Il saggio si propone di mettere a confronto l’esperienza italiana in tema di disciplina legislativa di contrasto al lavoro con la direttiva 2009/52/CE. Dal punto di vista dell’ordinamento nazionale, sono esaminate sia le normative statali, sia quelle regionali, per poi discuterne criticamente, con l’ausilio dei dati disponibili, i risultati, considerati notevoli solo nell’ultima fase, nella quale una diversa impostazione dei provvedimenti legislativi ha cominciato a dare frutti. Anche sul piano europeo, si esamina dapprima il problema del fondamento delle competenze comunitarie sul tema, e poi le iniziative precedenti la direttiva in commento, criticate per la debolezza analitica nell’interpretazione delle cause del fenomeno, e dunque per l’erroneità dell’impostazione e soprattutto per il collegamento mal formulato con il tema dell’immigrazione clandestina. La direttiva 2009/52/CE è analizzata come momento di continuità con gli errori precedenti, a partire dal fondamento nella norma del Trattato che si occupa di immigrazione irregolare anziché in quelle che si occupano di tutela del lavoro. Segue l’esame di dettaglio delle singole previsioni della direttiva, cui viene in conclusione imputato di continuare a creare una complicità forzosa tra datore di lavoro e lavoratore irregolare, il quale – salve due ipotesi particolari esaminate – non offre alcun vantaggio al lavoratore immigrato clandestinamente nel denunciare la propria situazione. Vengono invece apprezzate le previsioni in tema di sanzioni penali per i casi di maggiore gravità, la presunzione di durata minima del rapporto, e l’estensione della responsabilità in caso di subappalto. In conclusione, sono fornite alcune indicazioni per la recezione nel nostro ordinamento interno della direttiva stessa.
L’intervento comunitario di contrasto al lavoro nero alla luce dell'esperienza italiana
M. BARBIERI
2010-01-01
Abstract
Il saggio si propone di mettere a confronto l’esperienza italiana in tema di disciplina legislativa di contrasto al lavoro con la direttiva 2009/52/CE. Dal punto di vista dell’ordinamento nazionale, sono esaminate sia le normative statali, sia quelle regionali, per poi discuterne criticamente, con l’ausilio dei dati disponibili, i risultati, considerati notevoli solo nell’ultima fase, nella quale una diversa impostazione dei provvedimenti legislativi ha cominciato a dare frutti. Anche sul piano europeo, si esamina dapprima il problema del fondamento delle competenze comunitarie sul tema, e poi le iniziative precedenti la direttiva in commento, criticate per la debolezza analitica nell’interpretazione delle cause del fenomeno, e dunque per l’erroneità dell’impostazione e soprattutto per il collegamento mal formulato con il tema dell’immigrazione clandestina. La direttiva 2009/52/CE è analizzata come momento di continuità con gli errori precedenti, a partire dal fondamento nella norma del Trattato che si occupa di immigrazione irregolare anziché in quelle che si occupano di tutela del lavoro. Segue l’esame di dettaglio delle singole previsioni della direttiva, cui viene in conclusione imputato di continuare a creare una complicità forzosa tra datore di lavoro e lavoratore irregolare, il quale – salve due ipotesi particolari esaminate – non offre alcun vantaggio al lavoratore immigrato clandestinamente nel denunciare la propria situazione. Vengono invece apprezzate le previsioni in tema di sanzioni penali per i casi di maggiore gravità, la presunzione di durata minima del rapporto, e l’estensione della responsabilità in caso di subappalto. In conclusione, sono fornite alcune indicazioni per la recezione nel nostro ordinamento interno della direttiva stessa.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.