Èidos, in greco significa idea. È il sostantivo del verbo orào, ossia vedere. “Vedere”, nella lingua greca, è un atto inteso sia come visione sensibile attraverso gli occhi sia come visione intellegibile attraverso l’intelletto. Durante il periodo di costrizione dovuto alla pandemia abbiamo riscoperto questa doppia natura del vedere. Chiusi in casa abbiamo messo da parte la conoscenza del mondo tramite gli occhi affidando tutto il compito all’intelletto, alle immagini della mente, alle “idee” appunto. L’immagine di una qualunque città è costruita dai ricordi sovrapposti di chi la vive, una sorta di città parallela. Lo spazio costruito come un’immensa quinta scenica che attende di essere riempita dai nostri ricordi, dalla nostra vita. E sono le città vuote di questo periodo a mostrarci una grande verità: la città in quanto fatto tangibile è di per sé inutile, è la città dei ricordi sovrapposti la vera città. Il ricordo mente sempre, è costretto a farlo perché ci è impossibile comprendere la verità dei luoghi nella loro complessità: toglie, semplifica, astrae la realtà, prende posizione e non è mai neutrale. Questo periodo ha mostrato con forza che tanto più ci si allontana dalle strade e dalle piazze, dalla intricata complessità del visibile, tanto più possiamo avvicinarci al senso dei luoghi. L’unica strada percorribile per tentare di cogliere l’idea di città è quella che va dalla vita all’architettura, dai ricordi che costruiscono l’immagine di una città al progetto.

Dalla vita alla città

Matteo Pennisi
2020-01-01

Abstract

Èidos, in greco significa idea. È il sostantivo del verbo orào, ossia vedere. “Vedere”, nella lingua greca, è un atto inteso sia come visione sensibile attraverso gli occhi sia come visione intellegibile attraverso l’intelletto. Durante il periodo di costrizione dovuto alla pandemia abbiamo riscoperto questa doppia natura del vedere. Chiusi in casa abbiamo messo da parte la conoscenza del mondo tramite gli occhi affidando tutto il compito all’intelletto, alle immagini della mente, alle “idee” appunto. L’immagine di una qualunque città è costruita dai ricordi sovrapposti di chi la vive, una sorta di città parallela. Lo spazio costruito come un’immensa quinta scenica che attende di essere riempita dai nostri ricordi, dalla nostra vita. E sono le città vuote di questo periodo a mostrarci una grande verità: la città in quanto fatto tangibile è di per sé inutile, è la città dei ricordi sovrapposti la vera città. Il ricordo mente sempre, è costretto a farlo perché ci è impossibile comprendere la verità dei luoghi nella loro complessità: toglie, semplifica, astrae la realtà, prende posizione e non è mai neutrale. Questo periodo ha mostrato con forza che tanto più ci si allontana dalle strade e dalle piazze, dalla intricata complessità del visibile, tanto più possiamo avvicinarci al senso dei luoghi. L’unica strada percorribile per tentare di cogliere l’idea di città è quella che va dalla vita all’architettura, dai ricordi che costruiscono l’immagine di una città al progetto.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/430504
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