come Kondakov e Lihacev si è avuta una codificazione di tipi iconografici entrati in seguito nel linguaggio artistico corrente. Tale premessa è indispensabile per la comprensione di caratteri iconografici dell’affresco della Vergine. I critici hanno infatti classificato tale immagine secondo il tipo dell’Eleousa, intendendo con tale termine l’immagine del Bambino in piedi che accosta la guancia a quella della madre abbracciandola con un gesto di grande affettuosità. Tale iconografia , spesso ritenuta di epoca recente e concepita secondo l’influsso occidentale, appartiene al contrario al mondo bizantino, come rivela la più antica testimonianza artistica sopravvissuta, una icona sinaitica dell’XI secolo con Scene della vita di Cristo. Nell’ambito bizantino il termine Eleousa (misericordiosa) non indica però un tipo iconografico ma ha invece il valore di un appellativo generico della Vergine presente su molte icone indipendentemente dal modello iconografico. L’immagine di San Marzano rientra invece, molto più correttamente, sotto la categoria della “Vierge de Tendresse” . Le altre immagini non presentano, invece, particolarità iconografiche di rilievo. Al pari delle altre pitture di ambiente rupestre, e contrariamente ai programmi concepiti per le chiese subdiali, non fanno riferimento a cicli iconografici particolari, ma sono semplici immagini di santi, immagini iconiche cioé, di tipo votivo. Tali affreschi, pur appartenendo in origine a due ambienti ipogeici differenti vennero eseguiti nello stesso momento. L’analisi stilistica ha consentito di individuare l’ambiente artistico in cui furono concepite tali opere, espressione da un lato di un mondo fortemente legato all’Oriente e dall’altro della nuova temperie artistica di matrice occidentale sviluppatasi a partire dal primo Trecento nella cerchia colta e raffinata del pittore Rinaldo da Taranto, autore del famoso Giudizio finale nella chiesa di Santa Maria del Casale presso Brindisi. I confronti riguardano da un lato la provincia di Matera dall’altro quella di Taranto e Lecce fino alla lontana Bari, coinvolgendo radici formali e stilistiche di matrice crociata, in particolare collegabile alla miniatura sviluppatasi nella cittadella crociata di Acri (Israele) e permettendo una datazione degli affreschi in esame tra gli anni ’20 e ’30 del XIV secolo.
2001
8880863649
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/43741
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